Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9936 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9936 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nata a Palermo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/03/2023 della Corte d’appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo i ricorsi siano rigettati;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, il quale si è riportato ai motivi di ricorso e ha concluso per l’accoglimento dello stesso;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, la quale si è riportata ai motivi di ricorso e ha concluso per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16/03/2023, la Corte d’appello di Palermo, per quanto qui ancora interessa, confermava la sentenza del 08/11/2019 del G.u.p. del Tribunale di Palermo, emessa in esito a giudizio abbreviato, di condanna di NOME COGNOME alla pena di due anni e otto mesi di reclusione e di NOME COGNOME alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione (pena sospesa) per i reati, rispettivamente, di: trasferimento fraudolento di valori in concorso di cui ai capi
A) e B) dell’imputazione il COGNOME (reati unificati dal vincolo della continuazione); trasferimento fraudolento di valori in concorso (con il COGNOME) di cui al capo 13) dell’imputazione la COGNOME.
Tali reati erano stati contestati ai due imputati con riguardo all’attribuzione fittizia, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, da parte di NOME COGNOME: a) a NOME COGNOME della titolarità formale dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, sita in Palermo, INDIRIZZO (capo A dell’imputazione); b) a NOME COGNOME della titolarità formale dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, sita in Palermo, INDIRIZZO (capo B dell’imputazione).
Avverso l’indicata sentenza del 16/03/2023 della Corte d’appello di Palermo, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a due motivi.
3.1. Il primo motivo, relativo all’affermazione di responsabilità per i due menzionati reati di trasferimento fraudolento di valori cui ai capi A) e B) dell’imputazione, è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., e in riferimento agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice, e agli artt. 42 e 512-bis cod. pen.
Dopo avere rammentato di avere contestato, sin dal primo grado di giudizio, la sussistenza dell’elemento psicologico dei due reati e le ragioni di tale contestazione e avere riportato la motivazione resa al riguardo dalla Corte d’appello di Palermo, il ricorrente asserisce che questa non avrebbe colto la significanza delle suddette ragioni di contestazione e avrebbe, perciò, motivato in modo manifestamente illogico, anche tenuto conto del fatto che, alla stregua della giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di elemento psicologico del delitto previsto dall’art. 512-bis cod. pen., la stessa Corte avrebbe dovuto verificare se egli, «tra settembre e ottobre del 2015» (atteso che RAGIONE_SOCIALE fu costituita il 26/10/2015 e RAGIONE_SOCIALE il 21/09/2015), fosse «sottoponibile alle misure di prevenzione».
Il ricorrente passa quindi a illustrare le specifiche manifeste illogicità in cu sarebbe incorsa la Corte d’appello di Palermo.
Il COGNOME rammenta in primo luogo che, nel proprio atto di appello, aveva evidenziato come l’ultima manifestazione della propria pericolosità sociale, desumibile dai propri precedenti penali, risalisse al 2008, il che – tenuto conto che la Corte di cassazione ha affermato che l’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale richiede una correlazione temporale tra la manifestazione della pericolosità sociale del proposto e l’acquisto dei beni – sarebbe stato «idone a escludere il pericolo di elusione delle misure di prevenzione (e, quindi, il dolo
specifico del soggetto agente)». Ciò rammentato, il ricorrente denuncia l’illogicità della motivazione là dove la Corte d’appello di Palermo afferma che «l’esistenza di precedenti penali a carico dell’appellante risalenti nel tempo non giova ad escludere la sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto» (pag. 25 della sentenza impugnata), atteso che l’evidenziazione del carattere risalente nel tempo dei propri precedenti penali era finalizzata ad argomentare l’insussistenza non dell’elemento oggettivo ma dell’elemento soggettivo del reato.
In secondo luogo, il COGNOME deduce l’illogicità della motivazione là dove la Corte d’appello di Palermo afferma che «il rapporto di parentela e di affinità con soggetti pregiudicati per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. rendeva assai alto il rischio di adozione di misure ablatorie ai danni dell’appellante» (pag. 25 della sentenza impugnata), atteso che la stessa Corte d’appello, al fine di valutare tale rischio, avrebbe dovuto considerare la posizione dell’imputato e, al più, dei suoi familiari conviventi, e non quella del fratello non convivente NOME COGNOME, peraltro mai imputato «di tali delitti», e del cognato NOME COGNOME, peraltro «assolto in primo grado».
In terzo luogo, il ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello di Palermo secondo cui «on va, peraltro, trascurato che, all’epoca dei fatti in contestazione, la misura di prevenzione patrimoniale era applicabile a tutti i soggetti indicati dall’art. 4 D.Igs. 154/2011 e, quindi, anche a coloro che, come l’odierno imputato, risultavano dediti a traffici illeciti», atteso che egli era in rea ben consapevole di ciò ma aveva però sottolineato come l’unico fatto di reato per il quale aveva riportato condanna risalisse al 2008, con la conseguenza che, nel 2015, difettava la correlazione temporale tra l’ultima manifestazione della sua pericolosità sociale e l’acquisizione patrimoniale.
In quarto luogo, il COGNOME rammenta che, nel proprio atto di appello, aveva evidenziato che, come documentato, al momento della costituzione delle due società, egli disponeva di una cospicua somma di denaro, pari a C 950.091,25, ottenuta come risarcimento del danno subito a seguito di un incidente stradale, fatto che, tenuto conto che, a sensi dell’art. 24 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sono confiscabili i beni del proposto di valore sproporzionato al suo reddito, sarebbe stato «idone a escludere il pericolo di elusione delle misure di prevenzione (e, quindi, il dolo specifico del soggetto agente)». Ciò rammentato, il ricorrente contesta la motivazione resa al riguardo dalla Corte d’appello di Palermo, sostenendo, in particolare, il carattere anapodittico delle affermazioni della stessa Corte d’appello, atteso che: a) non era stata provata l’entità degli investimenti che erano stati effettuati per la costituzione e l’avviamento delle due imprese individuali; b) sarebbe notorio che, nella prassi commerciale, l’acquisto dei beni strumentali e il pagamento della merce possono essere dilazionati nel
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tempo, il che consentirebbe un «meccanismo di “autofinanziamento” aziendale»; c) la vicinanza temporale tra la data di costituzione delle due imprese e la data in cui gli era stato corrisposto il saldo del menzionato risarcimento dei danni, cioè il 23/12/2015, dimostrerebbe, «in virtù delle precedenti considerazioni», che egli aveva potuto utilizzare anche il suddetto saldo per l’avviamento delle due imprese.
In quinto luogo, il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Palermo avrebbe del tutto omesso di considerare l’elemento, che era stato evidenziato nel proprio atto di appello, che l’intestazione a terzi delle due imprese individuali «poteva più logicamente essere finalizzata ad eludere le ingenti richieste di pagamento, per spese processuali, di mantenimento in carcere, oltre che per le multe inflitte con le condanne per violazione della normativa in materia di sostanze stupefacenti», ciò che sarebbe stato «il vero motivo» per il quale egli aveva posto in essere le condotte a lui attribuite.
3.2. Il secondo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio è proposto in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., e in riferimento agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice, e agli artt. 62-bis e 99 cod. pen. e attiene, in particolare, alla ritenuta applicazione della recidiva e al diniego delle richieste circostanze attenuanti generiche.
Quanto all’applicazione della recidiva, il ricorrente deduce la manifesta illogicità della motivazione in quanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello di Palermo, i reati sub iudice non si potrebbero ritenere «in rapporto di continuità con le precedenti condanne».
Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, il ricorrente deduce che la Corte d’appello di Palermo avrebbe omesso di considerare la propria doglianza con la quale aveva indicato l’elemento, sicuramente positivamente valutabile, del suo stato di invalidità.
Il ricorso di NOME COGNOME è affidato a tre motivi.
4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione e falsa applicazione degli artt. 110 e 512bis cod. pen., sull’assunto che «il reato contestato avrebbe dovuto essere correttamente considerato come fattispecie a concorso necessario, in cui la previsione espressa di punibilità sussiste solo per l’interponente e non anche per l’interposto».
Da ciò la non punibilità della stessa ricorrente, alla quale, nella specie, è stato attribuito di essere l’intestataria fittizia dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE e, quindi, il soggetto interposto.
4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 512-bis cod. pen., con riferimento agli artt. 42 e 43 dello stesso codice, con riguardo all’assenza del
dolo del reato a lei attribuito di cui al capo B) dell’imputazione, nonché la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dello stesso dolo, costituito dalla consapevolezza del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
Dopo avere esposto che il G.u.p. del Tribunale di Palermo aveva assolto NOME COGNOME dal suddetto reato di cui al capo B) dell’imputazione ritenendo che l’intestazione fittizia dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE fosse stata operata nell’interesse del solo NOME COGNOME e che lo stesso GRAGIONE_SOCIALE avrebbe tratto la ritenuta sussistenza del dolo specifico, in capo a essa ricorrente, dal solo fatto che si era «prestata all’interposizione» (così il ricorso), e dopo aver trascritto le doglianza che aveva avanzato sul punto nel proprio il proprio atto di appello, la COGNOME deduce la manifesta illogicità della motivazione della Corte d’appello di Palermo là dove questa ha affermato che «la piena consapevolezza dell’appellante dello spessore criminale del COGNOME, cognato del COGNOME, pregiudicato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., e di COGNOME NOME, moglie di quest’ultimo e titolare della RAGIONE_SOCIALE, si evince con chiarezza dal rapporto di lavoro subordinato del marito COGNOME NOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE, gestita dalla RAGIONE_SOCIALE e quindi dalla predetta RAGIONE_SOCIALE. Non va trascurato poi che il COGNOME è tratto in arresto unitamente a COGNOME NOME anche per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e quindi nel medesimo periodo in cui ha iniziato ad operare l’attività RAGIONE_SOCIALE» (pag. 32-33 della sentenza impugnata).
La ricorrente lamenta che tale ragionamento della Corte d’appello di Palermo – secondo cui «la consapevolezza della COGNOME dell’agire del COGNOME per evitare le misure di prevenzione patrimoniali si dovrebbe trarre dal fatto che il di lei marito lavorava per COGNOME NOME, moglie del COGNOME NOME e quest’ultimo era stato arrestato anche per il reato di cui all’art 416 bis cp in concomitanza con l’avvio da parte della COGNOME della caffetteria» (così il ricorso) – costituirebbe un sillogismo del tutto fallace, avendo dedotto dal fatto noto del rapporto di lavoro del proprio marito NOME COGNOME con la menzionata NOME COGNOME il fatto ignoto della sua consapevolezza di agire per evitare al COGNOME l’applicazione di misure preventive ablatorie.
La ricorrente rappresenta altresì che, se è vero che, come affermato dalla Corte d’appello di Palermo, il fatto che ella, dopo solo otto mesi della costituzione dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, la trasferì alla moglie del COGNOME NOME COGNOME non esclude, di per sé, la configurabilità del reato, tale emergenza processuale, tuttavia, avrebbe dovuto essere oggetto di «un accertamento ben più approfondito e pregnante», attesa la necessità di apprezzamento anche di circostanze «ulteriori rispetto all’atto del trasferimento, che consentano la
ricostruzione della fattispecie incriminatrice non solo sul piano oggettivo, ma anche su quello soggettivo».
La COGNOME conclude che la prova del proprio dolo, da intendersi come consapevolezza del fine del Lo COGNOME di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali, non risulterebbe dagli atti del processo né sarebbe adeguatamente motivata nella sentenza impugnata.
4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione in ordine al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62bis cod. pen.
La ricorrente deduce che la Corte d’appello di Palermo avrebbe omesso di considerare la propria doglianza con la quale aveva indicato l’elemento, sicuramente positivamente valutabile e riconosciuto anche dal G.u.p. del Tribunale di Palermo, dell’«esiguità del volume d’affari venuto in rilievo per l’attivit commerciale oggetto di interposizione».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME.
1.1. Il Collegio reputa che il primo motivo, con il quale il ricorrente ha dedotto la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo specifico dei due reati di trasferimento fraudolento di valori a lui attribuiti del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzion patrimoniali non sia manifestamente infondato, con particolare riferimento alle doglianze con le quali lo stesso ricorrente ha lamentato la mancata considerazione, da parte della Corte d’appello di Palermo, del carattere risalente nel tempo dei suoi precedenti penali ai fini della valutazione della ricorrenza del suddetto elemento soggettivo (e non dell’elemento oggettivo del reato) e la valorizzazione, da parte della stessa Corte d’appello di Palermo, dei suoi rapporti di parentela e affinità con soggetti pregiudicati.
Da ciò consegue l’ammissibilità del ricorso, la quale, consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, comporta che, difettando le condizioni per la pronuncia di una sentenza assolutoria nel merito ai sensi del comma 2 dell’art. 129 cod. proc. pen. (nei termini che sono stati precisati da Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274-01), deve essere rilevata e dichiarata la prescrizione dei reati (di cui ai capi A e B dell’imputazione) maturata successivamente alla sentenza impugnata, segnatamente, il 28/06/2023.
Infatti: considerata l’esistenza di atti interruttivi, il tempo necessario prescrivere il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. è di sette anni e sei mesi, con la conseguenza che i due reati attribuiti al COGNOME, in quanto commessi il
26/10/2015 (il reato di trasferimento fraudolento di valori ha natura di reato istantaneo, ancorché con effetti permanenti: tra le tante, Sez. 2, n. 17035 del 10/03/2022, Frascati, Rv. 283193-01) si sarebbero prescritti il 26/04/2023; poiché, peraltro, il corso della prescrizione era rimasto sospeso dal 12/01/2022 al 17/03/2022, i suddetti due reati si sono prescritti, come si è anticipato, il 28/06/2023.
Il ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Dalla ritenuta non manifesta infondatezza del primo motivo del ricorso di NOME COGNOME con il quale l’imputato ha dedotto la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo specifico del suo fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali consegue la non manifesta infondatezza del secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME, con il quale anche tale imputata ha lamentato la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo alla sussistenza, in capo a sé, del dolo del reato di trasferimento fraudolento di valori cui al capo B) dell’imputazione, atteso che tale dolo richiede, quanto al soggetto interposto (qui, la COGNOME), che questi condivida il fine dell’interponente (qui, il COGNOME) o che, comunque, ne sia consapevole (Sez. 2, n. 27123 del 03/05/2023, Carnovale, Rv. 284796-01).
Da ciò discende l’ammissibilità anche del ricorso di NOME COGNOME, con la conseguenza che deve quindi essere rilevata e dichiarata, difettando, anche per tale imputata, le condizioni per la pronuncia di una sentenza assolutoria nel merito ai sensi del comma 2 dell’art. 129 cod. proc. pen., la prescrizione del reato di cui al capo B) dell’imputazione a lei ascritto, maturata, come si è detto, il 28/06/2023.
Pertanto, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere i reati estinti per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione.
Così deciso il 15/02/2024.