Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12732 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12732 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a PALERMO il 07/05/1973
avverso la sentenza del 26/03/2024 della Corte d’appello di Palermo
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’Avvocato NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza con cui, in data 15/03/2022, i Tribunale dei capoluogo siculo aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile del delitto di cui all’attuale art. 512-bis cod. pen.
(limitatamente al fatto commesso in data 31/10/2015) e, con la contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena finale di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed al pagamento delle spese processuali;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce: violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 110, 99 cod. pen., 12 -quinquies della legge 356 del 1992, 126, comma 3, 192, comma 2 e 3, 530, comma 2, 533, cod. proc. pen., 24, comma 2, 101, commi 1 e 2 e 111 commi 6 e 7 della Costituzione; vizio di motivazione in punto di responsabilità dell’imputato: osserva che i giudici di secondo grado hanno argomentato, in via deduttiva (e non induttiva) da una premessa indimostrata, circa l’idoneità delle condotta ascritta al ricorrente a raggiungere l’obiettivo propostosi; segnala, a tal fine, l’inconsistenza della conversazione telefonica del 6.11.2015, evidenziandone l’ambiguità dal punto di vista probatorio, con particolare riguardo all’uso del termine “cugino”, non necessariamente riferito ad una persona legata da un effettivo e simile legame parentale; segnala, ancora, la genericità, illogicità ed autoreferenzialità della motivazione con cui la Corte territoriale ha replicato alla argomentazione difensiva circa l’avvenuta assoluzione del Ragusa, motivata dalla persistenza di un insuperato dubbio circa l’elemento soggettivo in capo al terzo che, tuttavia, in maniera contraddittoria, la stessa Corte d’appello ha sostenuto non potesse ignorare che altri erano i veri titolari dell’attività commerciale da lui condotta; aggiunge che il delitto in esame è “a concorso necessario” connotato dalla finalità di elusione delle misure di prevenzione patrimoniale che deve essere condivisa sul piano psicologico da parte del terzo intestatario; osserva che, nel caso di specie, la Corte d’appello si è limitata a trasporre il contenuto delle conversazioni telefoniche senza tuttavia motivare sulla offensività della condotta e sul dolo specifico del COGNOME e della sua condivisione da parte del Ragusa quale soggetto interposto; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio per rispondere del delitto di cui all’art. 12 -quinqiues della legge 356 del 1992 (oggi art. 512 -bis cod. pen.) perché, in concorso con NOME COGNOME “al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, attribuiva(no) fittiziamente a Ragusa NOME la titolarità dell’impresa individuale NOME COGNOME
RAGIONE_SOCIALE con cui gestiva(no) l’attività commerciale con insegna RAGIONE_SOCIALE relativa alla rivendita di prodotti surgelati ubicata in INDIRIZZO a Palermo”.
Il primo giudice (anche alla luce della precisazione dell’imputazione operata dal PM all’udienza del 2.3.2021) aveva distinto tra le due attività ed aveva assolto gli imputati dal delitto per la società RAGIONE_SOCIALEperché il fatto non sussiste”, commesso in data 30.7.2013 (cfr., pagg. 5-7 della sentenza di primo grado); con valutazione condivisa dalla Corte d’appello, all’esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, aveva invece confermato l’ipotesi accusatoria con riferimento all’impresa denominata RAGIONE_SOCIALE i cui effettivi titolari avrebbero dovuto essere individuati nelle persone del COGNOME e del cugino di costui, NOME COGNOME; aveva nel contempo assolto il Ragusa ritenendo persistere un dubbio insuperato circa la consapevolezza, in capo a costui, della specifica finalità elusiva perseguita dall’interponente.
La Corte d’appello ha motivato la conferma della decisione del Tribunale replicando alle censure articolate dalla difesa in termini puntuali in fatto e corretti in diritto e rispetto ai quali le doglianze formulate nel ricorso risultano in gran parte generiche e, per il resto, fondate su non condivisibili premesse di natura ermeneutica.
Sotto il profilo della genericità del ricorso è necessario, peraltro, rilevare che, con l’unico motivo, la difesa deduce, in maniera promiscua, e non consentita violazione di legge e vizio di motivazione (cfr., Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870 – 01, che ha considerato inammissibile, per aspecificità, ex artt. 581, comma 1 e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., il motivo che denunci l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale, nonché, in modo cumulativo, promiscuo e perplesso, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, ove non sia indicato specificamente il vizio di motivazione dedotto per i singoli, distinti aspetti, con puntuale richiamo, alle parti della motivazione censurata).
D’altra parte, è appena il caso di ribadire che il motivo di ricorso fondato sulla lett. b) dell’art. 606 cod. proc. pen. deve essere invero articolato sotto il profilo della contestazione della riconducibilità del fatto – così come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dai legislatore; e non, invece, come nel caso di specie, mettendo in dubbio o contestando che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale, operazione che comporta una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio, essendo preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure, in ipotesi, anch’essa logica, dei dati processuali o percorrere una diversa ricostruzione storica dei fatti ovvero formulare un diverso giudizio di rilevanza o di attendibilità delle fonti di prova (cfr., tra le tante, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507; cfr., ancora, Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148).
Il sindacato sulla motivazione, inoltre, deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 2, n. 36119 del 4.7.2017, COGNOME; Sez. 1, n. 41738 dei 10.10.2011 n. 41.738, COGNOME; Sez. 6, n. 108ì951 del 15.3.2006, COGNOME), sicché non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.1 Del tutto generica è la censura relativa al preteso vizio di motivazione in punto di responsabilità atteso che la Corte d’appello – come già il primo giudice
non ha affatto proceduto in via deduttiva ma ha inferito la reale titolarità dell’azienda da una molteplicità di elementi fattuali, puntualmente esplicitati (cfr., pag. 4 della sentenza), con cui la difesa omette di confrontarsi preferendo concentrare la sua attenzione sulla pretesa ambiguità del riferimento al “cugino”, contenuto in una delle invece numerose conversazioni captate dagli investigatori e sulla cui lettura complessiva e coordinata è stata fondata la conforme decisione dei giudici di merito.
3.2 Altrettanto generica è, poi, la censura relativa al presunto difetto di motivazione circa la finalità elusiva perseguita dall’odierno ricorrente con la fittizia intestazione dell’attività in capo al Ragusa ed invece, secondo l’insindacabile apprezzamento dei giudici di merito, plasticamente dimostrata dalla contiguità temporale tra il trasferimento e l’adozione della misura cautelare a carico del Palumbo (cfr., pagg. 4-5 della sentenza).
E’ d’altra parte appena il caso di richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini dell’integrazione del delitto di trasferimento fraudolento di valori previsto dall’art. 12 quinquies, D.L.8 giugno 1992, n.306, convertito in Legge 7 agosto 1992 n.356, lo “scopo elusivo” che connota il dolo specifico prescinde dalla concreta possibilità dell’adozione di misure di prevenzione patrimoniali all’esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto dal fondato timore dell’inizio di esso, a prescindere da quello che potrebbe esserne l’esito (cfr., per tutte, Sez. 2, n. 2483 del 21/10/2014, dep. 2015, Lapelosa, Rv. 261980 – 01; conf., Sez. 2, n. 22954 del 28/03/2017, COGNOME, Rv. 270480 – 01, in cui la Corte ha avuto modo di chiarire che, per la configurabilità del delitto in esame non occorre la preventiva emanazione delle misure di prevenzione, né la pendenza del relativo procedimento, bastando soltanto che l’autore ne possa temere l’instaurazione; cfr., ancora, Sez. 6, n. 27666 del 04/07/2011, COGNOME, Rv. 250356- 01, secondo cui l’oggetto giuridico del delitto di trasferimento fraudolento di valori, consiste nell’interesse ad evitare la sottrazione di patrimoni anche solo potenzialmente assoggettabili a misure di prevenzione, sicché la concreta emanazione di queste ultime, o la pendenza del relativo procedimento, non integra l’elemento materiale del reato né una condizione oggettiva di punibilità, ma può costituire mero indice sintomatico, possibile, ma non indispensabile, di eventuali finalità elusive sottese a trasferimenti fraudolenti o ad intestazioni fittizie di denaro, beni o altre utilità, che connotano il dolo specifico richiesto).
3.3 Sotto altro profilo, la difesa denuncia violazione di legge in punto di elemento soggettivo e contraddittorietà della motivazione quanto alla contestuale
assoluzione del soggetto “interposto” per difetto di prova certa sulla sussistenza del dolo di fattispecie.
Il tema merita qualche puntualizzazione.
Secondo alcune decisioni, risponde a titolo di concorso anche colui che non è animato dal dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione o di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter cod. pen., a condizione che almeno uno dei concorrenti agisca con tale intenzione e che della medesima il primo sia consapevole (cfr., da ultimo, 3 Sez. 2, n. 27123 del 03/05/2023, COGNOME, Rv. 284796 – 01; conf., Sez. 2, n. 38044 del 14/07/2021, COGNOME, Rv. 282202 – 01; conf., più recentemente, Sez. 2, n. 16997 del 28/03/2024, Severini Rv. 286355 – 01, in cui la Corte ha ribadito che l’intestatario fittizio del bene non deve essere animato necessariamente dal dolo specifico, che caratterizza, invece, la condotta dell’interponente, unico soggetto direttamente interessato a eludere la possibile adozione di misure di prevenzione a suo carico, essendo sufficiente, invece, la consapevolezza del dolo specifico altrui; cfr., nello stesso senso, anche Sez. 6, n. 19108 del 15/02/2024, COGNOME, Rv. 286662 – 01).
Stando al tenore di altre massime, il delitto in esame richiede che tutti i concorrenti nel reato abbiano agito con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, per la cui prova in giudizio non è sufficiente dar conto della fittizia attribuzione della titolarità o disponibilità denaro, beni o altre utilità, sicché è imprescindibile, ai fini della sua punibilità, che l’intestatario fittizio sia a conoscenza del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione con il dolo specifico di aggirarle (cfr., in tal senso, la massima tratta da Sez. 2, n. 45080 del 14/10/2021, COGNOME, Rv. 282437 – 01 ma, anche, quella tratta da Sez. 6, n. 34667 del 05/05/2016, COGNOME, Rv. 267705 – 01).
Ebbene, la lettura delle sentenze consente tuttavia di apprezzare la sostanziale uniformità di impostazione seguita dalla giurisprudenza di questa Corte e, invero, il carattere meramente apparente del contrasto (cfr., per queste considerazioni, Sez. 2, n. 16997 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286355 – 01; Sez. 6, n. 19108 del 15/02/2024, COGNOME, Rv. 286662 – 01): nella sentenza “COGNOME“, resa in una fattispecie relativa ad una operazione di interposizione fittizia nell’acquisto di una società di capitali, la Corte ha censurato il provvedimento cautelare emesso nei confronti del formale intestatario di parte delle quote societarie per un breve periodo di tempo, ritenendo tale condizione inidonea a provare, per l’appunto, la consapevolezza della finalità di elusione di misure di prevenzione da parte dei soci occulti ed effettivi finanziatori dell’acquisto; dal canto
suo, con la sentenza “Arduino” la VI Sezione ha ritenuto immune da vizi la sentenza di assoluzione dell’intestatario fittizio dei beni, ritenendo insufficiente la prova – anche in tal caso – della sua consapevolezza circa l’appartenenza del titolare effettivo ad un sodalizio criminoso e della conseguente finalità di eludere le disposizioni in materia di prevenzione patrimoniale.
In nessuno dei casi vagliati dalle decisioni massimate nel senso dei concorso di entrambi – interponente ed interposto – nel dolo specifico, si è in realtà affermato che l’intestatario fittizio del bene debba essere animato dal dolo specifico che sorregge la condotta dell’interponente, il solo direttamente interessato ad eludere, in tal modo, la possibile adozione di misure di prevenzione patrimoniale a suo carico.
In sostanziale coerenza con le altre decisioni pure sopra richiamate, si è sostenuto che è sufficiente che tale finalità sia nota all’interposto il quale abbia fornito il suo necessario apporto nella sua effettiva consapevolezza, secondo uno schema che, a ben guardare, è stato seguito dalle SS.UU. anche nella sentenza “COGNOME” a proposito della aggravante della “agevolazione mafiosa” in cui, per l’appunto, si è precisato che la circostanza aggravante, inerendo ai motivi a delinquere, ha natura soggettiva e si comunica al concorrente nel reato che, pur non essendo a sua volta animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (cfr., Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 03/03/2020, COGNOME Rv. 278734 – 01).
Va in definitiva ribadito che il delitto di trasferimento fraudolento di valori ex art. 512-bis cod. pen. non ha natura di reato plurisoggettivo improprio, ma rappresenta una fattispecie a forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro o altro bene o utilità, sicché col che si renda fittiziamente titolare di tali beni – nella specie, un familiare – con lo scopo di aggirare le norma in materia di prevenzione patrimoniale o di contrabbando, o di agevolare la commissione dei reati di ricettazione, riciclaggio o impiego di beni di provenienza illecita, risponde a titolo di concorso nella stessa figura criminosa posta in essere da chi ha operato la fittizia attribuzione, in quanto con la sua condotta cosciente e volontaria contribuisce alla lesione dell’interesse protetto dalla norma (cfr., così, Sez. 2, n. 35826 del 12/07/2019, Como, Rv. 277075 – 01).
E’ dunque possibile che l’interposto, pur consapevole della sostanziale titolarità in capo ad altri del bene di cui è formale intestatario, non sia tuttavia consapevole della finalità perseguita da costui che, pur oggetto di dolo di specifico, non deve tuttavia essere esclusiva, non essendo esclusa da finalità concorrenti
(cfr., Sez. 2, n. 46704 del 09/10/2019, Fotia, Rv. 277598 – 01) e solo delle quali l’interposto sia consapevole o sia stato reso partecipe.
Alla luce di queste premesse sistematiche, l’eventuale assoluzione del terzo interposto per difetto o insufficienza di prova sull’elemento soggettivo (della consapevolezza della specifica finalità perseguita dall’interponente), non si riflette, necessariamente, sulla posizione di quest’ultimo (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 39774 del 07/05/2022, COGNOME, Rv. 283989 – 03; conf., tra le non massimate, Sez. 2, n. 290 del 13/12/2024, Pontoriero; Sez. 2, n. 41160 del 25/10/2024, COGNOME).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragioni che escludano profili di colpa nella proposizione del gravame.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 26/02/2025