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Trasferimento fraudolento di valori: il socio occulto

La Corte di Cassazione ha confermato il sequestro preventivo di un gruppo di società formalmente intestate a dei prestanome. La sentenza chiarisce che il reato di trasferimento fraudolento di valori sussiste quando si prova l’esistenza di un ‘socio occulto’ che, pur non apparendo formalmente, gestisce di fatto l’intero gruppo imprenditoriale per schermare beni di provenienza illecita ed eludere le misure di prevenzione patrimoniale.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trasferimento Fraudolento di Valori: la Cassazione sul Ruolo del Socio Occulto

Il trasferimento fraudolento di valori, disciplinato dall’articolo 512-bis del codice penale, è un reato complesso che mira a colpire chi scherma patrimoni di provenienza illecita. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 38775/2024, offre un’analisi dettagliata su come si configura tale delitto, specialmente quando emerge la figura del cosiddetto ‘socio occulto’ che gestisce un impero commerciale attraverso prestanome. Approfondiamo i fatti e le motivazioni della Suprema Corte.

Il Caso: Un Gruppo Societario e l’Ombra del Socio Occulto

Il caso trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria che, in sede di rinvio, aveva confermato il sequestro preventivo delle quote e del patrimonio di numerose società operanti nel settore della ristorazione in Portogallo. I titolari formali di queste società, ricorrenti in Cassazione, erano accusati di essere meri interposti. Secondo l’accusa, il vero dominus e beneficiario economico dell’intero gruppo imprenditoriale era un altro soggetto, il quale avrebbe utilizzato i familiari come prestanome per schermare la reale proprietà dei beni, frutto di attività illecite legate al narcotraffico e per eludere possibili misure di prevenzione patrimoniale.

La Difesa e i Motivi del Ricorso

I difensori degli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. Tra i principali, lamentavano l’inutilizzabilità di alcuni atti di indagine acquisiti oltre i termini, la violazione di legge per mancata individuazione degli apporti concreti che dimostrassero il ruolo di ‘schermo’ delle società, e l’assenza dell’elemento psicologico (dolo specifico) sia in capo all’imprenditore occulto sia agli stessi interposti.

L’Analisi della Corte sul Trasferimento Fraudolento di Valori

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, ritenendoli infondati. I giudici hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di trasferimento fraudolento di valori, non è necessario che l’attività imprenditoriale sia illecita fin dalla sua costituzione. Il reato può manifestarsi anche in una fase successiva, quando in una società, sorta lecitamente, si inserisce un socio occulto che, avvalendosi di prestanome, persegue le finalità illecite previste dalla norma.
Nel caso specifico, le prove raccolte (in particolare le intercettazioni) dimostravano in modo inequivocabile che l’imprenditore non era un semplice amministratore, ma il vero ‘socio occulto’ e dominus dell’intero gruppo. Egli prendeva le decisioni strategiche, disponeva dell’inserimento e dell’allontanamento dei soci e partecipava alla spartizione degli utili in misura identica a quella dei soci formali.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto corretto l’operato del Tribunale del riesame, che ha individuato nel principale indagato la figura del socio occulto dell’intero gruppo. Le conversazioni intercettate hanno fatto emergere un ampio e decisivo potere gestionale, incompatibile con un mero ruolo amministrativo. La Corte ha sottolineato che l’individuazione di un soggetto come socio di fatto è sufficiente per integrare la fattispecie cautelare, specialmente quando, come in questo caso, partecipa alla gestione e agli utili derivanti dall’attività.
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo degli interposti (i titolari formali), la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: l’intestatario fittizio risponde del reato a titolo di concorso (art. 110 c.p.) se è consapevole della finalità elusiva perseguita dall’autore principale. Non è necessario che sia animato dallo stesso dolo specifico dell’interponente. Nel caso di specie, gli stretti legami familiari tra gli interposti e il socio occulto inducevano a ritenere sussistente la consapevolezza della fittizia intestazione e delle sue ragioni.
Infine, la Corte ha respinto la doglianza sul periculum in mora, affermando che la prognosi di commissione di ulteriori reati era ben fondata, considerando il programma operativo facente capo al dominus e il concreto pericolo di dispersione dei beni nel contesto criminale delineato.

Le Conclusioni

La sentenza n. 38775/2024 della Corte di Cassazione rafforza l’orientamento giurisprudenziale in materia di trasferimento fraudolento di valori. Essa chiarisce che la prova del reato può fondarsi sull’individuazione di un ‘socio occulto’ che esercita un potere gestionale di fatto, anche se l’impresa è stata inizialmente costituita con fondi leciti. Inoltre, conferma la responsabilità a titolo di concorso per i prestanome, qualora siano consapevoli dello scopo illecito dell’operazione di schermatura, un elemento che può essere desunto anche da elementi logici come gli stretti vincoli familiari. Questa decisione rappresenta un importante strumento per contrastare le forme più sofisticate di riciclaggio e di occultamento di patrimoni illeciti.

Quando si configura il reato di trasferimento fraudolento di valori in un’attività d’impresa?
Il reato si configura non solo quando l’impresa nasce con capitali illeciti, ma anche quando, in una fase successiva, in una società sorta lecitamente si inserisce un ‘socio occulto’ che, avvalendosi di prestanome (interposizione fittizia), persegue la finalità di eludere le misure di prevenzione patrimoniale o di agevolare altri reati.

Come si dimostra l’esistenza di un ‘socio occulto’?
L’esistenza di un socio occulto si dimostra attraverso elementi fattuali che provano il suo potere gestionale e decisionale sull’intera attività. Nel caso esaminato, le prove decisive sono state le conversazioni intercettate, dalle quali emergeva che tale soggetto decideva della spartizione degli utili, dell’allontanamento e dell’inserimento dei soci e si preoccupava delle conseguenze di una sua eventuale scoperta all’interno dei locali commerciali.

I prestanome (soggetti interposti) rispondono del reato anche se non hanno lo specifico scopo di eludere le norme?
Sì, l’intestatario fittizio del bene risponde del reato a titolo di concorso (art. 110 c.p.) se è consapevole della finalità elusiva o agevolativa perseguita dal vero proprietario (l’interponente). Non è necessario che il prestanome condivida lo stesso dolo specifico, ma è sufficiente che sia a conoscenza del disegno criminoso. Tale consapevolezza può essere desunta da elementi logici, come gli stretti legami familiari con l’interponente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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