Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6827 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6827 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato il 20/03/1964 a Messina
NOME NOMECOGNOME nato il 01/02/1971 a Velletri
COGNOME nato il 26/01/1986 a Fondi
NOME COGNOME nato il 17/08/1973 a Fondi
Carnevale NOMECOGNOME nato il 19/03/1996 a Fondi
Di NOMECOGNOME nato il 17/12/1997 a Pompei
COGNOME NOMECOGNOME nato il 21/09/1983 a Fondi
avverso la sentenza del 10/05/2024 della Corte d’appello di Roma.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi i difensori, Avv. NOME COGNOME per COGNOME, COGNOME, COGNOME, NOME, COGNOME, COGNOME e Avv. NOME COGNOME per COGNOME e COGNOME, i quali, riportandosi ai
rispettivi motivi di ricorso, hanno insistito per l’annullamento del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina, con sentenza del 3 febbraio 2023, riteneva gli odierni ricorrenti responsabili del delitto di cui al capo 1), relativo alla detenzione e trasporto di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo hashish e marijuana, nonché il solo Artusa anche del delitto di resistenza di cui al capo 4), condannandoli alle pene di legge.
Tutti gli imputati venivano invece assolti dai delitti di cui al capo 2), riguardante il porto in luogo pubblico di armi comuni e da guerra, anche clandestine, parti di esse, munizioni ed esplosivi, e al capo 3), attinente alla ricettazione di un mitra Beretta M12 e di un fucile Beretta 762 con rispettivi caricatori, perché il fatto non costituisce reato.
Secondo il Giudice per le indagini preliminari, la ripartizione della droga da trasportare in tre distinti autoveicoli e l’esecuzione del trasporto con l’ausilio d autovetture staffetta, alle quali avevano variamente contribuito tutti gli imputati, li faceva ritenere responsabili in concorso del delitto in materia di stupefacenti, mentre l’occultamento delle armi, dell’esplosivo e dei sistemi di detonazione all’interno di un vano sottofondo del furgone Renault Trafic (uno dei veicoli utilizzati per il trasporto anche di parte dello stupefacente) non consentiva di affermare con certezza che gli imputati fossero consapevoli della loro esistenza.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 10 maggio 2024, in parziale accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero, riteneva che l’attività di trasporto non solo della sostanza drogante, ma anche delle armi, degli esplosivi e dei detonatori indicati nel delitto di cui al capo 2) fosse stata compiuta con modalità tali da rendere provato il consapevole contributo di ciascun indagato alla sua realizzazione. In particolare, la Corte ricostruiva l’accaduto in più fasi, tutte fra loro connesse, finalizzate all’unico risultato di trasportare l’oggetto dei reati dall’abitazione NOME COGNOME sita nel Comune di Frosinone, ove all’interno del furgone Renault Trafic si trovavano le armi, gli esplosivi, i detonatori e parte dello stupefacente di cui al capo 1), in un altro luogo, sito in Fondi, località ove gli operanti, dopo avere bloccato, al termine di un inseguimento, l’autovettura Fiat Panda e la Opel Astra – quest’ultima contenente parte della droga sequestrata – individuavano parcheggiate, una vicina all’altra, la vettura Audi A4 e il furgone Renault contenenti rispettivamente altra parte della droga di cui al capo 1) nonché le armi e il materiale esplosivo di cui al capo 2).
La Corte sottolineava dunque la consistenza probatoria della ricostruzione dei fatti contestati così come effettuata nell’appello del Pubblico Ministero, con riguardo alle specifiche condotte, richiamando a fondamento del giudizio di colpevolezza gli esiti dell’attività investigativa compendiata nelle varie annotazioni di polizia giudiziaria nonché, specificamente, le operazioni di osservazione, perquisizione e sequestro. Distingueva allora i diversi momenti dell’intera operazione, che iniziavano da una fase di “incontro preliminare” nel corso del quale gli imputati si riunivano in due gruppi in differenti luoghi; seguiva il momento del “raggruppamento”, in cui gli imputati NOMECOGNOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente a bordo di Audi A4, Fiat Panda e Opel Astra, facevano ingresso presso l’abitazione di NOME COGNOME, ove più tardi giungevano anche COGNOME e COGNOME a bordo di Lancia Musa. Nella terza fase aveva luogo la ripartizione della sostanza stupefacente nei diversi autoveicoli, descritta dettagliatamente nella sentenza in base a quanto direttamente osservato dalla polizia giudiziaria. Nella quarta e ultima fase, la polizia giudiziaria interveniva bloccando e traendo in arresto gli imputati come analiticamente rappresentato nel provvedimento impugnato (pag. 9).
Riteneva quindi la Corte che l’articolazione delle fasi del trasporto consentisse di attribuire a tutti gli imputati la responsabilità per entrambi i reati di cui ai capi 1 2); in tal senso sottolineava che, come emergente dagli atti, le vetture Opel Astra e Audi A4, già condotte nella proprietà di Del Vecchio, si erano spostate affiancando il furgone Renault Trafic già lì presente e che, immediatamente dopo, Rotunno veniva visto caricare qualcosa di voluminoso all’interno dei due veicoli, così evidenziandosi che la manovra era finalizzata a caricare la droga dal furgone suddividendola fra le due auto. Sottolineavano i Giudici dell’appello che il solo dato dell’occultamento di armi e munizioni all’interno di un vano nascosto del furgone Renault non poteva far ritenere la inconsapevolezza del trasporto delle stesse, rimarcando che, diversamente da quanto illustrato nella sentenza di primo grado, l’esplosivo, i detonatori e i giubbotti antiproiettile non erano stati occultati nel vano nascosto del mezzo, ma erano anzi visibili nel vano di carico del medesimo.
Peraltro, riteneva illogico il ragionamento del Giudice di primo grado, là dove questi aveva attribuito a tutti gli imputati la detenzione e il trasporto dell’inte quantitativo di sostanza stupefacente, compreso quello custodito nello stesso vano ove erano rinvenute le armi. Concludeva quindi che unico ragionamento fornito di logica consequenzialità fosse quello di ritenere che NOME COGNOME, il cui spessore criminale era indiscutibile, conoscesse l’intero contenuto del furgone conservato nella sua proprietà e che avesse deciso di trasportarlo altrove con il necessario e consapevole aiuto di tutti gli imputati, unitamente alla sostanza stupefacente che era stata suddivisa in più veicoli.
Appariva in buona sostanza inverosimile che NOME COGNOME o chiunque altro conoscesse tutto il contenuto del furgone ne avesse affidato il trasporto a terzi nell’ambito di un convoglio articolato, che trasportava anche un ingente quantitativo di sostanza stupefacente, senza rendere edotti gli autori del suo reale contenuto. La delicatezza del carico ben spiegava anche la scelta di effettuare un convoglio articolato e frazionato, tale da ridurre i rischi di un controllo di polizia.
La Corte esaminava poi gli appelli dei singoli imputati.
Con riguardo ad NOMECOGNOME disattendeva il motivo di appello riguardante la pretesa confusione effettuata dalla polizia giudiziaria con altra persona, rilevando che si trattava di individuo ben conosciuto dalle Forze dell’ordine e che era del tutto irrilevante che lo stesso non fosse stato osservato in alcune fasce orarie.
Quanto alla specifica posizione di NOME COGNOME premesso che la notizia di reato ricevuta da fonte anonima era legittimamente utilizzabile per lo sviluppo delle indagini, riteneva meramente assertiva l’allegazione difensiva della mancata prova della sua identificazione, trattandosi del fratello di NOME, conosciuto per il suo pregresso criminale, e viceversa provata la sua partecipazione ai fatti come desumibile dai prolungati contatti con i coimputati – in particolare con COGNOME, Rotunno, NOME e NOME – prima della movimentazione del convoglio e dalla partenza anticipata a bordo della sua vettura Smart, con la evidente funzione di preventiva verifica del percorso.
L’accoglienza riservata ai coimputati, la preventiva verifica del percorso e il ruolo di staffetta escludevano la partecipazione passiva non punibile così come l’attenuante ex art. 114 cod. pen. Con riguardo alla invocata qualificazione della condotta in quella del reato ex art. 379 cod. pen. la Corte rimarcava che il contributo dallo stesso fornito era ampiamente integrativo di una delle condotte tipiche della fattispecie di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
La Corte disattendeva altresì le censure difensive in ordine alla posizione di NOME circa la sua partecipazione, basate sulla mera presenza e sul mancato rinvenimento di stupefacente a bordo dell’autoveicolo da costui condotto. Lo stesso aveva partecipato a tutte le fasi della vicenda. Riteneva erronea (oltre che irrilevante) l’affermata circostanza che egli, al momento dell’arresto, non si trovasse con i correi, perché insieme a COGNOME e COGNOME era a bordo della Fiat Panda, bloccata dagli operanti unitamente alla Opel Astra dalla quale NOME era sceso dandosi alla fuga; Rotunno, COGNOME e NOME erano stati arrestati poco lontano.
Quanto alla aggravante di cui all’art. 80, d.P.R. n. 309 del 1990 la Corte, estendendo tale valutazione a tutti gli imputati, sottolineava che all’elevatissimo numero di dosi medie ricavabili, dovevano aggiungersi non solo le modalità del fatto di cui al capo 1), ma anche il contestuale trasporto dell’arsenale. Sotto il profilo psicologico sottolineava che proprio l’articolazione del gruppo di trasporto e la
predisposizione di significative cautele facevano ritenere la consapevolezza dell’ingente carico. Tali considerazioni comportavano altresì il rigetto dell’ulteriore motivo di appello di COGNOME che aveva chiesto la diversa qualificazione nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990.
Nessuno dei coimputati veniva ritenuto meritevole delle attenuanti generiche, trattandosi di reati di indiscussa gravità, cui si aggiungevano per COGNOME, COGNOME e COGNOME i dati negativi derivanti dai significativi precedenti penali, né potendosi trarre elementi di positiva valutazione dai comportamenti processuali rispettivamente tenuti.
La Corte, quindi, procedeva a riformulare il trattamento sanzionatorio, individuando nel reato sub 2) quello più grave, e fissando per COGNOME, COGNOME e COGNOME la pena base in anni cinque e mesi sei di reclusione ed euro 12.000,00 di multa ciascuno, aumentata per la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 12, I. 14 ottobre 1974 n. 497, ad anni sette e mesi quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa. Evidenziava che lo scostamento dal minimo edittale e l’aumento significativo per l’aggravante erano determinati dalla quantità e natura delle armi (alcune da guerra e munite di silenziatore) e dell’esplosivo, sequestrato unitamente ai sistemi di detonazione. Seguiva un ulteriore aumento di anni uno di reclusione ed euro 2.000,00 di multa per la continuazione “interna” relativa alle armi comuni da sparo con connesso munizionamento, giungendosi ad anni otto e mesi quattro di reclusione ed euro 20.000,00 di multa. Detta pena veniva infine aumentata per il reato di cui al capo 1) di ulteriori anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 1.000,00 di multa e quindi complessivamente ad anni dodici e mesi dieci di reclusione ed euro 21.000,00 di multa; la significatività dell’aumento era giustificata in ragione dell’imponenza del quantitativo, delle modalità organizzate del trasporto e della programmazione articolata dell’attività. Con riferimento al solo Artusa la pena era ancora aumentata di mesi uno e giorni quindici per il reato di resistenza di cui al capo 4). La Corte procedeva quindi alla riduzione per il rito abbreviato, determinando per COGNOME e COGNOME la pena finale in anni otto, mesi sei di reclusione ed euro 14.000,00 ciascuno e per COGNOME in quella di anni otto, mesi sette e giorni venti di reclusione ed euro 14.000,00 di multa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto a NOME, COGNOME e COGNOME la pena base, in considerazione dell’assenza di precedenti penali, era stabilita in anni cinque di reclusione ed euro 8.000,00 di muta, aumentata per l’aggravante ex art. 12, comma secondo, I. cit., ad anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 12.000,00 di multa, aumentata per la continuazione interna ad anni sette e mesi due di reclusione ed euro 13.000,00 di multa, aumentata per la continuazione con il delitto di cui al capo 1) di anni quattro e mesi tre di reclusione ed euro 600,00 di multa e quindi complessivamente ad anni
undici e mesi cinque di reclusione ed euro 13.600,00 di multa, ridotta per il rito ad anni otto e mesi due di reclusione ed euro 9.067,00 di multa.
La Corte rigettava infine l’appello del Pubblico Ministero quanto ai delitti di cui all’art. 23 I. 18 aprile 1975, n. 110 sub capo 2) e al capo 3), trattandosi di armi da guerra, pertanto non considerabili come clandestine, così come riteneva insussistente il reato contestato in relazione alle due bombe a mano inerti (e dunque definitivamente non atte all’uso) e ai giubbotti antiproiettile. Revocava infine la pena accessoria dell’interdizione legale e dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici applicata ad COGNOME, COGNOME e COGNOME, applicando nei confronti dei medesimi quella della interdizione temporanea e confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Hanno presentato distinti ricorsi per cassazione, in parte sovrapponibili, i difensori degli imputati.
Quanto ai ricorsi dell’Avv. NOME COGNOME lo stesso ha denunziato, con motivi comuni agli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME, NOME, COGNOME e COGNOME, la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione:
3.1. alla mancanza di motivazione rafforzata, con riferimento all’affermazione di responsabilità in ordine al delitto di cui all’art. 12, commi primo e secondo, legge n. 497 del 1974 (capo 2), là dove la Corte territoriale non avrebbe dato atto che: – la natura e specie del carico non potevano essere conosciuti dagli imputati che non avevano partecipato alle relative operazioni; – COGNOME e COGNOME non erano presenti al momento dell’incontro monitorato all’interno del cortile di proprietà di Del Vecchio; all’interno delle autovetture non erano rinvenuti dispositivi per contattare gli altri componenti del gruppo; – i borsoni non erano stati prelevati dal furgone, ma da una zona vicino al furgone e ciò non consentiva di accertare cosa vi fosse al loro interno; – non avrebbe avuto senso frazionare il carico e, al contempo, farlo viaggiare unito, seppure in veicoli differenti, ma così vicini che un mero controllo avrebbe comunque impedito agli altri di dileguarsi, come poi effettivamente accaduto; – i ricorrenti non avevano partecipato alle fasi di preparazione e raggruppamento né era dimostrata la suddivisione dei compiti; – non c’era prova che la droga e le armi appartenessero a NOME COGNOME; – dovevano essere debitamente valutate le dichiarazioni di COGNOME giacché dalla stessa annotazione di servizio in data 23 dicembre 2021 non si evinceva che egli si fosse recato presso l’abitazione di COGNOME Vecchio; – non emergeva dagli atti quanto affermato in sentenza circa il medesimo COGNOME, ossia che egli fosse conosciuto dagli agenti operanti.
Con riferimento alla detenzione dell’intero quantitativo di sostanza stupefacente, nella sentenza si dà per scontato che droga e armi appartenessero a NOME
Del COGNOME, senza che sul punto sia intervenuto alcun pronunciamento neppure a livello indiziario; in tal senso non sussistevano elementi per ritenere integrata una ipotesi di concorso ai sensi dell’art. 110 cod. pen. e, comunque, la fattispecie era sussumibile nell’art. 59 cod. pen.;
3.2. all’ erronea applicazione dell’istituto della continuazione. Invero, la detenzione simultanea di tutto il materiale balistico configura un singolo reato e non un reato continuato perché il bene giuridico protetto rimane il medesimo. In ogni caso, anche a voler seguire l’impostazione adottata dalla Corte di merito, secondo cui si configurano due reati autonomi, non trova applicazione l’art. 81, comma primo, bensì l’art. 81, comma secondo, cod. pen. e, pertanto, non si dovrebbe applicare alcun aumento a titolo di continuazione interna;
3.3. agli artt. 81 cod. pen. e 125 cod. proc. pen., là dove il giudice del gravame, in assenza di appello del Pubblico ministero sui capi della sentenza in relazione ai quali era intervenuta condanna, perveniva alla determinazione del trattamento sanzionatorio in violazione del divieto di reformatio in pejus: la Corte non applicava l’art. 81, comma secondo, cod. pen., ma l’art. 81, comma primo, cod. pen., addivenendo così ad aumenti eccessivi per la continuazione;
3.4. alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990. La Corte di appello, per un verso, non ha correttamente valutato il dato ponderale (la sostanza rinvenuta sul furgone presentava un peso inferiore a due chilogrammi); sotto diverso profilo, ha valorizzato le modalità della condotta del reato di cui al capo 1) da ritenersi eccentriche rispetto alla fattispecie del capo 2).
Lo stesso difensore, con distinto motivo riguardante le posizioni di COGNOME, NOME, COGNOME e COGNOME, ha altresì sostenuto che la Corte di appello non ha considerato che non era stata raggiunta la prova della conoscenza e nemmeno della conoscibilità in capo ai detti ricorrenti della circostanza contestata, quando non può esservi alcuna presunzione in tal senso;
3.5. alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale ha scrutinato elementi relativi alle singole condotte senza legarli in un’operazione di complessiva quantificazione della pena, sottolineando anche elementi non riferibili nella loro integralità a ciascuno degli imputati.
3.6. Con riguardo alla specifica posizione di Carnevale il difensore ha denunziato vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento ai criteri di determinazione della pena base e degli aumenti ex art. 81 cod. pen., che la sentenza avrebbe anche graficamente omesso in relazione alla posizione del ricorrente, là dove (alle pagg. 15 e 16) si occupa del trattamento sanzionatorio.
Con riguardo ai ricorsi sottoscritti dall’Avv. NOME COGNOME per COGNOME e COGNOME, lo stesso ha denunziato, con motivi comuni ad entrambi gli imputati, la violazione di legge e il vizio di motivazione:
4.1. con riferimento alla mancata declaratoria di inammissibilità dell’atto di appello del pubblico ministero per mancanza di specificità dei motivi ex art. 581, comma 1-bis cod. proc. pen.;
4.2. con riguardo all’affermazione di responsabilità in ordine ai delitti di cui ai capi 1) e 2) dell’imputazione, in particolare, là dove il giudice del gravame ha omesso di motivare, quanto a COGNOME, circa la consapevolezza da parte del ricorrente di quanto contenuto nel furgone, con cui non aveva avuto alcun contatto. Con riferimento a COGNOME, egli non aveva consapevolezza di quanto contenuto nelle autovetture e nel furgone, non ha svolto alcun ruolo di “staffetta”, né ha mai avuto contatti con tali mezzi di trasporto;
4.3. con riguardo al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, là dove manca la consapevolezza in ordine al quantitativo della sostanza, considerato che né COGNOME, né COGNOME hanno mai avuto il possesso della stessa;
4.4. in relazione alla mancata diversa qualificazione dell’ipotesi delittuosa contestata al capo 1), in quella di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990;
4.5. in relazione alla eccessività del trattamento sanzionatorio, considerato che si verte in ipotesi di reato continuato e non di concorso formale, come erroneamente ritenuto dal giudice dell’appello;
4.6. con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e all’eccessività del trattamento sanzionatorio.
4.7 In relazione alla specifica posizione di COGNOME, il difensore ha altresì denunziato violazione di legge e vizio di motivazione là dove la Corte territoriale non ha diversamente qualificato i reati contestati ai capi 1) e 2) nel delitto di cui all’art 379 cod. pen. La condotta tenuta dall’imputato non è di tipo concorsuale, atteso che egli non ha avuto contatti con la sostanza trasportata né con le armi, ben potendosi così la sua condotta qualificare come favoreggiamento reale.
4.8. Con ultima censura il difensore lamenta, quanto alla posizione di COGNOME, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell’art. 114 cod. pen., atteso che il ricorrente non ha mai avuto contatti con la sostanza stupefacente o con le armi, che vi era una diversa vettura che fungeva da staffetta, che nulla di illecito è stato trovato in suo possesso, tanto da potersi affermare che senza la condotta ascritta allo stesso il trasporto si sarebbe ugualmente verificato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono parzialmente fondati nei limiti di seguito evidenziati.
Anzitutto non è fondato il motivo sollevato nei ricorsi dell’Avv. COGNOME per COGNOME e COGNOME con riguardo alla pretesa aspecificità dei motivi di appello del Pubblico Ministero.
Deve in tal senso essere ricordato il principio giurisprudenziale per il quale l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822).
Nei motivi dell’atto di appello del P.M. erano viceversa indicati i punti della decisione di primo grado oggetto delle critiche, nonché gli argomenti a sostegno delle doglianze, concernenti: l’erronea valutazione circa la mancata consapevolezza in capo agli imputati delle armi rinvenute sul furgone, dal momento che l’operazione di trasporto di armi e droga era unitaria. NOME COGNOME, ristretto agli arresti domiciliari, si era avvalso della collaborazione del fratello e di altre persone fidate per trasportare, con unica soluzione e con sforzo logistico organizzato, tutto il carico, a nulla rilevando chi, nello specifico, avesse eseguito le operazioni di carico o condotto un mezzo, risultando tale circostanza il risultato di una ripartizione dei ruoli atta a garantire il successo dell’operazione. Veniva altresì evidenziata la inverosimiglianza di una diversa ricostruzione, che non forniva una risposta plausibile ai motivi per cui tutto il “corteo” si fosse diretto verso un unico indirizzo. Si evidenziava ancora come il Giudice per l’udienza preliminare non avesse considerato, nell’escludere che la detenzione dell’esplosivo fosse ascrivibile agli imputati, che 12 kg. di esplosivo e 14 detonatori fossero custoditi nel vano di carico e non nel sottofondo predisposto all’interno del medesimo furgone, apparendo così visibili non soltanto a chi si era posto alla guida del mezzo, ma anche a coloro che avevano assistito alle operazioni di carico in prossimità dello stesso.
Di tal che appare evidente che non si tratta di una mera riproposizione grafica del verbale di arresto, ma che, viceversa, sono ben individuabili i rilievi mossi alla sentenza di primo grado con ancoraggio a elementi di fatto e di diritto posti alla base di detta decisione.
3. Sono invece fondati i motivi contenuti nei ricorsi degli Avv. COGNOME e COGNOME relativi a tutti i ricorrenti, riguardanti la mancanza di motivazione rafforzata con riferimento all’affermazione di responsabilità in ordine al delitto di cui all’art. 12 commi primo e secondo, legge n. 497 del 1974 (capo 2), nonché quanto al reato di cui agli artt. 73, comma 4 e 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990 – limitatamente al quantitativo di kg. 1,530 di hashish, trasportato nel furgone condotto da Rotunno (capo 1).
Al riguardo, va rammentato come costituisca espressione di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui, in tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice di primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore (così, tra le tante, Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056-01).
Valorizzando tale criterio ermeneutico, le Difese assumono che il percorso logico della sentenza impugnata sia viziato, giacché i ricorrenti nulla sapevano circa la natura del trasporto (non avendo partecipato alle operazioni di carico) e che non vi era alcuna certezza sul fatto che armi e droga appartenessero a Del Vecchio.
La sentenza impugnata ricostruisce la vicenda in maniera opposta a quanto aveva fatto il Giudice di primo grado che, pur assolvendo gli imputati dai reati riguardanti la detenzione e il porto delle armi, dell’esplosivo e delle munizioni, sostenendo che non potevano sapere dell’esistenza di tali beni nascosti nel sottofondo del furgone, aveva condannato gli stessi imputati anche per la detenzione dell’hashish che proprio in quel medesimo sottofondo era stata celata. Secondo i Giudici dell’appello, l’operazione aveva riguardato, dunque, non solo il trasporto dei due tipi di stupefacente, ma anche delle armi, esplosivi e munizioni.
Il percorso argomentativo seguito non scioglie tuttavia il dubbio che tutti gli odierni imputati sapessero della droga, mentre NOME COGNOME – noto pregiudicato che si trovava agli arresti domiciliari proprio nella casa davanti alla quale gli odierni ricorrenti si erano ritrovati e da dove erano poi partiti a bordo dei vari veicoli già considerati – che è rimasto del tutto estraneo al presente processo, avesse “approfittato” di quella operazione di spostamento delle droghe per far trasportare, agli ignari complici, anche le armi, gli esplosivi e le munizioni.
La Corte argomenta puntando l’accento sulla posizione di NOME COGNOME ritenendo che egli avesse necessariamente affidato un carico così delicato a persone di sua piena fiducia, tra cui il fratello NOMECOGNOME poiché tutti dovevano essere
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pronti a fronteggiare i rischi connessi al trasporto e a prestare la dovuta cura nella fase cruciale dello scarico e del conseguente deposito, anche al fine di scongiurare eventuali esplosioni del materiale trasportato.
E, tuttavia, i Giudici dell’appello argomentano in maniera congetturale nel momento in cui concludono irragionevolmente e in maniera assertiva nel senso che NOME COGNOME avesse dato istruzioni, prima della partenza del corteo, in ordine al trasporto tanto della sostanza stupefacente quanto delle armi e dell’esplosivo: ciò, peraltro, dando per assodato che sostanza stupefacente e armi appartenessero a costui, senza, tuttavia, spiegare come mai al prevenuto non fosse stato contestato alcun reato e fosse rimasto – come risulta dalla documentazione a disposizione – del tutto estraneo al processo.
In buona sostanza, la presenza di un vano nascosto nel furgone nel quale, oltre alle armi, era custodito un quantitativo pari a kg. 1,530 di hashish rende claudicante l’iter argomentativo del provvedimento, ove non si dà adeguatamente conto delle ragioni per cui ciascuno degli imputati avrebbe dovuto essere al corrente del carico ivi trasportato. E tanto vale anche per gli stessi borsoni che contenevano esplosivo e giubbotti antiproiettile che, pur non essendo custoditi nel sottofondo, erano ben chiusi, né risulta che siano stati visionati da alcuno prima del loro rapido caricamento a bordo del furgone, operazione alla quale non avevano preso parte tutti gli odierni ricorrenti.
In altri termini, il solo dato della contiguità spazio-temporale dei fatti accertati non consente, di per sé, di ascrivere a tutti, in maniera quasi “automatica”, la consapevolezza del trasporto delle armi e degli esplosivi e financo della sostanza stupefacente parimenti contenuta nel sottofondo.
Si impone quindi l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata sui capi della decisione sopra indicati.
Non sono viceversa fondati i motivi di ricorso degli Avv.ti COGNOME e COGNOME con riguardo a tutti gli imputati, relativamente alla responsabilità di tipo concorsuale per il trasporto del restante intero quantitativo di sostanza stupefacente, suddiviso nei diversi veicoli e trasportato con tali mezzi, eccezion fatta, per le ragioni innanzi illustrate, per il quantitativo di hashish occultato nel vano nascosto del furgone.
In linea generale, le censure dei ricorrenti con riguardo alla loro consapevolezza circa il contenuto delle autovetture e al fatto che gli stessi abbiano agito in base a un preciso compito predefinito, si palesano, per un verso, prevalentemente orientate verso una prospettiva di rilettura nel merito dei fatti e delle prove, come coerentemente e conformemente già valutati da entrambe le Corti di primo grado e di appello, e, per taluni aspetti, aspecifiche, non misurandosi con il reale apparato argomentativo del merito della decisione impugnata.
Invero, i Giudici del merito, con motivazione che su tale aspetto della vicenda risulta lineare e priva di fratture logiche, hanno dato atto che: – la presenza dei ricorrenti al momento della ripartizione e del carico di tale sostanza stupefacente da trasportare in tre distinti autoveicoli; – l’esecuzione del trasporto con l’ausilio d vetture “staffetta”, i cui occupanti avrebbero dovuto preavvertire i compagni che li seguivano della eventuale presenza di pattuglie delle forze dell’ordine; – le articolate modalità di incontro che avevano preceduto la partenza del convoglio e l’evidente finalizzazione ad evitare rischi di controllo sono dati che ragionevolmente possono essere considerati dimostrativi della sussistenza della loro piena consapevolezza del carico di droga che si erano diviso e che avevano poi trasportato. Proprio le modalità della concordata condotta, pianificate in dettaglio, sia nella fase antecedente, sia in quelle del carico e del successivo del trasporto, sono stati ritenute circostanze idonee a provare la responsabilità concorsuale di tutti i prevenuti, sulla base del percorso argomentativo privilegiato dai giudici di merito che resta esente da qualsivoglia censura di manifesta illogicità.
Inoltre, con specifico riguardo al ricorso di COGNOME, la Corte ha convincentemente ritenuto priva di fondamento la pretesa confusione fra l’imputato e altra persona da parte della Squadra Mobile di Frosinone, rilevando che la vettura originariamente condotta dal medesimo era stata dapprima seguita dalle Forze dell’ordine di Latina, che ben lo conoscevano, in ragione dei trascorsi criminali. In ogni caso, COGNOME aveva raggiunto l’abitazione di Del Vecchio unitamente a COGNOME, il quale, la mattina del 23 dicembre 2021, si era recato a casa del primo, per poi spostarsi insieme da Latina a Frosinone.
Quanto a NOME COGNOME questi era colui che, in esecuzione delle direttive del fratello NOME, poteva svolgere il delicato ruolo di “anello di congiunzione tra i correr (v. sentenza di primo grado, pag. 12): soggetto che non solo aveva partecipato al raggruppamento a casa del fratello NOME e si era poco prima incontrato con COGNOME, NOME, COGNOME e COGNOME, ma si era allontanato per primo, precedendo il gruppo di veicoli, con lo scopo di garantirne la sicurezza in ragione della delicatezza del carico.
Più in generale, in relazione alle specifiche posizioni dei singoli ricorrenti, i ricorsi – nella veste talora del vizio di violazione della legge penale o processuale e talora della carenza o contraddittorietà della motivazione – ripropongono prevalentemente doglianze già mosse con i motivi d’appello e disattese efficacemente dalla Corte territoriale in ordine al peso probatorio delle informazioni e dei dati acquisiti, sostanzialmente sollecitando una inammissibile rivisitazione da parte della Corte di cassazione degli elementi dimostrativi posti a fondamento delle – sul punto conformi decisioni di merito: le cui statuizioni risultano assistite da una ricostruzione adeguata e immune da vizi logici e convergenti nell’operazione valutativa
complessiva del materiale probatorio, efficacemente riscontrato dai servizi di polizia giudiziaria.
Ne deriva come lineare e logico corollario l’infondatezza degli assunti difensivi dei ricorrenti che hanno denunziato la violazione di legge o il vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di prova della responsabilità per le illecite condotte ad essi rispettivamente ascritte con riguardo al delitto di cui al capo 1), pur con la già segnalata eccezione della sostanza stupefacente custodita nel vano nascosto del furgone. Invero, con specifico riferimento alle diverse posizioni processuali e anche con riguardo al profilo soggettivo, entrambi i giudici di merito hanno concordemente valutato in maniera non parcellizzata i numerosi elementi di prova, non contraddetti peraltro da alcuna spiegazione alternativa: a fronte del ricco, congruo e logico apparato argomentativo della pronuncia di condanna appare evidente che i ricorrenti, nel censurare nei dettagli il peso delle acquisite informazioni probatorie, tendono a prospettare sostanzialmente una inammissibile rivisitazione da parte della Corte di cassazione di singoli elementi fattuali, dei quali le conformi sentenze di merito hanno offerto una valutazione, su tale aspetto della vicenda in esame, solida e adeguata, non censurabile in sede di legittimità.
Sicché, con riferimento a tale capo di imputazione e con i limiti segnalati, la motivazione della sentenza impugnata si presenta congruamente e logicamente argomentata nella ricostruzione probatoria delle vicende e nei relativi apprezzamenti di merito, perciò non censurabile per questo aspetto in sede di controllo di legittimità.
5. Non è fondato neppure il motivo di ricorso attinente alla ritenuta aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990. Le Sezioni Unite hanno chiarito che per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità, continuano ad essere validi, anche successivamente alla riforma operata dal decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, i criteri basati sul rapporto tra quantità di principio attivo e valore massimo tabellarmente detenibile fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, COGNOME, e che pertanto, con riferimento alle c.d. droghe leggere, l’aggravante non è di norma ravvisabile quando la quantità di principio attivo è inferiore a due chilogrammi, pari a 4.000 volte il valore-soglia di 500 milligrammi (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005).
Spiegano le Sezioni Unite che «la soglia così stabilita (…) definisce tendenzialmente il limite quantitativo minimo, nel senso che, al di sotto di essa, la “ingente quantità” non potrà essere di regola ritenuta; al di sopra, viceversa, deve comunque soccorrere la valutazione in concreto del giudice del merito. In altre parole, i parametri sopra enucleati non determinano – di per sé e automaticamente – se
superati, la configurabilità dell’aggravante. Essi, invero, valgono solo in negativo, nel senso che, al di sotto degli accennati valori quantitativi, l’aggravante (ex art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990) deve ritenersi in via di massima non sussistente».
Si è quindi affermato che il superamento del limite quantitativo non determina automaticamente la sussistenza dell’ipotesi aggravata, dovendo, in ogni caso, aversi riguardo alle circostanze del caso concreto (Sez. 6, n. 43771 del 07/10/2014, Annmer, Rv. 260715). Va precisato che tra le circostanze del caso concreto può essere preso in considerazione anche il dato relativo al numero di dosi estraibili dalla sostanza, numero che quando, come nel caso di specie, è oggettivamente assai rilevante (266.964 di hashish e 21.465 di marijuana a bordo della vettura condotta da COGNOME, cui debbono aggiungersi 577.106 di hashish e 36.911 di marijuana sulla vettura condotta da Rea) esime il giudice dal dimostrare ulteriormente la gravissima offensività della condotta. In buona sostanza, l’onere motivazionale è inversamente proporzionale alla quantità di dosi estraibili dalla sostanza: più il numero di dosi supera il limite minimo al di sotto del quale la quantità non può mai essere ritenuta ingente, meno stringente è l’onere motivazionale sul punto, cui la sentenza impugnata ha ampiamente ottemperato.
Quanto al preteso malgoverno dell’art. 59 cod. pen., la doglianza difensiva sul punto è assolutamente generica, avuto riguardo alle considerazioni di cui al paragrafo che precede relativamente alla consapevolezza di tutti i concorrenti circa il carico di sostanza stupefacente trasportata (eccezion fatta, si ribadisce, per kg. 1,530 di hashish custoditi nel vano nascosto del furgone condotto dal Rotunno, profilo sul quale, come si è visto, vi è decisione rescindente).
6. Il motivo di ricorso con cui l’Avv. COGNOME per COGNOME e COGNOME censura la mancata diversa qualificazione dell’ipotesi delittuosa contestata al capo 1), in quella di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 risulta generico e manifestamente infondato. Con riferimento a COGNOME, peraltro, la doglianza non risulta essere stata previamente dedotta come motivo di appello, secondo quanto è prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (come si evince dall’atto di appello, vedente solo su responsabilità, configurabilità dell’aggravante ex art. 80, comma 2 d.P.R. cit., attenuanti ex art. 62-bis cod. pen. e dosimetria della pena).
Alle coordinate fissate dalla ormai consolidata giurisprudenza di legittimità si sono peraltro conformati i giudici del merito là dove hanno fatto espresso riferimento ai quantitativi assai importanti di hashish e marijuana complessivamente trasportati (pur escluso il carico del furgone), pari a 266.964 dosi medie droganti di hashish e 21.465 dosi medie singole di marijuana a bordo della vettura guidata da COGNOME; 577.106 dosi medie singole di hashish e 36.911 di marijuana sulla vettura condotta da COGNOME, così evidenziandosi un’attività di tipo concorsuale, sistematica e ad altissima
diffusività della capacità offensiva degli interessi giuridicamente protetti dalla norma incriminatrice contestata.
Non è fondato il motivo del ricorrente COGNOME relativamente alla diversa qualificazione della condotta da lui tenuta nel reato di cui all’art. 379 cod. pen. che, in ragione della genericità, lambisce i confini della inammissibilità. Basti fare richiamo a quanto esposto sub 4), oltre a rimarcare che la Corte, con motivazione sostenuta da un logico iter argomentativo, ha evidenziato la “delicatezza” del ruolo svolto da NOME COGNOME. In tal senso, oltre alle evidenze sopra richiamate, si aggiunge che il distacco temporale tra il passaggio della vettura condotta dal ricorrente e quello degli altri veicoli, con identità di percorso, sottolinea il fondamentale ruolo di “staffetta” affidato a COGNOME e conferma il suo pieno e consapevole contributo all’operazione di trasporto della sostanza stupefacente, integrando così una delle condotte tipiche del delitto di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990.
Considerazioni del tutto analoghe valgono per il motivo con cui si invoca, per lo stesso imputato, l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. Anche in questo caso la Corte, con motivazione logica e consequenziale, richiamando i compiti di “accoglienza” presso l’abitazione del fratello NOME, di preventiva verifica del percorso e poi di fondamentale “staffetta”, ne ha escluso l’applicabilità. Tali considerazioni non sono inficiate dai generici rilevi contenuti nel ricorso che, oltre a richiamare principi della giurisprudenza di legittimità non applicabili al caso di specie, si limita ad affermare, in modo apodittico, che “senza la condotta ascritta a Del Vecchio il trasporto si sarebbe ugualmente verificato”.
Si osserva, peraltro, che, per l’integrazione dell’attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., non è neppure sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve, rispetto all’evento, da risultare trascurabile nell’economia generale del crimine commesso (Sez. 4, n. 26525 del 07/06/2023, Malfarà, Rv. 284771). Ciò non è dato evincere dalla sequela di eventi descritta nella pronuncia impugnata, là dove viceversa, il ruolo svolto da COGNOME si presenta come delicato e cruciale (si veda sub 4 e 7).
Tutti i restanti motivi (relativi all’erronea applicazione dell’istituto dell continuazione, al trattamento sanzionatorio, con particolare riguardo alla violazione del divieto di reformatio in peius, nonché alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche) devono considerarsi assorbiti. Peraltro, all’esito della nuova valutazione, la Corte porrà altresì rimedio all’omissione relativa all’indicazione dei
criteri di determinazione del trattamento sanzionatorio verificatasi con riguardo alla posizione di Carnevale.
Alla luce delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata va, dunque, annullata – limitatamente al capo 2), nonché ai reati di detenzione e trasporto di 1,530 kg. di hashish di cui al capo 1) – con rinvio, per nuovo giudizio su tale capo e su tali reati, ad altra sezione della Corte di appello di Roma. I ricorsi vanno rigettati nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo 2), nonché ai reati di detenzione e trasporto di 1,530 kg. di hashish di cui al capo 1), e rinvia, per nuovo giudizio su tale capo e su tali reati, ad altra sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta nel resto i ricorsi degli imputati.
Così deciso il 03/12/2024