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Trasferimento fraudolento di valori: il ruolo del prestanome

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18422/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna indagata per trasferimento fraudolento di valori. La Corte ha confermato la validità della misura cautelare, chiarendo che chi agisce come prestanome, pur senza il dolo specifico di eludere le norme, risponde del reato in concorso se è consapevole della finalità illecita dell’autore principale. La decisione ribadisce inoltre i limiti del ricorso per cassazione avverso le ordinanze cautelari e i criteri per valutare l’attualità del pericolo di reiterazione del reato.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trasferimento fraudolento di valori: la responsabilità del prestanome

Il reato di trasferimento fraudolento di valori, disciplinato dall’articolo 512-bis del codice penale, è uno strumento fondamentale per contrastare l’occultamento di patrimoni di provenienza illecita. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 18422 del 2024, offre importanti chiarimenti sul concorso di persone in questo reato, con particolare riferimento alla figura del “prestanome”. La Corte ha stabilito che anche chi si limita a figurare come titolare di beni altrui, senza avere il diretto scopo di eludere le norme, può essere ritenuto complice se è consapevole dell’intento fraudolento del soggetto per cui agisce.

I Fatti del Caso: Il Ruolo della Convivente

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una misura cautelare disposta dal Tribunale di Palermo nei confronti di una donna. Le indagini avevano rivelato che la donna fungeva da prestanome per il proprio convivente, apparendo come titolare di numerose società. Secondo l’accusa, queste società erano state costituite con capitali del convivente e da lui gestite di fatto, al fine di sottrarre i beni a possibili misure di prevenzione patrimoniale. La difesa della ricorrente sosteneva, tra le altre cose, la mancanza di prove sulla sua partecipazione consapevole all’intestazione fittizia e l’assenza del dolo specifico, ovvero dell’intento di eludere le norme.

Il Trasferimento Fraudolento di Valori e il Concorso del Prestanome

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo inammissibile e manifestamente infondato. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire alcuni principi cardine in materia di trasferimento fraudolento di valori.

Il delitto in questione è un reato a forma libera, che si concretizza con la semplice attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di beni a un soggetto terzo. Chi si presta a questa operazione, diventando fittiziamente titolare, contribuisce direttamente alla lesione dell’interesse protetto dalla norma e, pertanto, risponde del reato a titolo di concorso.

La Consapevolezza del Prestanome è Sufficiente per il Concorso

Un punto cruciale della sentenza riguarda l’elemento soggettivo richiesto al concorrente. La difesa sosteneva che tutti i partecipanti al reato dovessero agire con il dolo specifico di eludere le misure di prevenzione. La Cassazione, aderendo a un orientamento consolidato, ha chiarito che non è così.

Secondo la Corte, è sufficiente che almeno uno dei concorrenti (solitamente il dominus effettivo dei beni) agisca con tale finalità. Per gli altri concorrenti, come il prestanome, è sufficiente la consapevolezza di questa finalità altrui. In altre parole, il prestanome che sa che l’intestazione fittizia serve a schermare i beni del socio occulto da possibili aggressioni dello Stato, risponde del reato anche se il suo movente personale è un altro (es. un legame affettivo o un compenso).

La Valutazione del Pericolo di Reiterazione del Reato

Un altro motivo di ricorso riguardava l’applicazione della misura cautelare e la valutazione del pericolo di reiterazione del reato. La difesa lamentava che, essendo stati bloccati tutti i beni, non vi fosse un pericolo attuale e concreto. La Corte ha respinto anche questa censura, precisando che il requisito dell’attualità del pericolo, previsto dall’art. 274 c.p.p., non equivale all’imminenza di una specifica occasione per delinquere.

Il giudice deve compiere una valutazione prognostica basata sulla personalità dell’indagato, sulle modalità della condotta e sul contesto socio-ambientale. Nel caso di specie, il carattere continuativo e strutturato del meccanismo elusivo, e il contributo decisivo della ricorrente, sono stati ritenuti elementi sufficienti a giustificare la prognosi di un pericolo di ricaduta, anche in assenza di immediate opportunità.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza e genericità. Le motivazioni si possono sintetizzare nei seguenti punti:

1. Limiti del giudizio di legittimità: Il ricorso per cassazione avverso le misure cautelari è consentito solo per violazione di legge o per motivazione manifestamente illogica, non per riesaminare i fatti o proporre una diversa valutazione degli indizi.
2. Sussistenza dei gravi indizi: Il Tribunale aveva adeguatamente motivato il ruolo di prestanome della ricorrente, basandosi su intercettazioni e prove documentali che dimostravano come la gestione e la provenienza dei capitali fossero riconducibili esclusivamente al convivente.
3. Corretta applicazione dell’art. 512-bis c.p.: La Corte ha ribadito che il prestanome, con la sua condotta cosciente e volontaria, contribuisce alla lesione dell’interesse protetto dalla norma e risponde quindi in concorso, anche se non animato dal medesimo dolo specifico del dominus.
4. Adeguata valutazione delle esigenze cautelari: La motivazione del Tribunale sul pericolo di reiterazione è stata ritenuta logica e coerente. Il giudice ha correttamente considerato la gravità delle condotte, il dolo intenso e il ruolo chiave della ricorrente nel sistema illecito, ritenendo tali elementi idonei a fondare un giudizio prognostico negativo, a prescindere dallo stato di incensuratezza della donna.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida principi giurisprudenziali di grande importanza pratica nella lotta alla criminalità economica. In primo luogo, conferma una nozione ampia di concorso nel reato di trasferimento fraudolento di valori, che include chiunque si presti consapevolmente a operazioni di intestazione fittizia. In secondo luogo, chiarisce che la responsabilità penale del prestanome non richiede la prova di un suo specifico interesse a eludere le norme, essendo sufficiente la consapevolezza dell’intento illecito altrui. Infine, ribadisce che la valutazione sull’attualità del pericolo di reiterazione del reato è una prognosi complessa, che non si esaurisce nella mera verifica di opportunità criminali immediate.

Chi commette il reato di trasferimento fraudolento di valori risponde a titolo di concorso?
Sì, colui che si rende fittiziamente titolare di beni (il cosiddetto prestanome) con lo scopo di aggirare le norme in materia di prevenzione patrimoniale o di agevolare altri reati, risponde a titolo di concorso nel reato commesso da chi ha operato l’attribuzione fittizia, in quanto con la sua condotta cosciente e volontaria contribuisce alla lesione dell’interesse protetto dalla norma.

È necessario che anche il prestanome agisca con lo scopo specifico di eludere le misure di prevenzione?
No. Secondo l’orientamento confermato dalla Corte, per la sussistenza del reato è sufficiente che almeno uno dei concorrenti agisca con quella finalità specifica (dolo specifico). Per gli altri concorrenti, come il prestanome, è sufficiente che siano consapevoli che un altro concorrente agisce con il richiesto elemento soggettivo.

Cosa si intende per ‘attualità del pericolo’ ai fini dell’applicazione di una misura cautelare?
Il requisito dell’attualità del pericolo non è equiparabile all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto. Richiede, invece, una valutazione prognostica del giudice sulla possibilità di condotte reiterative, basata su un’analisi della fattispecie concreta, delle modalità della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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