Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26456 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26456 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI VENEZIA nel procedimento a carico di: NOME nato a CAVARZERE il 18/09/1975
avverso l’ordinanza del 20/11/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
Letta la memoria rassegnata dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME con cui è stata chiesta la declaratoria di inammissibilità del ricorso del Pubblico ministero.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in epigrafe, reso il 20 novembre 2024, il Tribunale di Venezia – decidendo sulla richiesta di riesame proposta dal difensore di NOME COGNOME avverso il decreto emesso il 12 ottobre 2024 dal Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale, con cui era stata disposta la convalida della perquisizione e del sequestro del fucile da caccia, meglio descritto in atti, e del relativo munizionamento disposto di urgenza dalla Polizia metropolitana di Venezia il 9 ottobre 2024 – ha annullato il decreto impugnato e disposto la restituzione all’avente diritto dei beni sequestrati, se non vincolati ad altro titolo.
La Polizia aveva sottoposto a controllo il furgone condotto da COGNOME e, all’interno del veicolo, aveva rinvenuto il suddetto fucile da caccia semiautomatico (cal. 12, marca COGNOME, modello Accademia, matricola CODICE_FISCALE, inserito in una custodia, ma carico: aveva, quindi, ritenuto che, nel contesto accertato, COGNOME si fosse reso responsabile di trasporto di fucile in violazione dell’art. 53 r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento T.U.L.P.S.); sanzionato ai sensi dell’art. 221 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.), in quanto il trasporto avrebbe dovuto essere effettuato con l’arma scarica.
Il Pubblico ministero, con il citato decreto del 12 ottobre 2024, aveva convalidato il sequestro di natura probatoria, in quanto aveva ritenuto che il fucile fosse corpo di reato rispetto all’indicato titolo, necessario a fini deg accertamenti istruttori, oltre che da assoggettarsi a confisca obbligatoria.
Il Tribunale, in sede di riesame, vagliando la doglianza articolata dalla difesa, che aveva sostenuto come la confisca obbligatoria riguardasse, ex artt. 240 cod. pen. e 6 della legge 22 maggio 1975, n. 152, l’arma oggetto di porto illegittimo, non quella oggetto di trasporto, condotta non presa in esame dalle indicate norme, ha concluso per l’assenza del fumus commissi delicti così pervenendo all’annullamento suindicato.
I giudici del riesame hanno osservato che si trattava, non di trasporto di arma, bensì di porto di arma, da ritenersi consentito: le prospettazioni difensive andavano condivise nell’esito, non quanto alle premesse; la condotta serbata da COGNOME nel caso di specie era da inquadrarsi, non nel trasporto di arma, come avevano ritenuto la Polizia e il Pubblico ministero, ma nel porto dell’arma, in quanto le caratteristiche della condotta censurata facevano propendere per la qualificazione della stessa come porto di fucile, da ritenersi lecita siccome esercitata in un luogo in cui detta arma poteva essere portata.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia chiedendone l’annullamento sulla scorta di un unico motivo con cui denuncia l’erronea applicazione della legge penale.
Il ricorrente stigmatizza, sulla scorta delle evidenziate connotazioni del fatto, le conclusioni raggiunte dai giudici del riesame: pur essendo titolare di porto di arma da caccia, COGNOME avrebbe dovuto comunque osservare la regola di non trasportare l’arma carica nel proprio autoveicolo, trattandosi di norma precauzionale, posta non soltanto dall’art. 53 Regolamento T.U.L.P.S., ma anche dall’art. 21, comma 1, lett. g), della legge 11 febbraio 1992, n. 157, disposizione riguardante proprio il fatto di tenere un’arma destinata alla caccia carica, ancorché assentita, all’interno di veicoli.
Ciò integra, secondo il ricorrente, comportamento vietato, al pari di quello di cacciare sparando da veicoli a motore, di cui all’art. 21, comma 1, lett. i), della legge ora citata.
In questa prospettiva, secondo il Procuratore ricorrente, il porto di arma destinata alla caccia deve intendersi limitato al di fuori del contesto venatorio, nella sua possibilità di immediato recupero e uso della stessa, dalle precauzioni da adottare nel suo trasporto a bordo di veicoli, costituite in particolare dalla necessità di scaricare l’arma, a causa dell’evidente rischio, in caso contrario, di incidenti costituiti dall’esplosione di colpi accidentali, rischio innescato dall’arma stessa, non più controllata dal soggetto legittimato: secondo il Procuratore circondariale, il Tribunale ha, pertanto, omesso di considerare che l’art. 221 T.U.L.P.S., norma di chiusura, sanziona penalmente la fattispecie in concreto accertata, con i conseguenti effetti in tema di mantenimento del sequestro.
Il Procuratore generale, con la requisitoria rassegnata per iscritto, ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, in quanto il Tribunale, dopo aver evidenziato la differenza tra la condotta di porto e la condotta di trasporto di arma, non ha considerato in modo adeguato il dettato degli artt. 53 T.U.L.P.S. e 21 della legge n. 157 del 1992, da cui esame è dato trarre che il trasporto dell’arma deve avvenire dopo che essa è stata scaricata, non essendo consentito che il fucile viaggi carico, sia in caso di porto, sia in caso di trasporto, stante il principio precauzionale tutelato dalle norme specificate.
La difesa di COGNOME ha rassegnato una memoria con cui ha sottolineato la carenza di interesse a impugnare in capo al Pubblico ministero, in quanto, ove pure volesse condividersi la qualificazione giuridica del fatto prospettata
dall’Autorità ricorrente, le conseguenze sul piano dell’applicabilità della misura cautelare sarebbero le medesime: nessuna misura cautelare potrebbe essere applicata nel caso di specie, posto che per le contravvenzioni in materia di trasporto di armi da fuoco (alla luce del combinato disposto degli artt. 240, secondo comma, cod. proc. pen., e 6, primo comma, della legge n. 152 del 1975) non è prevista la confisca, per cui il decreto di convalida del sequestro dovrebbe essere ugualmente annullato.
In tal senso, secondo la difesa, l’impugnazione non mira a conseguire nessuna modifica sostanziale della situazione di fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte ritiene che il ricorso sia da accogliere per le ragioni e con le specificazioni che seguono.
Deve muoversi dal rilievo che il Tribunale del riesame ha valutato come non integrata da parte dell’indagato, allo Stato degli atti compulsati (in particolare, dell’annotazione dell’Il ottobre 2024), la condotta di trasporto del fucile da caccia prefigurato dall’accusa, giacché l’arma era stata rinvenuta nell’abitacolo del veicolo condotto da COGNOME certo inserita in una custodia leggera, ma non chiusa a chiave e collocata vicino al medesimo soggetto.
Da tali elementi è stata tratta la conseguenza che COGNOME si trovasse, in quel frangente, con l’arma pronta all’uso, in condizioni di disponibilità tali da formare oggetto di porto. Posto ciò, siccome l’indagato risulta titolare di licenza per il porto dell’arma da caccia, i giudici del riesame hanno per ciò solo concluso che tale titolo gli consentiva di portare il fucile in luogo in cui era consentito farlo conseguenza egli aveva tenuto una condotta di porto non abusivo, ma legittimo, in quanto l’arma, legalmente detenuta, era portata in luogo di campagna.
Corollario di tale impostazione è stato l’assunto della mancanza di fumus commissi delicti in ordine al reato rispetto a cui il sequestro avrebbe dovuto dimostrarsi funzionale.
Questo percorso argomentativo ha indotto i giudici del riesame a non affrontare il tema, posto dalla difesa, della prospettata non confiscabilità delle armi oggetto del solo reato di trasporto contra legem.
È necessario, inoltre, ribadire che il sequestro probatorio costituisce il terminale provvedimentale di un subprocedimento in relazione a cui è prevista l’impugnazione innanzi al tribunale per il riesame che la decide con ordinan9, a
sua volta impugnabile con ricorso per cassazione per sola violazione di legge, ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen.
Si afferma, in modo qui condiviso, che quando si afferma che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione devono ricomprendersi sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692 – 01; fra le successive, Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, COGNOME, Rv. 285608 – 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656 – 01).
Quanto all’identificazione del presupposto per l’adozione del sequestro probatorio, ai fini della legittimità di tale misura, non è necessaria la prova del carattere di pertinenza o di corpo di reato delle cose oggetto del vincolo, essendo sufficiente la semplice possibilità, ma che sia non astratta e avulsa dalle caratteristiche del caso concreto, della configurabilità di un rapporto di queste con il reato (Sez. 2, n. 51200 del 29/10/2019, COGNOME, Rv. 278229 – 01; Sez. 6, n. 33229 del 02/04/2014, Visca, Rv. 260339 – 01).
In siffatto alveo, il punto determinante concerne la specificazione dell’onere di motivazione che incombe all’autorità emittente il provvedimento di sequestro o di convalida del sequestro probatorio con riferimento a tale presupposto: si esige, infatti, che anche nel disporre o convalidare il sequestro probatorio l’autorità giudiziaria debba estrinsecare il minimum indispensabile argomentazione giustificativa.
È stato specificamente affermato dalle Sezioni Unite che il decreto di sequestro probatorio, al pari del decreto di convalida, ove pure abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto in modo specifico della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273548 – 01), sicché, seguendo tale traccia, non si è mancato di precisare che, afferendo il suddetto obbligo di motivazione a sostegno del decreto di sequestro probatorio alla ragione per cui i beni possano considerarsi il corpo del reato ovvero cose a esso pertinenti e alla concreta finalità probatoria perseguita con l’apposizione del vincolo, esso va modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione le cose presentano con il reato, nonché alla natura del bene che si intende sequestrare, per cui, per un verso non è sufficiente il mero richiamo agli articoli
di legge, per altro verso non si esige la descrizione dei fatti, né la ragione per la quale i beni sequestrati dovessero considerarsi corpo di reato o cose ad esso pertinenti e neanche finalità probatoria perseguita (Sez. 2, n. 46130 del 04/10/2023, COGNOME, Rv. 285348 – 01).
Ferma tale base logico-giuridica, è da condividere anche la specificazione secondo cui l’onere motivazionale del pubblico ministero che disponga un decreto di sequestro probatorio o che convalidi il sequestro effettuato dalla polizia giudiziaria può essere assolto anche con l’impiego di un modulo prestampato, sempre che l’apparato giustificativo emergente dal relativo atto risulti, in concreto, idoneo a esprimere le ragioni essenziali e le finalità dell’apposizione del vincolo reale, in ossequio al disposto dell’art. 253 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 7160 del 07/11/2018, dep. 2019, Dalton, Rv. 275007 – 01), con l’avvertenza che il decreto di convalida motivato per relationem postula che la valutazione critica che il pubblico ministero è tenuto ad effettuare in riferimento agli atti richiamati sia tanto più pregnante quanto più indiretto è il collegamento tra il reato e la res e quanto maggiori risultino il livello di progressione investigativa e il grado di compressione dei diritti costituzionali coinvolti (Sez. 3, n. 50324 del 30/11/2023., COGNOME, Rv. 285591 – 01).
In questa direzione si è aggiunto che, per la legittimità dei provvedimenti in materia di sequestro probatorio, può essere sufficiente l’affermazione che l’oggetto del vincolo riguarda cose pertinenti al reato, anche in difetto della completa formulazione di un capo di imputazione, imputazione che, tenuto conto della fase in cui interviene la convalida, ben può fare riferimento esclusivamente al titolo del reato per cui si procede e agli atti redatti dalla polizia giudiziar (Sez. 2, n. 27859 del 30/04/2019, Chianese, Rv. 276727 – 01).
4. Nel caso di specie, il Tribunale ha, per un verso, escluso il fumus con riferimento alla condotta di trasporto di arma, non avendo ritenuto rilevante il dato – evidenziato dalla Polizia giudiziaria per configurare la violazione dell’art. 53 Regolamento T.U.L.P.S., sulla base dell’estraneità all’attività venatoria del contesto in cui l’arma si trovava – dell’avvenuta collocazione del fucile da caccia nella custodia, siccome in posizione reputata comunque tale da essere nella sua immediata disponibilità (in tale snodo essendosi richiamato al condiviso orientamento segnato, fra le pronunce più recenti, da Sez. 1, n. 26209 del 11/04/2024, Gentile, Rv. 286601 – 01), e, prefigurata la corrispondente condizione in quella di porto del suddetto fucile, ne ha tuttavia affermato la liceità, con conseguente esclusione del corrispondente fumus commissi delicti.
Ciò ha fatto, però, senza fornire una tangibile spiegazione relativamente al
punto decisivo in virtù del quale ha disatteso la base su cui era stato reso il decreto genetico: ossia l’estraneità di quella condotta dell’indagato all’attività venatoria, per i conseguenti effetti sulla valutazione della sua antigiuridicità.
Argomentando nel senso suindicato, i giudici del riesame hanno ritenuto superfluo confrontarsi con la tesi della difesa inerente alla dedotta non suscettibilità di confisca dell’arma oggetto del reato di trasporto contra legem e, affermando la liceità del porto, hanno escluso anche il riscontro del fumus della cautela rispetto alla condotta in concreto ritenuta.
4.1. Su quest’ultimo versante, significativamente coltivato dalla difesa anche nella memoria depositata in questa sede, deve osservarsi che l’interpretazione restrittiva del quadro normativo volta all’esclusione dell’obbligatorietà della confisca delle armi oggetto del reato contravvenzionale di illecito trasporto prospettata da COGNOME fin dalla prima fase non può essere condivisa.
Essa si basa sulla sola portata letterale dell’art. 240, secondo comma, n. 2, cod. pen., disposizione la quale sancisce che è sempre ordinata la confisca, fra le altee cose, di quelle “la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna”.
Al di là di ogni considerazione circa l’effettiva estensione semantica della nozione di porto coltivata dalla norma codicistica in questo snodo, è da osservare che l’interpretazione prospettata sembra svalutare l’effetto specificativo, di chiara portata omnicomprensiva, determinato dall’ulteriore norma costituita dall’art. 6, primo comma, legge n. 152 del 1975, alla luce del quale “il disposto del primo capoverso dell’articolo 240 del codice penale si applica a tutti i reati concernenti le armi, ogni altro oggetto atto ad offendere, nonché le munizioni e gli esplosivi”.
L’inscindibile legame logico-giuridico fra l’obbligatorietà della confisca stabilita dalla fonte codicistica e l’oggetto di essa, quando si tratti di armi, a “tutti i reati concernenti” le medesime si profila chiaro.
In virtù di questo nesso si è, fra l’altro, evidenziato più volte che la misura di sicurezza patrimoniale della confisca è imposta per tutti i reati concernenti le armi ed è obbligatoria anche in caso anche in caso di declaratoria di estinzione del reato per oblazione e di proscioglimento dell’imputato per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., restando esclusa soltanto nell’ipotesi di assoluzione nel merito per insussistenza del fatto o di appartenenza dell’arma a persona estranea al reato medesimo (Sez. 1, n. 29537 del 06/06/2024, COGNOME, Rv. 286686 – 02; Sez. 1, n. 54086 del 15/11/2017, COGNOME Rv. 272085 01; Sez. 1, n. 33982 del 06/04/2016, COGNOME, Rv. 267458 – 01).
4.2. Sul versante della verifica del fumus, deve rilevarsi, in tal senso
risultando fondata l’impugnazione proposta dal Procuratore circondariale, che il Tribunale – a fronte dell’impostazione su cui era stata disposta la convalida del sequestro probatorio del fucile, costituita dall’essere stata rilevata la concreta condotta ascritta a COGNOME come estranea all’attività venatoria, ma circoscritta al solo trasporto dello stesso (perché effettuato con l’arma ancora carica) – ha affermato la sussistenza di una base indiziaria adeguata per qualificare tale condotta quale porto dell’arma, per poi ritenerne la piena liceità mediante il mero riferimento alla zona di campagna in cui il veicolo era stato controllato dagli operanti.
Tale affermazione, tuttavia, è risultata sostanzialmente priva di base argomentativa rispetto al contenuto della, pure citata, fonte informativa, l’autorità redigente la quale aveva, invece, sotteso alla comunicazione della notizia di reato l’avvenuto controllo di COGNOME nella disponibilità dell’arma in una situazione estranea al contesto dell’attività venatoria.
Sul tema è rilevate sottolineare che, secondo l’orientamento ermeneutico che qui si condivide, l’autorizzazione al porto di un’arma per un uso specifico, ossia per un impiego diverso da quello di difesa per personale, ma per il suo uso sportivo o per il suo utilizzo nell’attività della caccia, non rende legittimo il port della stessa, ove esso sia invece effettuato per finalità diverse da quella consentita dal provvedimento amministrativo (Sez. 5, n. 28320 del 12/04/2019, Bronzollino, Rv. 276134 – 01; Sez. 1, n. 44419 del 01/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 268259 – 01): ciò, perché, come spiegano le richiamate decisioni, l’ordinamento non riconosce come diritto soggettivo pubblico la possibilità per il cittadino di portare un’arma da fuoco fuori dalla propria abitazione.
Il porto delle armi, in mancanza dello specifico provvedimento della Autorità della Pubblica Sicurezza che (ex art. 42 T.U..L.P.S.) lo consenta, è vietato in via generale e costituisce condotta illecita, soltanto il rilascio della licenza (per i porto d’armi) per difesa personale configurando il fatto costitutivo del titolo che abilita il soggetto a portare fuori dalla propria abitazione l’arma ed esistendo, poi, permessi di carattere settoriale (in particolare, la legge 25 marzo 1986, n. 85, che ha dettato norme in materia di armi per uso sportivo e ha regolamentato l’uso di armi per tale finalità, e la legge 11 febbraio 1992, n. 157, che ha disciplinato la licenza di porto di arma per uso di caccia).
Pertanto, il porto del fucile per l’uso della caccia da parte del titolare della licenza va necessariamente coordinato con il suo impiego nell’esercizio dell’attività venatoria e in quella alla stessa strumentale, dovendo il titolare curare di attenersi ai limiti funzionali della licenza onde evitarne il superamento:
fatto – quest’ultimo – che, ove si verifica, determina l’illiceità del corrispondente condotta, siccome priva della base legittimante costituita dal provvedimento amministrativo.
4.3. Delibando la fattispecie in questa prospettiva, deve rilevarsi che il decreto genetico aveva individuato il fumus del reato contravvenzionale di cui all’art. 53 Regolamento T.U.L.P.S., in relazione all’art. 221 T.U.L.P.S., di trasporto illecito del fucile, perché effettuato con l’arma carica, in dipendenza della ritenuta estraneità della condotta all’attività venatoria.
Il Tribunale, variando la qualificazione della condotta, da trasporto in porto del fucile da caccia, non ha, tuttavia, spiegato, con motivazione effettiva, la ragione per la quale il porto del fucile avrebbe dovuto e dovrebbe considerarsi regolarmente inserito nell’attività venatoria laddove gli accertatori avevano ritenuto quella medesima condotta – inquadrata come trasporto – avulsa dall’attività stessa.,
In tal modo il fumus del reato configurato nel decreto di convalida è stato dai giudici del riesame escluso senza l’estrinsecazione di alcuna motivata spiegazione della liceità della diversa condotta di porto dell’arma, pur se riferita alla stessa situazione di fatto.
È risultata, quindi, assente la motivazione sul seguente punto decisivo (che ha determinato la violazione di legge nel senso già precisato): se si trattasse di porto di fucile legittimamente connesso all’attività venatoria, con conseguente superamento della prognosi operata nel decreto di convalida, oppure se anche per tale porto, come per il trasporto prospettato nel provvedimento genetico, sussistesse il fumus idoneo a sorreggere il disposto sequestro, nei termini e nei limiti (pure in principio puntualizzati) della verifica di tale presupposto in sede cautelare.
A fronte di questo determinante rilievo, da un lato, emerge che l’interesse all’impugnazione del Pubblico ministero risulta senz’altro sussistente (contrariamente a quanto ha prospettato la difesa) e, dall’altro e conseguentemente, si impone l’accoglimento del ricorso.
L’ordinanza impugnata deve essere, quindi, annullata con rinvio al Tribunale di Venezia affinché effettui la nuova disamina del suindicato punto e fornisca nell’ambito del discorso giustificativo necessario per il riesame dei requisiti del decreto di convalida del sequestro probatorio del fucile – una motivazione effettiva in merito alla verifica compiuta, con riferimento al provvedimento genetico, della situazione accertata, del reato in concreto configurabile e dell’evenienza o meno del fumus in ordine allo stesso, in relazione
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dell’arma nell’esercizio dell’attività venatoria (unicamente) autorizzata dal porto di cui COGNOME era titolare.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di
Venezia, competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p.
Così deciso in data 11 aprile 2025
Il Cns liere estensore
Il Presidente