Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 985 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 985 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 2125/2024
ALDO ACETO
UP – 18/12/2024
NOME COGNOME
R.G.N. 24399/2024
NOME COGNOME
Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a CATANIA il 18/05/1989
avverso la sentenza del 21/02/2024 del TRIBUNALE di Caltagirone Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. NOME COGNOME con cui ha chiesto la dichiarazione di inammissibilitˆ del ricorso.
Con sentenza del 21 febbraio 2024, il Tribunale di Caltagirone, Sezione Penale, condannava NOME COGNOME alla pena di € 3.500,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali, in quanto ritenuto responsabile dellÕillecito contravvenzionale di cui allÕart. 256 comma 1, lett. A) del D. Lgs. 152/2006, reato a lui ascritto in concorso unitamente ad altri soggetti nei cui confronti la sentenza è divenuta irrevocabile, in particolare per avere esercitato Ð con una macchina operatrice in atti meglio descritta Ð attivitˆ di raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da unÕazienda agricola e consistenti in tubi ferrosi di vario diametro, per un peso complessivo di oltre
7730 chilogrammi, senza la prescritta iscrizione allÕalbo nazionale gestori ambientali, a norma dellÕart. 212 del testo unico ambientale.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dellÕimputato, deducendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione art. 173, disp. Att., cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di contraddittorietˆ e manifesta illogicitˆ della motivazione.
In sintesi, la sentenza sarebbe affetta dal predetto vizio per quanto attiene la classificazione del materiale trasportato come rifiuto, in particolare censurando l’affermazione secondo la quale il materiale oggetto di abusivo trasporto, nel caso di specie, bene potrebbe ricondursi alla nozione di rifiuto, trattandosi di rottami ferrosi ed arrugginiti, derivanti dallo smantellamento di serre agricole.
Richiamata la definizione normativa di rifiuto contenuta nell’articolo 183 lettera a) del testo unico ambientale, secondo cui è tale Òqualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsiÓ, sostiene la difesa che se, da un punto di vista oggettivo, qualsiasi sostanza pu˜ certamente definirsi rifiuto, dal punto di vista soggettivo risulterebbe comunque imprescindibile accertare la volontˆ del detentore di disfarsi della predetta sostanza. Nel caso in esame, il giudice avrebbe attribuito, in assenza di qualsiasi motivazione, la qualifica di rifiuto agli oggetti che il ricorrente stava trasportando, affermando in maniera assertiva e autoreferenziale che, sulla natura di tali oggetti, non sussisterebbe alcun dubbio.
2.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al reato contestato al ricorrente.
In sintesi, richiamata la contestazione mossa nella imputazione, la difesa ricorda come l’attuale ricorrente è stato dichiarato colpevole del reato contravvenzionale a lui ascritto e condannato alla pena di 3.500 € di multa. A giudizio della difesa, si tratterebbe di una pena illegale in quanto non corrispondente per specie a quella astrattamente prevista per il reato contestato all’attuale ricorrente. Richiamata la giurisprudenza di questa Corte circa la nozione di pena illegale, segnatamente le Sezioni Unite Pittalˆ e COGNOME ed evidenziato che la pena pecuniaria prevista per le contravvenzioni dal nostro codice penale è l’ammenda (quindi non la multa), sostiene la difesa del ricorrente che la pena irrogata all’attuale imputato è diversa rispetto a quella prevista dalla legge, il che avrebbe inciso anche sulla prevedibilitˆ della sanzione quale presupposto essenziale di una responsabilitˆ penale rispettosa del principio di colpevolezza.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di mancanza o manifesta illogicitˆ della motivazione unitamente al vizio di violazione di legge in relazione all’art. 131, cod. pen.
In sintesi, si sostiene che tale speciale causa di non punibilitˆ sarebbe stata esclusa in maniera del tutto incomprensibile ed arbitraria. In particolare, viene richiamato il passaggio motivazionale della sentenza impugnata in cui il giudice, a pagina 3, ha escluso l’applicabilitˆ della causa di non punibilitˆ del fatto di particolare tenuitˆ, non ritenendo il fatto oggetto del presente procedimento qualificabile in tali termini, trattandosi della raccolta e trasporto di rifiuti speciali seppure non pericolosi, atteso che la materia dei rifiuti non potrebbe integrare un reato di lieve entitˆ sia per il bene tutelato, sia alla luce della personalitˆ, nel caso di specie dell’imputato NOME COGNOME, da valutarsi ai sensi dell’art. 133 cod. pen., avendo questi riportato diverse condanne penali per svariati reati quali furto, evasione, violazione della legge in materia di stupefacenti, ci˜ che denoterebbe una personalitˆ dedita al reato. Tale motivazione sarebbe censurabile poichŽ sembrerebbe che la non occasionalitˆ della condotta sia stata desunta dal giudice in considerazione della personalitˆ dedita al reato dell’attuale ricorrente. EÕ invece pacifico che deve intendersi abituale, ostativo in quanto tale all’applicabilitˆ dell’art. 131cod. pen., il comportamento di chi abbia commesso più reati della stessa indole sebbene ciascuno di particolare tenuitˆ, ovvero abbia commesso reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, reiterate o abituali. In tali ipotesi, precisa la difesa, l’oggetto della previsione normativa deve intendersi riferito alle condotte di cui alla contestazione di volta in volta elevata nei confronti dell’imputato e non ad altre, eventualmente pregresse, condotte non ricadenti nell’ambito materiale del fatto contestato. Nel caso in esame, diversamente, il tribunale avrebbe ritenuto ostative alla qualificazione del fatto in termini di particolare tenuitˆ condotte che, per essere estranee alla contestazione, non potrebbero costituire elemento di valutazione ai fini di cui sopra. Al di lˆ di questo, aggiunge il ricorrente, risulterebbe palesemente come non siano stati verificati da parte del giudice nŽ l’eventuale sussistenza di danni ambientali nŽ l’abitualitˆ o meno della condotta dell’imputato.
2.4. Deduce, infine, con il quarto ed ultimo motivo, il vizio di violazione della legge penale in relazione all’art. 157 cod. pen., per non essere stata dichiarata da parte del giudice la prescrizione del reato.
In sintesi, si rileva che il fatto per cui si procede è stato commesso il 27 giugno 2018 e sarebbe ormai prescritto, atteso che il termine di prescrizione massima per l’illecito contravvenzionale è di anni 5, con conseguente maturata prescrizione il 27 giugno 2023, dunque in data antecedente alla sentenza impugnata, pronunciata il 21 febbraio 2024.
In data 29/11/2024 sono state trasmesse a questo Ufficio le conclusioni scritte del Procuratore generale, con cui ha chiesto la dichiarazione di inammissibilitˆ del ricorso.
In sintesi, secondo il PG, il primo motivo è manifestamente infondato, del tutto legittima essendo, anche sul piano motivazionale, la qualificazione come rifiuto del materiale (ferroso) gestito senza autorizzazione da parte del ricorrente.
Il secondo motivo è manifestamente infondato, essendo del tutto evidente come lÕindicazione Ð in dispositivo Ð della pena della multa, anzichŽ in quella della ammenda correttamente indicata in motivazione e corrispondente alla piana previsione edittale si risolva in un mero errore materiale, alla cui correzione pu˜ provvedere la stessa Corte di Cassazione adita.
Manifestamente infondato è anche il terzo motivo, nessuna violazione di legge o aporia logica riscontrandosi Ð avuto riguardo agli elementi presi in considerazione per il giudizio – nel rigetto della istanza di applicazione dellÕistituto ex art. 131c.p.
LÕinammissibilitˆ del ricorso impedisce di rilevare ogni decorso del termine di prescrizione successivo alla sentenza impugnata.
Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è complessivamente infondato.
2. Il primo motivo è inammissibile.
Considerato che la censura difensiva investe la nozione di rifiuto nonchŽ il fatto che il giudice non abbia accertato la volontˆ del detentore di disfarsi degli oggetti che stava trasportando al momento del controllo, tale motivo di censura risulta inammissibile poichŽ, nella vicenda in esame, la difesa tenta di trascinare questa Suprema Corte sul terreno del fatto, chiedendo la qualificazione di un oggetto o di un materiale come rifiuto, operazione, questa, incompatibile con il giudizio di legittimitˆ. Infatti, secondo quanto affermato più volte da questa Corte, la classificazione di una sostanza o di un oggetto quale rifiuto non deve necessariamente basarsi su un accertamento peritale, potendo legittimamente fondarsi anche su elementi probatori, quali le dichiarazioni testimoniali, i rilievi fotografici o gli esiti di ispezioni e sequestri (Sez. 3, n. 33102 del 07/06/2022, B.; Rv. 283417) e lÕaccertamento della natura di un oggetto quale rifiuto ai sensi dellÕart. 183, d. lgs. n. 152/2006 costituisce una questione di fatto, demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimitˆ, se sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici (cfr. Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019, S., Rv. 276009).
In merito alla questione se i rottami ferrosi rientrino o meno nella nozione di rifiuto, si osserva come il materiale oggetto di abusivo trasporto ben pu˜ ricondursi a tale nozione. A tal proposito, occorre richiamare la sentenza n. 48316/2016 di questa
Suprema Corte, la quale si pone in continuitˆ con lÕinterpretazione consolidata, che accoglie una nozione ampia di rifiuto, fondata su risultanze oggettive ed alla quale devono essere ricondotti sostanze od oggetti non più idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati, pur se non ancora privi di valore economico. Inoltre, pu˜ rilevarsi come sia assolutamente certo che, secondo i principi generali ormai consolidati, debba ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura dei materiali da classificare o meno quali rifiuti, poichŽ è rifiuto non ci˜ che non è più di alcuna utilitˆ per il detentore in base ad una sua personale scelta, ma, invero, ci˜ che è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è tenuto, ossia quello di disfarsi del suddetto materiale.
Secondo tale giurisprudenza di legittimitˆ, affinchŽ i rottami metallici di ferro non vengano più qualificati come rifiuti, occorre richiamare il Regolamento UE n. 333/2011, il quale definisce la cessazione della qualifica di rifiuto per i rottami metallici di ferro, limitando quali possono essere sottoposti ad azioni di recupero e indicando le caratteristiche che devono avere i materiali ottenuti dalle operazioni di recupero per essere sottratti alla disciplina dei rifiuti. In particolare, i rottami ferrosi cessano di essere considerati rifiuti a seguito di un processo di produzione o di utilizzazione, cioè quando vengono riciclati in prodotti siderurgici e divengono prodotti finiti del processo di trasformazione cui sono destinati.
Alla luce della normativa pocÕanzi richiamata, è possibile affermare che la nozione di rifiuto comprende qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi o abbia deciso o abbia lÕobbligo di disfarsi, senza che rilevi una possibile riutilizzazione economica, ovvero che la dismissione avvenga attraverso lo smaltimento o il recupero (Sez.3, n. 48316 dellÕ11 ottobre 2016, L., non mass.), con la conseguenza che in tale nozione vi rientrano anche i rottami metallici di ferro. Per tali ragioni, il motivo dedotto è inammissibile.
3. Anche il secondo motivo risulta inammissibile.
Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza COGNOME (Sez. U., n. 33040 del 26-02-2015; Rv. 264205), rientra nella nozione di pena illegale quella non corrispondente per specie ovvero per quantitˆ (sia in difetto sia in eccesso) a quella astrattamente prevista per la fattispecie incriminatrice, collocandosi cos’ al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale; i casi di illegalitˆ , quantitˆ ai limiti edittali; i casi in cui la pena era stata determinata costituiti, ad esempio, dalla determinazione in concreto di una pena diversa, per specie, da quella che la legge stabilisce per quel certo reato, ovvero inferiore o superiore, per di cui costituiscono esempio evidente quelli in cui il giudice abbia applicato una pena in misura inferiore al minimo assoluto previsto dallÕart. 23 c.p. o indicato come pena-base una pena inferiore a quella prevista come minimo edittale per il reato unito con il vincolo della
continuazione, ovvero individuato la pena applicata, in esito al cumulo art. 81 cpv cod. pen., con un valore inferiore al minimo fissato per il reato più grave tra quelli in continuazione.
Nel caso in esame, posto che la disposizione art. 256, comma 1, D. lgs. 152/2006, commina come pena pecuniaria lÕammenda e non la multa, si pu˜ rilevare come lÕimporto previsto quale multa risulti corrispondente per quantitˆ a quello che sarebbe stato comminato ove qualificato come ammenda. Inoltre, si pu˜ certo affermare che lÕindicazione di una specie di pena diversa non abbia inciso in fatto nŽ giuridicamente sul tema della prevedibilitˆ della sanzione, tenuto conto che la nozione di prevedibilitˆ va riferita alle conseguenze sanzionatorie in astratto contemplate, tra cui non rientra il semplice riferimento ad una pena di specie diversa rispetto a quella prevista in astratto dalla legge, soprattutto ove lÕimputato abbia potuto correttamente esercitare il proprio diritto di difesa proponendo rituale impugnazione davanti al giudice superiore competente, tenuto conto che, avverso le sentenze di condanna alla sola pena dellÕammenda, lÕultimo comma dellÕarticolo 593 c.p.p. prevede unicamente il ricorso per Cassazione, come in effetti si è verificato, a comprova del fatto che la mera indicazione di una pena di specie diversa non ha inciso sullÕeffettivitˆ del diritto di difesa del ricorrente, che ha proposto impugnazione davanti al giudice unicamente competente.
4. Il terzo motivo è invece infondato, posto che la motivazione sul diniego dellÕart. 131cod. pen.Ð secondo cui la materia dei rifiuti non potrebbe integrare un reato di lieve entitˆ per il bene tutelato e per la personalitˆ negativa dellÕimputato in considerazione dei suoi precedenti Ð appare nella sua assolutezza contraddire quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte. In particolare, si è affermato dal Supremo Consesso che, ai fini della configurabilitˆ della causa di esclusione della punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto, prevista dall’art. 131cod. pen., il giudizio sulla tenuitˆ richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiaritˆ della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalitˆ della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entitˆ del danno o del pericolo. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 Ð 01). Il dato normativo dellÕart. 131cod. pen., investe il giudice di una Òvalutazione complessa che ha ad oggetto le modalitˆ della condotta e lÕesiguitˆ del danno o del pericolo valutate ai sensi dellÕart. 133, primo comma, c.p.Ó. Il compito del giudice non deve dunque limitarsi alla considerazione della sola quantitˆ di aggressione al bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, ma deve estendersi allÕanalisi di tutte le peculiaritˆ della fattispecie concreta. In particolare, secondo le Sezioni Unite Çnon esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica; è la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvaloreÈ: adottando quest’ottica interpretativa, dunque, il Supremo Collegio ha rimarcato la necessitˆ di operare una corretta distinzione tra fatto tipico e fatto storico, ove solo
quest’ultimo assume rilevanza ai fini del giudizio di tenuitˆ (o non tenuitˆ) del fatto. Su queste basi, dunque, le Sezioni Unite hanno enucleato il seguente principio di diritto: Çessendo in considerazione la caratterizzazione del fatto storico nella sua interezza, non si dˆ tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalitˆ della condotta ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione del nuovo istitutoÈ.
Sempre con riferimento alla valutazione circa le modalitˆ della condotta, inoltre, la Suprema Corte ha evidenziato come il richiamo dell’art. 131cod. pen. all’art. 133, comma 1, cod. pen. attribuisca rilevanza anche ai profili relativi all’intensitˆ del dolo o al grado della colpa del soggetto attivo: il giudice, dunque, dovrˆ assumere le proprie determinazioni sulla possibile tenuitˆ del fatto anche valutando il concreto incidere sulla fattispecie concreta dell’elemento volitivo del reo. Anche in relazione alla valutazione sull’entitˆ del danno o del pericolo, il Supremo Collegio ha ribadito la scorrettezza di preclusioni precostituite, indicando la necessitˆ di effettuare analisi mirate sulla manifestazione del reato e, dunque, – in relazione al parametro relativo all’entitˆ del danno o del pericolo – sulle conseguenze dannose o pericolose della condotta.
Secondo le Sezioni Unite, emerge, quindi, un dato di cruciale rilevo: ossia, l’esiguitˆ del disvalore è frutto di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza. In particolare, va ribadito come la valutazione inerente all’entitˆ del danno o del pericolo non è da sola sufficiente a completare il giudizio di tenuitˆ del fatto, ma ci˜ si desume anche da due ulteriori argomenti specifici. In primo luogo, il legislatore ha espressamente previsto che la nuova disciplina trova applicazione anche quando la legge prevede la particolare tenuitˆ del danno o del pericolo come circostanza attenuante, cosicchŽ la valutazione di particolare tenuitˆ del fatto deve essere ancorata agli indicatori relativi alla condotta ed alla colpevolezza anche in presenza di un danno di speciale tenuitˆ. In secondo luogo, per evitare che i reati di più grave graduazione possano essere travolti dall’applicazione della nuova causa di non punibilitˆ, il legislatore ha espressamente previsto clausole di esclusione: l’offesa, infatti, non pu˜ essere ritenuta particolarmente tenue qualora la condotta abbia cagionato – quali conseguenze non volute dall’agente – la morte o le lesioni gravissime.
5. Sulla base di tale percorso argomentativo, si pu˜ certo affermare che il Tribunale, nel caso di specie, ha frettolosamente affermato sia che la materia dei rifiuti non potrebbe integrare un reato di lieve entitˆ per il bene tutelato sia che sarebbe ostativa la personalitˆ negativa dell’imputato in considerazione dei suoi precedenti. Ed infatti, nel valutare la sussistenza delle condizioni per lÕapplicazione della causa di non punibilitˆ art. 133, primo comma, cod. pen., il giudice, come detto, deve riferirsi ai criteri direttivi indicati nel citato art. 133, primo comma, ossia agli indici riguardanti la gravitˆ del fatto (desunta dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dallÕoggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalitˆ di azione; dalla gravitˆ del danno o del pericolo
cagionato alla persona offesa dal reato; dalla intensitˆ del dolo o dal grado della colpa), senza poter valorizzare gli indici di cui al secondo comma dellÕart. 133 cod pen., ossia quelli tendenti a valorizzare la capacitˆ a delinquere del colpevole (desunta dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; dai precedenti penali e giudiziari, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo).
Tale affermazione del Tribunale, tuttavia, non pu˜ essere letta isolatamente.
Ed infatti, da un lato, come giˆ affermato da questa Corte, il disposto di cui all’art. 131cod. pen. individua un limite negativo alla punibilitˆ del fatto medesimo la prova della cui ricorrenza è demandata all’imputato, tenuto ad allegare la sussistenza dei relativi presupposti mediante l’indicazione di elementi specifici (da ultimo: Sez. 3, n. 13657 del 16/02/2024, Rv. 286101 Ð 02). Onere probatorio, nella specie, non assolto, soprattutto in assenza di alcun comportamento successivo che Ð alla luce della novella apportata dal D.lgs. n. 150 del 2022 (Òanche in considerazione della condotta susseguente al reatoÓ) Ð qualifichi in termini oggettivi di particolare tenuitˆ il fatto commesso.
DallÕaltro, inoltre, deve comunque rilevarsi che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, per un verso, e lÕirrogazione di una pena determinata discostandosi dal minimo edittale Òin ragione delle modalitˆ dellÕazione e della tipologia di rifiuti trasportatoÓ (v. pag. 4 sentenza impugnata), costituiscono indici rivelatori inequivoci della volontˆ del decidente di escludere quella particolare tenuitˆ al fatto-reato per cui è intervenuta condanna. L’esclusione della punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto di cui all’art. 131cod. pen. non pu˜ infatti essere dichiarata in presenza di una sentenza di condanna che abbia ritenuto pienamente giustificati, specificamente motivando, la determinazione della pena in misura superiore al minimo edittale ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, configurandosi, in tal caso, l’esclusione di ogni possibile valutazione successiva in termini di particolare tenuitˆ del fatto (Sez. 5, n. 39806 del 24/06/2015, Rv. 265317 Ð 01; Sez. 3, n. 24358 del 14/05/2015, Rv. 264109 Ð 01).
Alla luce di quanto sopra, pertanto, il motivo devÕessere rigettato.
Quanto infine al quarto motivo, è ben vero che il reato è stato accertato il 27 giugno 2018 e che il termine di prescrizione quinquennale sarebbe maturato con il decorso del quinquennio alla data del 27 giugno 2023.
Bisogna tuttavia tener conto del fatto che, nel corso del processo, vi sono state plurime sospensioni del termine di prescrizione, per complessivi giorni 248, con conseguente astratto maturarsi del termine di prescrizione alla data del 1¡ marzo 2024. Deve, tuttavia, aggiungersi il periodo di sospensione previsto dall’art. 1, comma 11 lett.
b), legge 23 giugno 2017 n.103, trattandosi di reato commesso dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, tra cui rientra quello in esame (accertato il 27 giugno 2018). Come è noto, il richiamato art. 1, comma 11, l. n. 103 del 2017, ebbe ad inserire allÕart. 159, comma secondo, cod. pen. la seguente previsione Òdopo il primo comma sono inseriti i seguenti: ÇIl corso della prescrizione rimane altres’ sospeso nei seguenti casi: 1) dal termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo di giudizio, per un tempo comunque non superiore a un anno e sei mesi; ( ) . Se durante i termini di sospensione di cui al secondo comma si verifica un’ulteriore causa di sospensione di cui al primo comma, i termini sono prolungati per il periodo corrispondenteÈ;Ó.
Le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto di giurisprudenza sul punto, con la sentenza pronunciata in data 12 dicembre 2024, nel ricorso rg. 22932/24 – P.G. c/COGNOME COGNOME, hanno affermato che per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, tra cui rientra quello in esame, si applica la disciplina di cui alla legge n. 103 del 2017. Con riguardo al quarto motivo di ricorso, si tratta dunque, allÕesito della decisione assunta dalle Sezioni Unite, di censura priva di pregio, in quanto, trattandosi di reato accertato il 27 giugno 2018, trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 1, comma 11 lett. b), legge 23 giugno 2017 n.103. Essendo stata pronunciata la sentenza di primo grado in data 21 febbraio 2024, il termine, per effetto di quanto disposto dallÕart. 1, comma 11, legge n. 103 del 2017, è stato sospeso per complessivi gg. 301 fino al 18.12.2024. Dal 19.12.2024 dunque ridecorrevano i residui 9 gg. (dal 22.02.2024) oggetto del precedente periodo di sospensione degli originari gg. 248, con la conseguenza che la prescrizione sarebbe andata a maturare dopo la pronuncia della sentenza di questa Corte, intervenuta il 18.12.2024, ossia in data 30.12.2024.
Ne discende, pertanto, che per il reato per cui si procede, alla data della sentenza di questa Corte, non era ancora maturato il termine di prescrizione massima.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Cos’ deciso, il 18/12/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME