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Trasferimento fraudolento di valori: la prova necessaria

Un imprenditore ha impugnato un’ordinanza di sequestro preventivo per autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori. La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso per l’autoriciclaggio, il cui fumus era basato su un reato tributario. Ha invece accolto il ricorso per il trasferimento fraudolento di valori, annullando con rinvio la decisione. La Corte ha stabilito che non è sufficiente dimostrare la gestione di fatto dell’attività da parte di un soggetto diverso dall’intestatario formale, ma è necessaria la prova, anche indiziaria, che le risorse economiche per l’acquisto dei beni provengano dal soggetto che intende eludere le misure di prevenzione.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trasferimento fraudolento di valori: non basta la gestione di fatto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2345 del 2024, è tornata a pronunciarsi sui requisiti necessari per configurare il reato di trasferimento fraudolento di valori. Questa pronuncia stabilisce un principio fondamentale: per provare l’intestazione fittizia non è sufficiente dimostrare la gestione occulta di un’attività da parte di un soggetto, ma è indispensabile provare che le risorse economiche impiegate per l’acquisto dei beni provengano proprio da quest’ultimo. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria. Il sequestro riguardava le quote di una società italiana e di una portoghese, oltre a immobili e terreni. Le accuse formulate erano quelle di concorso in trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.) e di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.).

In sede di riesame, il Tribunale aveva parzialmente modificato la decisione: aveva annullato il sequestro per uno dei capi di imputazione relativi al trasferimento fraudolento, in quanto il reato era estinto per prescrizione. Tuttavia, aveva confermato il sequestro per l’autoriciclaggio e per un altro capo di imputazione sempre relativo al trasferimento fraudolento di beni.

L’indagato, tramite i suoi difensori, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. In particolare, la difesa sosteneva che il Tribunale avesse erroneamente ritenuto sussistente il fumus commissi delicti sia per l’autoriciclaggio, il cui reato presupposto era stato dichiarato estinto, sia per il trasferimento fraudolento di valori, contestando la ricostruzione dei fatti e degli elementi oggettivi e soggettivi del reato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha giudicato il ricorso parzialmente fondato, arrivando a una decisione divisa.

1. Inammissibilità per l’autoriciclaggio: Il ricorso è stato ritenuto inammissibile riguardo al reato di autoriciclaggio. La Cassazione ha chiarito che il Tribunale del riesame aveva correttamente motivato la sussistenza del fumus di tale reato, individuando un valido reato presupposto non nel trasferimento fraudolento prescritto, ma nel delitto di dichiarazione infedele (un reato tributario previsto dall’art. 4 del D.Lgs. 74/2000).

2. Accoglimento per il trasferimento fraudolento di valori: La Corte ha invece accolto il ricorso per quanto riguarda il trasferimento fraudolento di valori, annullando l’ordinanza impugnata su questo punto e rinviando gli atti al Tribunale per un nuovo giudizio. Il motivo di tale decisione risiede in un vizio di motivazione ritenuto decisivo.

Le motivazioni

La parte più significativa della sentenza riguarda le motivazioni con cui la Cassazione ha annullato il sequestro per il reato di cui all’art. 512-bis c.p. La Corte ha rilevato un ‘salto logico’ nel ragionamento del Tribunale del riesame. Quest’ultimo si era limitato a constatare la ‘gestione de facto’ di un intero gruppo imprenditoriale da parte di due soggetti (diversi dall’intestatario formale), affermando apoditticamente che l’intestazione fittizia delle società servisse a schermare la ‘reale proprietà e disponibilità’ a favore di questi ultimi.

Secondo la Cassazione, questo ragionamento è insufficiente. Richiamando la propria giurisprudenza consolidata, la Corte ha ribadito un principio cruciale: per integrare il reato di trasferimento fraudolento di valori, non basta accertare la mera disponibilità del bene o la gestione occulta da parte di chi non ne risulta formalmente titolare. È invece necessaria la prova, anche se solo indiziaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per l’acquisto di tali beni. In altre parole, l’accusa deve dimostrare che i soldi usati per costituire la società o comprare gli immobili provenivano dal soggetto che si intende sottrarre alle misure di prevenzione.

La gestione occulta e l’intestazione fittizia sono due piani che non devono essere sovrapposti automaticamente. Il trasferimento dei compiti di amministrazione di una società, anche se finalizzato a eludere le misure di prevenzione, non integra di per sé il reato se non è accompagnato dalla prova della provenienza illecita dei capitali investiti. Il Tribunale del riesame, nel caso di specie, non ha fornito tale prova, rendendo la sua motivazione carente e meritevole di annullamento.

Le conclusioni

La sentenza n. 2345/2024 della Corte di Cassazione rafforza un importante baluardo di garanzia nel diritto penale dell’economia. Stabilisce che le accuse di trasferimento fraudolento di valori non possono basarsi su semplici presunzioni derivanti dalla gestione di fatto di un’impresa. Per legittimare una misura cautelare reale come il sequestro, è onere dell’accusa fornire elementi concreti che colleghino i beni fittiziamente intestati alle risorse economiche del soggetto che si presume essere il reale proprietario. Questa decisione impone un maggiore rigore probatorio e impedisce che la figura del ‘socio occulto’ o del ‘gestore di fatto’ si traduca automaticamente in una condanna per intestazione fittizia, distinguendo nettamente la gestione operativa dalla provenienza del capitale.

Per configurare il reato di trasferimento fraudolento di valori è sufficiente provare che una persona gestisce di fatto un’impresa intestata ad altri?
No, secondo la sentenza non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che oltre alla gestione di fatto, è necessaria la prova, anche indiziaria, che le risorse economiche impiegate per l’acquisto dei beni provengano dal soggetto che intende eludere le misure di prevenzione.

Cosa deve dimostrare l’accusa per ottenere un sequestro per trasferimento fraudolento di valori?
L’accusa deve dimostrare non solo l’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità dei beni, ma anche la provenienza delle risorse economiche impiegate per il loro acquisto dal soggetto che è il reale dominus dell’operazione e che mira a sottrarsi alle normative di prevenzione patrimoniale. Un semplice ‘salto logico’ dalla gestione di fatto alla proprietà reale non è ammesso.

Un’accusa di autoriciclaggio può reggersi su un reato presupposto diverso da quello inizialmente contestato e poi risultato prescritto?
Sì. Nel caso di specie, il sequestro per autoriciclaggio è stato confermato perché il Tribunale ha correttamente individuato un diverso e valido reato presupposto (dichiarazione infedele, un reato tributario), la cui sussistenza a livello di fumus era sufficiente per giustificare la misura cautelare, a prescindere dalla prescrizione di un altro reato (il trasferimento fraudolento) inizialmente collegato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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