Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 290 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 290 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Ricadi il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/05/2024 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, di replica alle conclusioni del Pubblico Ministero;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 09/05/2024, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del 27/07/2021 del G.i.p. del Tribunale di Torino, emessa in esito a giudizio abbreviato, confermava la condanna NOME COGNOME per il reato di tentato trasferimento fraudolento di valori a lui contestato, rideterminando in un anno di reclusione la pena irrogata al COGNOME per tale reato.
La condotta attribuita all’imputato sarebbe in particolare consistita nel costituire la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (di seguito «RAGIONE_SOCIALE»), con presidente del consiglio di amministrazione e socio di
maggioranza (con la quota del 75%) NOME COGNOME e consigliere e socio di minoranza (con la quota del 25%) NOME COGNOME, ma che sarebbe stata sostanzialmente gestita dallo stesso COGNOME, destinata a prendere in affitto dall’amministrazione giudiziaria il ramo di azienda dell’RAGIONE_SOCIALE (di seguito: «RAGIONE_SOCIALE»), RAGIONE_SOCIALE che er sottoposta a sequestro nell’ambito di un procedimento di prevenzione a carico del COGNOME.
Avverso la menzionata sentenza del 09/05/2024 della Corte d’appello di Torino, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dei propri difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione «in ordine a specifico punto di doglianza inerente all’idoneità dell’azione a realizzare l’evento», nonché la violazione dell’art. 49 cod. pen.
Il ricorrente precisa in punto di fatto che: 1) i terreni e il fabbricato nei q veniva esercitata l’impresa svolta da RAGIONE_SOCIALE non erano di proprietà di questa RAGIONE_SOCIALE ma di RAGIONE_SOCIALE, la quale li aveva concessi a RAGIONE_SOCIALE con un contratto di «comodato d’uso a titolo oneroso» (poi correttamente registrato come affitto) stipulato il 14/02/2015 (da NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME, nella duplice veste di amministratore di entrambe le RAGIONE_SOCIALE); 2) tale contratto di affitto era scaduto il 13/02/2019; 3) successivamente, il 25/03/2019, sia RAGIONE_SOCIALE sia RAGIONE_SOCIALE erano state sottoposte a sequestro di prevenzione ed erano state entrambe affidate dal giudice delegato all’amministratore giudiziario NOME COGNOME COGNOME.
Ciò precisato in punto di fatto, il ricorrente espone che, come è dato atto nella sentenza impugnata, là dove la Corte d’appello di Torino ha riepilogato i contenuti della discussione orale dell’AVV_NOTAIO, egli, con riguardo all’idoneità degli att aveva perciò eccepito che, perché RAGIONE_SOCIALE potesse affittare il ramo d’azienda a RAGIONE_SOCIALE, «[e]ra necessario quindi concludere un altro contratto di affitto [dei terreni e del fabbricato], che avrebbe potuto stipulare solo il d COGNOME COGNOME amministratore di entrambe le RAGIONE_SOCIALE; ciò non era possibile perché egli non poteva che amministrare e non poteva concludere un contratto di affitto dando preferenza ad una RAGIONE_SOCIALE piuttosto che a un’altra» (pag. 10 della sentenza impugnata).
Il COGNOME contesta che la Corte d’appello di Torino, pur avendo dato atto di tale doglianza, non avrebbe poi dedicato «neppure un rigo» alla confutazione di essa, e lamenta che ciò integrerebbe la mancanza della motivazione su un punto «preliminare dirimente che dimostra l’inidoneità strutturale dell’intera azione a
realizzare l’evento dannoso, tanto da configurare un vero e proprio reato impossibile ex art. 49 c.p.».
Quanto al merito della doglianza, il ricorrente rappresenta che: 1) poiché il contratto di affitto dei terreni e dell’immobile nei quali veniva esercitata l’impre svolta da RAGIONE_SOCIALE era scaduto il 13/02/2019, perché RAGIONE_SOCIALE potesse, nel luglio del 2019, quando si svolsero i fatti, affittare a RAGIONE_SOCIALE il ramo d’azienda, «occorreva preliminarmente procedere al rinnovo del contratto di locazione degli immobili», atteso che, «[a]ltrimenti RAGIONE_SOCIALE non avrebbe alcun titolo per dare in affitto (a questo punto sub affitt alcunché alla terza RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE»; 2) «l’unico a poter rinnovare il contratto di locazione tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE era proprio l’AVV_NOTAIO Giudiziario AVV_NOTAIO, essendo divenuto amministratore di entrambe le RAGIONE_SOCIALE», con la conseguenza che, per «compiere il tentativo di COGNOME e COGNOME di affittare il ramo d’azienda dell’RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato necessario il concorso dell’AVV_NOTAIO Giudiziario che, preliminarmente a tutto, avrebbe dovuto stipulare un nuovo contratto di locazione tra RAGIONE_SOCIALE (proprietaria di muri e terreni) e COGNOME (che esercitava l’impresa)».
Sennonché, secondo il ricorrente, ciò non sarebbe stato «evidentemente possibile», in quanto «[I]’amministratore Giudiziario non può favorire un’azienda piuttosto che un’altra; se ciò che chiede l’RAGIONE_SOCIALE è possibile lo si valuta, se non lo è non lo si valuta: non si può chiedere all’amministratore giudiziario di intervenire in favore di un’azienda per rendere possibile una situazione che in realtà non lo è».
Inoltre, e in ogni caso, «per stipulare un contratto di locazione con sé stesso (tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, entrambe da lui amministrate)», l’amministratore giudiziario NOME COGNOME avrebbe dovuto essere previamente autorizzato del giudice delegato, il che, ad avviso del ricorrente, avrebbe comportato «un vortice di attivazione delle istituzioni pubbliche a favore di un ente privato (RAGIONE_SOCIALE) che non ha alcuna regolarità giuridica e non avrebbe avuto perciò alcuna possibilità di essere realizzato».
Il ricorrente conclude che, pertanto, non vi sarebbe stata «nessuna possibilità […] che il predetto atto venisse stipulato e ciò anche se, in ipotesi, il giu delegato avesse autorizzato l’affitto di ramo di azienda proposto da NOME». Ciò in quanto qualunque notaio, una volta accertata l’intervenuta scadenza del menzionato contratto di «comodato d’uso a titolo oneroso», «non avrebbe potuto consentire la stipula dell’atto prima della regolarizzazione».
Dopo avere trascritto il testo della conversazione che ebbe luogo nel corso della riunione che si tenne il 19/07/2019 nello studio dell’AVV_NOTAIO, il ricorrent
deduce che da tale conversazione emergerebbe come quanto da lui esposto e argomentato sarebbe stato «perfettamente chiaro» sia all’amministratore giudiziario NOME COGNOME sia all’AVV_NOTAIO COGNOME, difensore della procedura di prevenzione, il quale, «sottolinea la questione, confermato dall’AVV_NOTAIO, che afferma che è un problema. Ed è chiaro che lo sia, perché la loro attivazione al fine di rendere possibile il realizzarsi di un’offerta di locazione di privato appare francamente contro la legge». E ciò «a maggior ragione se si considera che il AVV_NOTAIO NOME COGNOME aveva già chiesto in precedenza, il 21 giugno 2019, l’autorizzazione al Giudice delegato alla cessazione dell’attività sociale di RAGIONE_SOCIALE».
L’«impossibilità dell’azione delittuosa per carenza del titolo legittimante in capo a RAGIONE_SOCIALE a concedere il sub-affitto a RAGIONE_SOCIALE» integrerebbe pertanto l’ipotesi del reato impossibile.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 56 e 512-bis cod. pen., in considerazione dell’«assenza totale di collaborazione del soggetto interposto» NOME COGNOME.
Il COGNOME espone che, dalla ricostruzione dei fatti che è stata compiuta dal Tribunale di Torino, emergerebbe che: 1) il 16/07/2019 venne costituita RAGIONE_SOCIALE; 2) due giorni dopo, il 18/07/2019, alle ore 17:34, dopo che aveva scoperto che il COGNOME era stato destinatario del provvedimento di sequestro di RAGIONE_SOCIALE, il COGNOME registrò la conversazione che intrattenne con lo stesso COGNOME nell’ufficio di questi, occasione nella quale fu decisa la partecipazione del COGNOME alla riunione del giorno successivo 19/07/2019 con l’amministratore giudiziario di RAGIONE_SOCIALE; 3) stesso 18/07/2019, immediatamente dopo l’incontro con il COGNOME, il COGNOME si recò dai RAGIONE_SOCIALE di Rivoli, ai quali raccontò tutto l’accaduto e con i qua decise di partecipare alla riunione del giorno seguente con l’amministratore giudiziario e di registrarla; 4) il 19/07/2019, il COGNOME partecipò effettivamente a tale riunione, la registrò e, immediatamente dopo, si recò nuovamente dai RAGIONE_SOCIALE di Rivoli rendendo sommarie informazioni.
Ciò esposto, il ricorrente deduce che tale ricostruzione «restituisce l’immediata reazione da parte del COGNOME, proposto dall’imputato alla guida della nuova RAGIONE_SOCIALE [RAGIONE_SOCIALE] per acquisire il ramo d’azienda, che ha interr la sequela causale del supposto progetto delittuoso», ciò che impedirebbe l’integrazione della fattispecie di trasferimento fraudolento di valori e renderebbe palese come l’operazione ideata dall’imputato non sarebbe andata oltre la mera, non punibile, intenzione di reato.
Nella fattispecie in esame sarebbe insomma «mancata la necessaria concertazione tra colui che doveva divenire il soggetto interposto [il COGNOME] ed il soggetto titolare, ovvero il COGNOME», con la conseguente anche astratta inidoneità della condotta a integrare il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen.
Secondo il ricorrente, la motivazione esposta dalla Corte d’appello di Torino nei primi due paragrafi della pag. 14 della sentenza impugnata confermerebbe l’inidoneità degli atti sotto tale aspetto, in quanto renderebbe palese che il COGNOME, divenuto presidente del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE il 16/07/2019, e trovandosi quindi nelle condizioni di procedere al progettato affitto di ramo d’azienda, «manifestava subito l’intenzione di non dare corso ad alcuna iniziativa, recandosi il 19.07.2019 presso i RAGIONE_SOCIALE».
Pertanto, la condotta dell’imputato, «in assenza della collaborazione del soggetto interposto, non avrebbe mai potuto avviare il complesso iter burocratico tendente all’affitto del ramo di azienda da parte dell’amministrazione Giudiziaria, che com’è noto richiede necessariamente l’autorizzazione del giudice delegato della procedura di prevenzione».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mera apparenza della motivazione «in ordine a specifico punto di doglianza inerente all’assenza di elemento soggettivo in capo all’imputato», nonché la violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 125 cod. proc. pen. e dell’art. 512-bis cod. pen. «che richiede il dolo specifico».
2.3.1. Sotto un primo profilo, il COGNOME lamenta il carattere meramente apparente della motivazione in ordine alla propria doglianza con la quale aveva dedotto che, poiché il suo intento, dimostrato dal suo comportamento e dai documenti che aveva prodotto, era quello di fare in modo che gli animali dell’azienda venissero accuditi, cosa che la paventata chiusura della stessa azienda avrebbe impedito – sicché la prosecuzione dell’azienda attraverso RAGIONE_SOCIALE «era perciò esclusivamente un mezzo per impedire la chiusura dell’azienda con il suo corredo di animali (e posti di lavoro) che sarebbero andati incontro (come poi effettivamente accaduto) a morte certa» -, lo stesso intento avrebbe evidenziato l’assenza del dolo specifico del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
La Corte d’appello di Torino avrebbe rigettato tale doglianza con la motivazione, meramente apparente, che l’indicato intento dell’imputato «non toglie[va] però» (pag. 21 della sentenza impugnata) che il COGNOME intendesse eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
Secondo il ricorrente, così motivando, la Corte d’appello di Torino non avrebbe in effetti spiegato perché il riconosciuto intento «alternativo» di rientrare
possesso del bene per non fare morire gli animali non potesse essere esclusivo ed escludere, perciò, il dolo specifico del reato.
La Corte d’appello di Torino non avrebbe indicato cosa avrebbe dimostrato il fine dell’imputato di eludere il provvedimento di prevenzione e non lo avrebbe fatto in quanto avrebbe «conf[uso], «sovrapponendole, l’intenzione di realizzare l’elemento oggettivo (il trasferimento di valori) con l’intenzione ulteriore del do specifico (aggirare le misure di prevenzione)», finendo così con il «tratta[re] i reato come se fosse a dolo generico».
Se risultava provato, come sarebbe stato ammesso dalla stessa Corte d’appello di Torino, che egli voleva prevenire la morte degli animali, allora la stessa Corte d’appello avrebbe dovuto «poi allora esplicitare perché questa finalità viene ritenuta subvalente, o quantomeno concorrente, con quella dell’elusione del provvedimento di prevenzione. Il Collegio d’appello però non può farlo ricorrendo alla sola volontà di rientrare in possesso del bene, di per sé non sufficiente».
2.3.2. Sotto un secondo profilo, il COGNOME lamenta la mancanza della motivazione «in ordine alla rilevanza delle indicazioni fornite al COGNOME dall’AVV_NOTAIO», all’epoca legale dell’imputato (la cui conversazione con il COGNOME era stata acquisita con il consenso dei due), il quale aveva «intimato» (così il ricorso) al COGNOME di dire al COGNOME di partecipare all’incontro del 19/07/2019 con l’amministratore giudiziario perché «le cose si fanno in un certo modo».
Tale elemento delle «indicazioni fornite al COGNOME dall’AVV_NOTAIO» era stato introdotto dalla difesa dell’imputato a sostegno dell’assenza dell’elemento soggettivo, in quanto lo stesso imputato «è convinto di fare una cosa regolare insieme a COGNOME, proprio perché l’unico obiettivo del loro agire è quello di consentire, almeno fino alla decisione finale del procedimento di prevenzione la prosecuzione dell’azienda», così da «continuare ad adeguatamente assistere gli animali e, dato non secondario, tutelare i posti di lavoro interni al ristorante».
Tale si doveva ritenere, in effetti, l’unico fine che animava l’imputato, non essendovene altri, atteso che, come era stato riconosciuto nella stessa sentenza impugnata, RAGIONE_SOCIALE, «in quel momento sta perdendo denaro», sicché non vi era «quindi alcun fine di vantaggio economico: COGNOME è disposto a rimetterci denaro proprio pur di salvare animali e dipendenti. Almeno fino a quando il Tribunale non deciderà definitivamente».
In ciò risiederebbe, secondo il ricorrente, la differenza tra la fattispe in esame e quelle che avevano costituito l’oggetto delle pronunce della Corte di cassazione richiamate dai giudici del merito, nelle quali «c’era flusso di denaro positivo che veniva distratto in favore del proposto attraverso un contratto di affitto fittiziamente interposto», laddove «[n]el caso in esame il flusso di denaro è negativo».
Il ricorrente deduce quindi che proprio per questo egli era «convinto di fare un cosa regolare», «confermato in questa sua opinione dal parere di ben tre legali, oltre al suo [l’AVV_NOTAIO] anche quelli di sua moglie [l’AVV_NOTAIO] e di sua figlia [l’AVV_NOTAIO], che non si può pensare che fossero all’oscuro» e che parteciparono alla riunione con l’amministratore giudiziario del 19/07/2019.
I quali legali avrebbero ritenuto che, poiché era necessario proseguire l’attività aziendale, anche perdendo del denaro, in quanto interromperla avrebbe significato mettere a rischio sia gli animali sia le persone che vi lavoravano, senza che ciò andasse a «interferi[re] né sulle casse della procedura (che ne avrebbe tratto solo vantaggi, in quanto sarebbero state sgravate dai debiti mensili e avrebbero incassato l’affitto) né sulla decisione finale del Tribunale circa la restituzione o la confisca», ciò non avrebbe concretato il dolo specifico di eludere il provvedimento di prevenzione.
Giusto o sbagliato che fosse, «questo è il parere legale che viene nei fatti riferito al sig. COGNOME», sicché l’invocata conversazione con il suo legale dell’epoca AVV_NOTAIO «prova la buona fede di COGNOME intesa nel senso di escludere in capo al medesimo il dolo specifico richiesto dalla norma dell’art. 512 bis c.p.».
In ordine a tale doglianza, la Corte d’appello di Torino non avrebbe motivato, giacché avrebbe omesso di spiegare perché il contenuto dell’invocata conversazione con l’AVV_NOTAIO «non fonda una sorta di buona fede di COGNOME» (pag. 21 della sentenza impugnata).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato.
1.1. Si deve anzitutto rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato, atteso che l’eventuale accoglimento di tale doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, dep. 2013, Tannoia, Rv. 256314-01. Successivamente: Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281-01; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME, Rv. 276745-01; Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, COGNOME, Rv. 263980-01).
Ciò rammentato, la doglianza – effettivamente non esaminata dalla Corte d’appello di Torino – e qui riproposta con il primo motivo di ricorso è manifestamente infondata.
1.2. Essa deve essere esaminata prendendo le mosse dalla riaffermazione dei principi, condivisi dal Collegio, che sono stati enunciati dalla Corte di cassazione in
ordine alla configurabilità del reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. (già art. quinquies del di. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modif. dalla legge 7 agosto 1992, n. 356) in capo al soggetto, al quale il bene sia stato in precedenza sequestrato, che si adoperi a gestirlo attraverso l’interposizione fittizia di affittuario.
Così, anzitutto, Sez. 2, n. 19123 del 11/01/2013, Prudentino, Rv. 256033-01, secondo cui commette il reato di cui all’art. 12-quinquies del d.l. n. 306 del 1992 il soggetto, cui è stato in precedenza confiscato il bene, che si adoperi a gestirlo, attraverso l’interposizione fittizia di un affittuario.
Successivamente, Sez. 2, n. 52616 del 30/09/2014, COGNOME, Rv. 261613-01, ha affermato il principio secondo cui, in tema di trasferimento fraudolento di valori, l’espressione «attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di den beni o altre utilità» ha una valenza ampia che rinvia non soltanto alle forme negoziali tradizionalmente intese, ma a qualsiasi tipologia di atto idonea a creare un apparente rapporto di signoria tra un determinato soggetto e il bene, rispetto al quale permane intatto il potere di colui che effettua l’attribuzione, per conto o nell’interesse – del quale l’attribuzione è operata. Ne consegue che anche l’affitto di un ramo di azienda può integrare un caso di attribuzione fittizia, diretta a creare una realtà giuridica apparente nell’interesse del reale dominus. Nella fattispecie allora all’esame della Corte, similmente a quella che viene qui in rilievo, l’affit del ramo di azienda era stato oggetto di un contratto che era stato stipulato da una RAGIONE_SOCIALE che era stata costituita appositamente, intestandone le quote a dei prestanome.
Il principio è stato poi ribadito da Sez. 6, n. 32732 del 28/06/2016, Polizzi, Rv. 267707-01, con la quale è stato affermato che integra il reato di cui all’art. 12-quinquies del d.l. n. 306 del 1992 la condotta del titolare di un’azienda sottoposta a sequestro preventivo che, dopo l’apposizione del vincolo cautelare, ne mantenga la disponibilità tramite un soggetto fittiziamente interposto, il quale stipuli un contratto di affitto di ramo di azienda con l’amministrazione giudiziaria preposta alla gestione del bene. Con tale pronuncia, è stato anche precisato che: a) il reato sussiste anche quando l’atto dispositivo sia formalmente posto in essere da un soggetto diverso dal titolare del bene; b) la finalità elusiva che è prevista dalla norma si può configurare non solo rispetto a futuri, paventati, interventi giudiziari ma anche (come è avvenuto nella fattispecie che viene qui in rilievo) rispetto a interventi già eseguiti e attuali, che l’agente miri a neutralizzare.
1.3. Dato che viene qui rilievo il reato di tentativo di trasferimento fraudolento di valori, si deve anche rammentare il principio, che è stato opportunamente richiamato anche dalla Corte d’appello di Torino nel contesto della valutazione, da essa operata, dell’idoneità degli atti compiuti dall’imputato, secondo cui, in tema
di tentativo, l’idoneità degli atti non va valutata con riferimento a un crite probabilistico di realizzazione dell’intento delittuoso, bensì in relazione al possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone, configurandosi invece un reato impossibile per inidoneità degli atti, ai sensi dell’art. 49 cod. pen., in presenza di un’inefficienza strutturale e strumentale del mezzo usato che sia assoluta e indipendente da cause estranee ed estrinseche, di modo che l’azione, valutata ex ante e in relazione alla sua realizzazione secondo quanto originariamente voluto dall’agente, risulti del tutto priva della capacità d attuare il proposito criminoso (Sez. 6, n. 17988 del 16/02/2018, Mileto, Rv. 272810-01; Sez. 1, n. 36726 del 02/07/2015, L.M., Rv. 264567-01).
1.4. Riaffermati tali principi, si deve rilevare che non è qui contestato che i COGNOME: 1) promosse l’apposita costituzione di RAGIONE_SOCIALE, con presidente del consiglio di amministrazione e socio di maggioranza NOME COGNOME e consigliere e socio di minoranza NOME COGNOME; 2) la costituzione di RAGIONE_SOCIALE era preordinata a che la tale RAGIONE_SOCIALE prendesse in affitto il ramo di azienda d RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE che era sottoposta a sequestro nell’ambito di un procedimento di prevenzione a carico del COGNOME, come da proposta di affitto che, su indicazione dello stesso COGNOME, il COGNOME, nella sua veste di amministratore formale di RAGIONE_SOCIALE, aveva avanzato all’amministratore giudiziario di RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME NOME; 3) il COGNOME avrebb di fatto gestito RAGIONE_SOCIALE, giacché il COGNOME e lo COGNOME erano dei meri prestanome, così esercitando l’effettiva signoria sul ramo di azienda di RAGIONE_SOCIALE
Ciò che il COGNOME invece qui contesta è che la proposta che, su sua indicazione, era stata avanzata dal COGNOME all’amministratore giudiziario COGNOME che RAGIONE_SOCIALE prendesse in affitto il ramo di azienda di RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mai potuto essere attuata, atteso che, affinché tale contratto di affitto di ramo di azienda potesse essere concluso, sarebbe stato necessario che il COGNOME, amministratore giudiziario sia di RAGIONE_SOCIALE sia di RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima proprietaria dei terreni e del fabbricato nei quali RAGIONE_SOCIALE esercitava l’impresa, rinnovasse prima l’ormai scaduto contratto di affitto d tali terreni e fabbricato tra le due RAGIONE_SOCIALE.
Un tale rinnovo, tuttavia, sarebbe stato, sempre ad avviso del COGNOME, «non […] evidentemente possibile», in quanto: «N’amministratore Giudiziario non può favorire un’azienda piuttosto che un’altra; se ciò che chiede l’RAGIONE_SOCIALE è possibile lo si valuta, se non lo è non lo si valuta: non si può chiedere all’amministratore giudiziario di intervenire in favore di un’azienda per rendere possibile una situazione che in realtà non lo è»; in ogni caso, «per stipulare un contratto di locazione con sé stesso (tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE,
entrambe da lui amministrate)», l’amministratore giudiziario NOME COGNOME avrebbe dovuto essere previamente autorizzato del giudice delegato, il che, sempre secondo il ricorrente, avrebbe comportato «un vortice di attivazione delle istituzioni pubbliche a favore di un ente privato (RAGIONE_SOCIALE) che non ha alcuna regolarità giuridica e non avrebbe avuto perciò alcuna possibilità di essere realizzato»; «anche se, in ipotesi, il giudice delegato avesse autorizzato l’affitto di ramo di azienda proposto da COGNOME», qualunque notaio, una volta accertata l’intervenuta scadenza del menzionato contratto di affitto dei terreni e del fabbricato, «non avrebbe potuto consentire la stipula dell’atto prima della regolarizzazione».
Tale tesi del ricorrente dell’«inidoneità strutturale dell’intera azione realizzare l’evento dannoso», per la ragione indicata, con la conseguente configurazione di un reato impossibile, è manifestamente infondata.
Si deve infatti in proposito rilevare che, diversamente da quanto mostra di reputare il COGNOME – senza, peraltro, spiegarne specificamente il perché («rendere possibile una situazione che in realtà non lo è»; «che non ha alcuna possibilità giuridica»; «il realizzarsi di un’offerta di locazione di un privato appa francamente contro la legge») -, si deve ritenere che non sussistesse alcun insormontabile ostacolo giuridico né a che l’amministratore giudiziario NOME COGNOME, essendo l’amministratore sia di RAGIONE_SOCIALE sia di RAGIONE_SOCIALE, ed essendo pienamente consapevole della problematica in considerazione (come risulta dalla conversazione nel corso della riunione del 19/07/2019 nello studio dell’AVV_NOTAIO), chiedesse al giudice delegato di autorizzarlo a locare nuovamente i terreni e il fabbricato di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, né a che il giud delegato lo autorizzasse a tale locazione, essendo anzi ciò senz’altro possibile ai sensi della norma di cui al comma 3-bis dell’art. 40 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 («[I]’amministratore giudiziario, con l’autorizzazione scritta del giudice delegato, può locare o concedere in comodato i beni immobili […]»).
Poiché, pertanto, si deve ritenere senz’altro possibile che RAGIONE_SOCIALE prendesse in locazione i terreni e il fabbricato di RAGIONE_SOCIALE e li sublocasse poi RAGIONE_SOCIALE, ne discende che gli atti posti in essere dal COGNOME promuovere l’apposita costituzione di RAGIONE_SOCIALE servendosi dei prestanome COGNOME e COGNOME, fare proporre dal COGNOME, nella sua veste di formale amministratore di RAGIONE_SOCIALE, all’amministratore giudiziario NOME COGNOME, di affittare il ramo di azienda di RAGIONE_SOCIALE, proposta che il RAGIONE_SOCIALE sottopose poi al giudice delegato – si devono ritenere idonei a commettere il delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen., non essendo affatto strutturalmente priv della capacità di attuare il proposito criminoso dell’imputato e non integrando, perciò, un reato impossibile.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Anzitutto, la Corte d’appello di Torino ha esattamente negato che il fatto che il COGNOME si fosse rivolto ai RAGIONE_SOCIALE sia il 18/07/2019, dopo l’incontro con i COGNOME, sia il 19/07/2019, dopo avere partecipato alla riunione con l’amministratore giudiziario, escludesse la configurabilità del tentativo. A tal proposito, si deve ritenere pertinente (mutatis mutandis) e decisivo nel senso appena indicato il richiamo che è stato operato dalla Corte d’appello di Torino alla giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di concussione tentata (Sez. 6, n. 25677 del 16/03/2016, COGNOME, Rv. 266966-01; Sez. 6, n. 10355 del 07/06/2007, COGNOME, Rv. 238912-01).
In secondo luogo, si deve ritenere parimenti corretto il richiamo, da parte della Corte d’appello di Torino, al principio, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui il delitto di trasferimento fraudolento di valori di cui all’art -bis cod. pen. non ha natura di reato plurisoggettivo improprio, ma rappresenta una fattispecie a forma libera in cui l’interposto, ove si renda fittiziamente titolare beni o di utilità al fine di eludere misure ablatorie o di agevolare la commissione dei reati di riciclaggio e di rimpiego di beni di provenienza illecita, risponde a tit di concorso ex art. 110 cod. pen., sicché l’eventuale assoluzione del predetto in un separato giudizio non produce necessariamente effetti sulla posizione dell’interponente (Sez. 2, n. 39774 del 07/05/2022, Aiello, Rv. 283989-03). Con la conseguenza che il fatto che il COGNOME non fosse stato ritenuto concorrente nel reato non escludeva di per sé l’idoneità degli atti compiuti dal COGNOME.
Quanto, in terzo luogo, al profilo di doglianza che è stato qui specificamente prospettato, si devono ritenere dirimenti, nel senso della manifesta infondatezza di tale doglianza, le seguenti considerazioni, fatte dalla Corte d’appello di Torino: 1) anzitutto, il COGNOME non aveva in realtà mai opposto un rifiuto alle richieste del COGNOME. In effetti, anche dopo avere saputo che RAGIONE_SOCIALE era sottoposta a sequestro, il COGNOME aveva firmato la richiesta di affitto del ramo di azienda di RAGIONE_SOCIALE per il tramite dell’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME (pag. 7 della sentenza di primo grado), e aveva partecipato alla riunione del 19/07/2019 con l’amministratore giudiziario (oltre che con gli avvocati COGNOME, difensore della procedura di prevenzione, COGNOME, difensore di NOME COGNOME, e COGNOME, difensore di NOME COGNOME) nella quale, dietro indicazioni del COGNOME, aveva illustrato i progetti di RAGIONE_SOCIALE; 2) proposta di RAGIONE_SOCIALE, di cui il COGNOME era formale amministratore, di affittare il ramo di azienda di RAGIONE_SOCIALE era stata sottoposta dall’amministratore giudiziario al giudice delegato (che il 30/07/2019 l’aveva rigettata); 3) se il giudice delegato avesse dato il suo assenso, ben sarebbe stato
possibile, nel caso in cui il COGNOME non avesse più aderito al progetto, modificare la posizione dello stesso COGNOME o individuare un altro prestanome.
Tali considerazioni rendono palese l’infondatezza della tesi del ricorrente, da questi riassunta in conclusione dell’esposizione del motivo, secondo cui «la condotta posta in essere dal COGNOME, in assenza della collaborazione del soggetto interposto, non avrebbe mai potuto avviare il complesso iter burocratico tendente all’affitto del ramo di azienda, da parte dell’amministrazione Giudiziaria, che com’è noto richiede necessariamente l’autorizzazione del giudice delegato della procedura di prevenzione». Tale iter era stato invece, come si è detto, sicuramente avviato, atteso che la proposta di RAGIONE_SOCIALE era stata sottoposta dall’amministratore giudiziario al giudice delegato, il che appare senz’altro sufficiente a fare ritenere integrato un tentativo idoneo.
Il terzo motivo è manifestamente infondato sotto entrambi i profili in cui è articolato.
3.1. Quanto al primo di essi, la Corte d’appello di Torino ha fatto corretta applicazione del principio, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui, in tema di trasferimento fraudolento di valori, previsto dall’art. 12-quinquies del d.l. n. 306 del 1992, il dolo specifico – costituito dal fine di eludere l’applicazione misure di prevenzione patrimoniali – non è escluso dall’esistenza di finalità concorrenti, non necessariamente ed esclusivamente collegate alla necessità di “liberarsi” dei beni in vista di una loro possibile ablazione (Sez. 2, n. 46704 del 09/10/2019, Fotia, Rv. 277598-01, con la quale, in applicazione del principio, la Corte ha annullato la sentenza di assoluzione che aveva escluso la configurabilità del dolo specifico, con riferimento al trasferimento della titolarità di quote di un RAGIONE_SOCIALE, finalizzato anche a consentire alla RAGIONE_SOCIALE medesima di partecipare a gare d’appalto, senza essere colpita da misura interdittiva antimafia. In punto di compatibilità tra il dolo specifico e la presenza di finalità concorrenti, anche: Sez. 3, n. 27112 del 19/02/2015, Forlani, Rv. 264390-01).
Orbene che il COGNOME, come è stato sostanzialmente riconosciuto dalla Corte d’appello di Torino, fosse animato dall’intento di impedire la chiusura dell’azienda, con ciò che ne sarebbe conseguito in termini di perdita di posti di lavoro e di animali, effettivamente «non toglie», come è stato affermato, con espressione che il ricorrente ritiene integrare una motivazione meramente apparente, che l’imputato perseguisse anche il fine di eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
Infatti, poiché il suddetto intento era perseguito dal COGNOME mediante l’ottenimento della gestione di fatto, nel modo che si è detto, dell’azienda che gli era stata sequestrata, lo stesso intento comportava non solo il rischio (ciò che non sarebbe stato sufficiente) ma la vera e propria necessità logica dell’elusione delle
disposizioni di legge in materia di sequestro di prevenzione, la cui funzione è proprio quella di sottrarre (provvisoriamente) i beni al destinatario della misura (o a coloro che li detengono per suo conto).
Ne discende che l’intento dell’imputato di salvaguardare animali e posti di lavoro della sequestrata azienda di RAGIONE_SOCIALE gestendo lui di fatto, tramite RAGIONE_SOCIALE, tale azienda, necessariamente e inevitabilmente concorreva con il fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
Il suddetto intento, perciò, logicamente «non toglie[va]» – come ha scritto, sinteticamente ma del tutto logicamente, la Corte d’appello di Torino – che la condotta del COGNOME, in quanto diretta al «recupero del bene tramite l’interposto», fosse animata anche dal concorrente fine di eludere le disposizioni di legge in materia di sequestro di prevenzione.
3.2. Quanto al secondo profilo del motivo, si deve anzitutto affermare che, diversamente da quanto sembrerebbe ritenere il ricorrente, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 512-bis cod. pen., commesso mantenendo la disponibilità di un’azienda sottoposta a sequestro tramite un soggetto fittiziamente interposto il quale stipuli un contratto di affitto della stessa azienda con l’amministrazione giudiziaria che la gestisce, non è necessario che tale azienda stesse generando profitti, atteso che, con l’indicata condotta, il vincolo cautelare vie evidentemente eluso a prescindere dal fatto che l’azienda stesse producendo dei profitti o delle perdite.
Ciò precisato, si deve ritenere che la Corte d’appello di Torino abbia del tutto correttamente affermato che il fatto che il legale dell’imputato AVV_NOTAIO, pur consapevole degli intenti del COGNOME e del ruolo di soggetto interposto che sarebbe stato assunto dal COGNOME, avesse detto al COGNOME di dire al COGNOME di partecipare alla riunione del 19/07/2019 nello studio dell’AVV_NOTAIO, non fondava «una sorta di buona fede di COGNOME», atteso che, in ogni caso, anche ad ammettere il convincimento dell’imputato, eventualmente determinato da pareri di legali, «di fare una cosa regolare» (così il ricorso), per la ragione che l propria condotta era diretta a preservare, senza ottenerne vantaggi economici, gli animali e i posti di lavoro dell’azienda RAGIONE_SOCIALE, ciò concreterebbe un errore sulla liceità del fatto costituente reato, il quale non è scusabile giacché s tratterebbe di ignoranza della legge penale, non invocabile a norma dell’art. 5 cod. pen.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/12/2024.