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Trasferimento fraudolento: la condanna resta valida

Un imprenditore è stato condannato per aver intestato fittiziamente un’azienda a un prestanome al fine di eludere le misure di prevenzione patrimoniale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiarendo che la condanna per il reato di trasferimento fraudolento di valori a carico dell’effettivo proprietario (interponente) è valida anche se il prestanome (interposto) viene assolto per mancanza di prova sulla sua consapevolezza dell’illecito fine.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trasferimento Fraudolento di Valori: Condanna Confermata Anche con Prestanome Assolto

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, si è pronunciata su un caso di trasferimento fraudolento di valori, confermando un principio giuridico di notevole importanza pratica. La vicenda riguarda l’intestazione fittizia di un’attività commerciale a un terzo, con lo scopo di sottrarla a possibili misure di prevenzione patrimoniale. La Corte ha stabilito che la condanna di colui che orchestra l’operazione (l’interponente) può sussistere anche se il prestanome (l’interposto) viene assolto per insufficienza di prove riguardo alla sua piena consapevolezza del fine illecito.

I Fatti del Processo

Un imprenditore veniva condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 512-bis del codice penale. L’accusa era di aver attribuito fittiziamente a un’altra persona la titolarità di un’impresa di prodotti surgelati. L’obiettivo, secondo i giudici di merito, era quello di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, ovvero evitare che lo Stato potesse sequestrare o confiscare l’azienda.

Contestualmente, il soggetto che aveva formalmente assunto la titolarità dell’impresa (il cosiddetto ‘prestanome’ o ‘interposto’) veniva assolto. I giudici avevano infatti ritenuto che non vi fosse la prova certa del suo dolo, cioè della sua consapevolezza riguardo alla specifica finalità elusiva perseguita dall’imprenditore.

L’Appello e il Principio sul Trasferimento Fraudolento di Valori

L’imprenditore condannato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, una contraddizione nella motivazione. A suo avviso, l’assoluzione del prestanome avrebbe dovuto necessariamente comportare anche la sua, poiché il reato richiederebbe un concorso di volontà tra chi trasferisce e chi riceve il bene, entrambi animati dallo stesso scopo illecito.

La Corte di Cassazione ha respinto questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno colto l’occasione per chiarire la struttura e l’elemento soggettivo del reato di trasferimento fraudolento di valori.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha ribadito che, per la configurabilità del reato, è centrale la figura dell’interponente, ovvero colui che è l’effettivo titolare del bene e che organizza l’intestazione fittizia. È costui che deve agire con il dolo specifico, ossia con il fine preciso di sottrarre i propri beni alle misure di prevenzione.

Per quanto riguarda la posizione del prestanome (l’interposto), la giurisprudenza ha chiarito che non è necessario che egli condivida lo stesso dolo specifico dell’interponente. È invece sufficiente che sia consapevole della finalità illecita perseguita da quest’ultimo e che, con la sua condotta, fornisca un contributo cosciente e volontario alla realizzazione del reato.

Di conseguenza, le due posizioni sono distinte e possono essere valutate separatamente. L’eventuale assoluzione del prestanome per difetto di prova sulla sua piena consapevolezza non si riflette automaticamente sulla posizione dell’interponente. Se per quest’ultimo sono stati acquisiti elementi di prova solidi che dimostrano la sua volontà di eludere le norme antimafia, la sua responsabilità penale sussiste pienamente.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano fondato la condanna su una serie di elementi fattuali (come la contiguità temporale tra il trasferimento dell’attività e l’adozione di misure a carico dell’imputato) che dimostravano in modo plastico l’intento elusivo, rendendo la decisione immune da censure di legittimità.

Le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale nella lotta alla criminalità economica. Si afferma che il fulcro del reato di trasferimento fraudolento di valori risiede nell’intenzione dell’effettivo proprietario di schermare il proprio patrimonio. La responsabilità di quest’ultimo non viene meno solo perché non si riesce a provare con assoluta certezza il pieno coinvolgimento psicologico del prestanome. Questa interpretazione garantisce l’efficacia della norma, impedendo che complesse operazioni di intestazione fittizia possano sfuggire alla sanzione penale a causa di difficoltà probatorie relative alla posizione, spesso marginale, dei meri intestatari formali.

È necessario che anche il prestanome (soggetto interposto) abbia l’intenzione di eludere le misure di prevenzione per configurare il reato di trasferimento fraudolento di valori?
No. Secondo la sentenza, per la responsabilità del prestanome non è necessario che egli sia animato dallo stesso dolo specifico di chi trasferisce il bene (l’interponente). È sufficiente che il prestanome sia consapevole della finalità illecita perseguita dall’altro e fornisca il suo contributo volontario.

L’assoluzione del prestanome per mancanza di prove sul suo dolo comporta automaticamente l’assoluzione di chi ha trasferito il bene (soggetto interponente)?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’eventuale assoluzione del terzo interposto per difetto o insufficienza di prova sul suo elemento soggettivo non si riflette, necessariamente, sulla posizione dell’interponente. La responsabilità di quest’ultimo può essere affermata autonomamente se ci sono prove del suo fine elusivo.

Cosa si intende per ‘scopo elusivo’ nel delitto di trasferimento fraudolento di valori?
Lo ‘scopo elusivo’ che caratterizza il dolo specifico del reato non richiede che le misure di prevenzione patrimoniale siano già state adottate o che il relativo procedimento sia in corso. È sufficiente il fondato timore che tale procedimento possa essere iniziato, a prescindere da quale sarà poi il suo esito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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