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Trasferimento fraudolento di valori e riciclaggio

La Corte di Cassazione ha stabilito che il delitto di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.) costituisce un reato autonomo che può fungere da presupposto per i successivi delitti di riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego. La Corte ha rigettato il ricorso di un imputato che, agendo come intermediario per conto di un esponente di un clan, aveva contribuito a intestare fittiziamente beni e società a prestanome. È stato chiarito che non vi è assorbimento tra le fattispecie, in quanto il trasferimento fraudolento genera un autonomo profitto illecito, consistente nella facilitazione del godimento dei beni e nel sottrarli alle misure di prevenzione patrimoniale.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Trasferimento Fraudolento di Valori: La Cassazione ne conferma l’autonomia come reato presupposto del riciclaggio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il complesso rapporto tra il delitto di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.) e i reati di riciclaggio e autoriciclaggio. La Corte ha stabilito un principio fondamentale: l’intestazione fittizia di beni non solo è un reato a sé stante, ma può fungere da reato presupposto per le successive operazioni di “pulizia” del denaro sporco, senza che vi sia assorbimento tra le diverse fattispecie. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti del caso: una rete di prestanome per nascondere i beni

Il caso esaminato riguardava un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un individuo accusato di aver agito come intermediario per conto di un soggetto di spicco di un’associazione criminale. L’attività illecita consisteva nell’orchestrare una serie di operazioni volte a schermare la reale proprietà di ingenti capitali di provenienza delittuosa. In particolare, l’imputato aveva contribuito a:

1. Trasferire fittiziamente la proprietà di un immobile a una prestanome.
2. Attribuire a quest’ultima e ad altri soggetti interposti la qualifica di socio unico e amministratore di una società a responsabilità limitata, anch’essa riconducibile ai reali proprietari.
3. Intestare fittiziamente un’ulteriore ditta individuale.

L’obiettivo di questa complessa architettura era duplice: eludere il rischio di misure di prevenzione patrimoniale (come la confisca) e reimpiegare i beni “ripuliti” in attività economiche, ostacolando l’identificazione della loro origine criminale.

Il ricorso in Cassazione e il ruolo del trasferimento fraudolento di valori

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente due tesi.

La tesi difensiva: assorbimento del riciclaggio nel reato principale

Secondo il ricorrente, egli non avrebbe potuto essere accusato contemporaneamente di trasferimento fraudolento di valori e dei successivi reati di reimpiego e autoriciclaggio. La logica difensiva si basava sul principio di sussidiarietà, per cui le condotte di reimpiego non sarebbero state altro che la concreta modalità esecutiva del delitto di trasferimento fittizio. In altre parole, il riciclaggio avrebbe dovuto essere “assorbito” nel reato di intestazione fittizia, considerato l’unico vero reato presupposto.

La questione delle esigenze cautelari

Un secondo motivo di doglianza riguardava la motivazione della misura cautelare. La difesa lamentava che la custodia in carcere fosse stata giustificata sulla base di un’aggravante mafiosa mai formalmente contestata all’imputato, rendendo così la motivazione insufficiente.

Le motivazioni della Corte: la piena autonomia del trasferimento fraudolento di valori

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura del reato di trasferimento fraudolento di valori.

I giudici hanno affermato con forza che questo delitto può benissimo costituire reato presupposto dei delitti di riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego. Le due fattispecie criminose possono concorrere pacificamente. La Corte ha spiegato che il bene a cui viene data una nuova e fittizia apparenza formale diventa “ontologicamente ‘altro'” rispetto a prima. Questo processo genera un autonomo profitto illecito, che non consiste nel valore del bene in sé, ma nella “oggettiva facilitazione del godimento e della disponibilità dei beni illecitamente acquisiti”.

In pratica, l’atto di intestare fittiziamente un bene a un prestanome produce un risultato illecito nuovo e distinto: la creazione di uno schermo giuridico che protegge il bene da interventi ablatori dello Stato e ne facilita la circolazione nel mercato legale. Per questo motivo, non può esserci assorbimento tra i reati.

La valutazione del pericolo di reiterazione

Pur riconoscendo un errore formale nella motivazione dell’ordinanza cautelare (il richiamo a una presunzione di legge non applicabile al caso), la Corte ha ritenuto che la necessità della custodia in carcere fosse comunque ampiamente giustificata. Il periculum libertatis è stato desunto da altri elementi concreti: la gravità delle condotte, la loro estensione su un lungo arco temporale, il ruolo di intermediario svolto per conto di un detenuto di alta sicurezza e la personalità “particolarmente trasgressiva e spregiudicata” dell’imputato, come emerso dai suoi precedenti penali.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La decisione in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza nella lotta alla criminalità economica. Si ribadisce che le operazioni di intestazione fittizia non sono un mero passaggio intermedio, ma un reato-ostacolo che produce un proprio profitto illecito. Questo approccio consente agli inquirenti di contestare in concorso sia il delitto di trasferimento fraudolento sia i successivi reati di riciclaggio, colpendo in modo più efficace l’intera filiera del reimpiego di capitali illeciti. Per gli operatori del diritto, ciò significa prestare massima attenzione alla struttura delle operazioni societarie e immobiliari, poiché anche la mera interposizione fittizia può integrare un grave illecito penale, autonomo e distinto dal successivo lavaggio del denaro.

Il reato di trasferimento fraudolento di valori può essere considerato un reato presupposto per il riciclaggio e l’autoriciclaggio?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il delitto di trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.) può costituire il reato presupposto dei delitti di riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego. Questo perché genera un autonomo profitto illecito, consistente nel rendere il bene formalmente ‘pulito’ e sottrarlo alle misure di prevenzione patrimoniale.

I reati di trasferimento fraudolento e riciclaggio possono essere contestati alla stessa persona per la stessa operazione?
Sì, la sentenza chiarisce che non vi è un rapporto di assorbimento tra le due fattispecie. Possono concorrere, poiché il trasferimento fraudolento è un ‘reato-ostacolo’ che crea una nuova apparenza giuridica del bene, mentre il riciclaggio riguarda il successivo impiego di tale bene per ostacolarne l’identificazione della provenienza delittuosa.

È possibile giustificare la custodia in carcere basandosi solo sulla gravità dei fatti, anche se manca un’aggravante specifica come quella mafiosa?
Sì. Anche se nel caso specifico era stato fatto un richiamo erroneo a una presunzione di legge legata a reati di mafia, la Corte ha ritenuto la misura cautelare giustificata. La decisione si è basata su altri elementi concreti come la gravità delle condotte, la loro durata nel tempo, il ruolo di intermediario con un detenuto di alta sicurezza e la personalità dell’indagato, elementi sufficienti a dimostrare un rilevante ‘periculum libertatis’ (pericolo di reiterazione del reato).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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