Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43668 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43668 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/09/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro
NOME nata a Crotone il DATA_NASCITA, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, di fiducia
avverso l’ordinanza emessa in data 28/05/2024 del Tribunale di Catanzaro, sezione del riesame;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che è stata richiesta dal difensore la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, dl. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del dl. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica e l’inammissibilità del ricorso presentato nell’interesse di NOME; udita la discussione dei difensori della ricorrente, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO che hanno chiesto l’accoglimento del proprio ricorso;
letta la memoria difensiva con la quale si chiede declaratoria di inammissibilità o comunque di rigetto con riferimento al ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 11/07/2023 il Tribunale di Catanzaro, in accoglimento dell’istanza di riesame presentata da NOME COGNOME, annullava la misura della custodia cautelare in carcere a costei applicata con ordinanza del 07/06/2023 pronunciata dal giudice per le indagini del Tribunale di Catanzaro in relazione al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. contestato al capo 35 per difetto di gravi indizi di colpevolezza e sostituiva detta misura con quella degli arresti domiciliari per il delitto contestato al capo 43 di cui all’art. 512 bis cod. pen., aggravato ai sensi dell’art. 416bis.1 cod. pen. avente ad oggetto la condotta di gestione, in concorso con altri, in modo occulto e per conto della cosca mafiosa capeggiata dal padre COGNOME NOME, della attività di ristorazione “RAGIONE_SOCIALE“, formalmente intestata a COGNOME NOME, ciò al fine di eludere le misure di prevenzione patrimoniale applicabili al padre e di favorire la commissione del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen.
A seguito di ricorso per cassazione proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro e da NOME COGNOME, questa Corte, in diversa composizione, con sentenza emessa in data 15/02/2024 annullava l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro ritenendo, da un lato, fondate le censure dedotte dalla pubblica accusa in relazione alla esclusione di gravi indizi di colpevolezza in capo all’indagata in ordine al reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. e, dall’altro lato, parzialmente fondata l’impugnazione di NOME con riferimento al giudizio di gravità indiziaria relativamente al reato di cui all’art. 512 bis cod. pen. e alla aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
In sede di giudizio di rinvio, il Tribunale di Catanzaro con provvedimento del 28/05/2024 annullava l’ordinanza genetica ritenendo raggiunta la soglia dei gravi indizi di colpevolezza solo con riferimento al reato di cui all’art. 512 bis cod.
pen. in relazione al quale escludeva, tuttavia, l’aggravante mafiosa; trattandosi di condotta consumata nell’anno 2015 ravvisava l’insussistenza di attuali esigenze cautelari in ordine al pericolo di reiterazione del reato con conseguente revoca della misura domiciliare in atto.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione sia il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro che l’indagata NOME.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro ha dedotto due motivi di ricorso che, in quanto logicamente connessi, possono essere esposti congiuntamente.
Il ricorrente lamenta il vizio di contraddittorietà ed illogicità della motivazio emergente dal testo del provvedimento impugnato, nonché l’erronea applicazione della legge penale n relazione all’art. 416 bis.1 cod. pen.
Rileva che, in sede di giudizio di rinvio, il Tribunale del riesame ha ritenuto la gravità indiziaria con riferimento al solo delitto di cui all’art. 512 bis cod. pen. (capo 43) rilevando che il ristorante RAGIONE_SOCIALE era nella sostanziale titolarità de capo cosca NOME COGNOME che, come emerso da alcune conversazioni intercettate, in tale attività aveva investito nella prospettiva di un ritorno in term di utili di impresa, affidandola solo formalmente a NOME COGNOME al fine di eludere prevedibili misure di prevenzione patrimoniali a suo carico.
Il collegio, tuttavia, ha affermato che tale condotta, alla quale aveva certamente partecipato la figlia NOME mediante la concreta e fattiva gestione dell’esercizio, non era stata finalizzata a rafforzare l’azione della cosca, trattandosi di un personale e privato investimento di NOME COGNOME, separato dalle attività illecite della consorteria, con conseguente esclusione non solo della aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. con riferimento all’addebito di trasferimento fraudolento di valori, ma anche della partecipazione di NOME COGNOME al sodalizio mafioso in quanto la gestione occulta del ristorante non aveva rappresentato un apporto concreto alla vita dell’associazione e, dunque, una messa a disposizione.
Il Tribunale del riesame ha motivato tale giudizio sostenendo, da un lato, che l’investimento inziale era stato effettuato dal solo NOME COGNOME e, dall’altro, che l’intervento nel corso della conduzione dell’esercizio da parte di altri soggetti appartenenti alla cosca (NOME COGNOME e COGNOME NOME) era stato estemporaneo ed occasionale in quanto finalizzato a risolvere questioni contingenti.
Tale percorso argomentativo, secondo il ricorrente, si fonda su un travisamento degli elementi a disposizione (riportati nel provvedimento impugnato, attribuendo tuttavia ad essi un significato differente da quello proprio), sul ricorso a massime
di esperienza del tutto illogiche e sulla omessa valutazione complessiva dei dati investigativi disponibili, sebbene richìamati in altri passaggi della motivazione.
In particolare, il Tribunale ha affermato che l’investimento nel ristorante RAGIONE_SOCIALE era riconducibile esclusivamente a NOME COGNOME nella prospettiva di un impiego di denaro individuale e al riguardo nelle pagine 3 e 4 del provvedimento ha richiamato per esteso una serie di intercettazioni che, invece, dimostrano come tale affare era stato adottato dal sodalizio in forma plurale e condivisa (“abbiamo messo i soldi, eravamo rimasti che NOME doveva mettere cinquemila euro e dovevamo cacciare…”).
Lo stesso Tribunale ha posto in luce come la gestione occulta dell’attività di ristorazione era stata demandata principalmente alla figlia NOME che, aveva anche acquisito una partecipazione nell’impresa, ma anche ai sodali NOME COGNOME (organizzatore del sodalizio) e NOME COGNOME il cui apporto ha, tuttavia, definito “estemporaneo e non strutturale” con considerazioni del tutto illogiche atteso che nel corpo della motivazione si sottolinea:
la capillare conoscenza dimostrata dai due associati dei risultati della attività economica (per il COGNOME, addirittura, dei rapporti “dare e avere” tra i soci) e delle relative criticità ( di cui NOME COGNOME “si doleva”);
l’intervento diretto di NOME COGNOME in relazione ad aspetti ordinari della gestione, quali la conservazione del patrimonio aziendale in esito ad un patito furto, il rapporto con i fornitori in caso di inadempienza degli stessi, il funzionamento dei macchinari aziendali (problematiche riscontrate su un forno).
La valutazione complessiva di tali emergenze investigative che lo stesso Tribunale richiama nel provvedimento impugnato, disvelano chiaramente un’azione coordinata e collettiva della cosca nella acquisizione, prima, e nella gestione, poi, del ristorante, formalmente intestato ad un soggetto terzo, ma di fatto condotto da NOME COGNOME e da altri sodali.
L’investimento nella ristorazione, settore strategico dell’economia della città di Crotone, non era stato dunque un investimento privato di NOME COGNOME, bensì uno strumento attivato dal sodalizio mafioso per rafforzare la sua azione nel territorio di riferimento e penetrare nel relativo tessuto economico sociale.
La conversazione intercettata tra NOME e NOME COGNOME – anch’essa richiamata alle pagine 5 e 6 del provvedimento impugnato- lo attesta chiaramente laddove i due interlocutori danno atto di come, rispetto all’epoca dei precedenti soci, la loro nuova gestione si stava affermando nel mercato di riferimento con conseguenti ritorni economici nell’interesse della consorteria.
NOME COGNOME, tramite i difensori fiduciari, ha dedotto due motivi di ricorso.
Si lamenta la violazione ed erronea applicazione della legge penale con riferimento agli art. 192, 273 e 627 cod. proc. pen. nonché all’art. 512 bis cod. pen; la carenza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova.
Quanto al primo profilo di doglianza, si rileva che il Tribunale del riesame ha ritenuto la gravità indiziaria in capo a NOME in relazione al reato trasferimento fraudolento di valori senza uniformarsi ai principi di diritto dettat nella sentenza rescindente e cioè, ancora una volta, ha posto a fondamento di tale giudizio il solo dato fattuale della gestione occulta, da parte dell’indagata, della attività di ristorazione che la Corte di legittimità, in sede di annullamento con rinvio, aveva invece ritenuto insufficiente evidenziando che occorreva altresì chiarire, sul piano dell’elemento materiale del reato, il profilo della provenienza delle risorse economiche impiegate per l’acquisto del bene da parte del soggetto che intende eludere l’applicazione di misure di prevenzione e, quindi, della individuazione dell’autore della condotta tipica sanzionata (cioè se NOME COGNOME era il titolare effettivo del ristorante avendolo acquistato con risorse proprie o comunque a lui riconducibili ovvero era solo un co-gestore di tale attività, insieme alla figlia) ed era altresì necessario approfondire l’ulteriore aspetto del dolo specifico di reato in capo a NOME, quale concorrente ex art. 110 cod. pen. e cioè la sua consapevolezza in ordine alla finalità elusiva o agevolativa perseguita dall’autore della condotta tipica, profilo esaminato con motivazione illogica e contradditoria.
Il Tribunale del riesame, nel giudizio di rinvio, ha semplicemente valorizzato una conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’anno 2019 in cui il primo faceva riferimento ad un investimento di denaro che, tuttavia, non riveste un univoco significato indiziante; il collegio non ha posto in luce elementi in ordine all’epoca di tale investimento che l’imputazione provvisoria colloca nell’anno 2015 e ha individuato, sul piano dei ruoli, NOME COGNOME come gestore occulto e NOME COGNOME quale intestataria fittizia.
Quanto ai dedotti vizi motivazionali, il Tribunale del riesame ha omesso di valutare ed argomentare in merito agli elementi evidenziati dalla difesa nella memoria scritta depositata volti a dimostrare il mancato raggiungimento della soglia della gravità indiziaria in capo alla ricorrente per il reato di cui all’art. bis cod. pen. e segnatamente: la presenza in atti di conversazioni intercettate da cui emergeva la gestione da parte dell’indagata della ditta denominata RAGIONE_SOCIALE di NOME NOME operativa dal febbraio 2006, fornitrice del ristorante RAGIONE_SOCIALE; il dialogo progr. 887-888 RIT 1372/2016 nel quale NOME COGNOME, parlando con il suo autista e quindi con un uomo di fiducia, indicava il ristorante RAGIONE_SOCIALE come una attività non appartenente a lui o alla consorteria, bensì una cosa
“di NOME“; la conversazione progr. 50651 RIT 700/18 ove l’indagata manifestava l’intenzione di non proseguire nella attività a causa di perdite di denaro; la conversazione progr. 50651 RIT 458/18 nel corso della quale NOME COGNOME, parlando di un sequestro subìto dal ristorante, indicava tale esercizio come di titolarità della figlia di NOME.
L’interessamento di quest’ultimo nella gestione di NOME RAGIONE_SOCIALE (con partecipazione a riunioni da parte dello stesso, elemento valorizzato dal tribunale) nasceva dalla necessità di tutelare gli interessi privati della propria figlia la quale ad un cer punto lo informava che gli affari andavano male.
CONSIDERATO IN DIRITTO
E’ opportuno muovere dall’impugnazione proposta dall’indagata NOME il cui interesse all’esame del ricorso (avente ad oggetto il profilo della gravità indiziaria con riferimento al reato di cui all’art. 512-bis cod. pen.) sussiste ancorchè il Tribunale del riesame con l’ordinanza impugnata abbia revocato la misura restrittiva domiciliare originariamente applicata per assenza di attuali esigenze cautelari.
Sul punto va richiamato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità al quale si intende dare seguito secondo cui, anche in caso di remissione in libertà, l’interesse in questione, laddove involgente il requisito di cui all’art. 273 cod. proc pen., permane in concreto, in relazione alla disposizione dell’art. 405, comma primo-bis, cod. proc. pen., in quanto la decisione della Corte di Cassazione in ordine all’insussistenza del quadro indiziario condiziona, se non seguita da un’ulteriore attività di acquisizione probatoria, la scelta del P.M. di iniziare o meno l’azione penale (Sez. 6, n. 2210 del 06/12/2007, Magazzù, Rv. 238633).
1.1. Manifestamente infondato è il profilo di doglianza che ha ad oggetto la violazione dell’art. 627, comma terzo, codice di rito perché il Tribunale del riesame non si sarebbe uniformato ai principi di diritto dettati dalla Corte di legittimità nel pronuncia di annullamento con rinvio della prima ordinanza emessa in data 11/07/2023.
Il Tribunale per il riesame ha formulato un nuovo giudizio in punto di gravità indiziaria per il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. in capo alla ricorre colmando le lacune motivazionali del proprio precedente provvedimento con un costrutto argomentativo che si pone in linea con le direttive indicate nella sentenza rescindente.
L’ordinanza qui impugnata ( pagg. da 3 a 5) ha infatti messo in luce richiamando precisi dati fattuali emergenti da talune conversazioni intercettate (in parte riportate nel loro tenore testuale) – che NOME COGNOME aveva
personalmente investito denaro nella attività di ristorazione RAGIONE_SOCIALE la cui titolarità formale era tuttavia in capo ad un terzo interposto e che la gestione di fatto era affidata non solo alla figlia NOME (preposta alle ordinarie mansioni) ma anche a lui stesso il quale disponeva delle scritture contabili e intratteneva personalmente i rapporti con un soggetto incaricato di individuare le possibili soluzioni percorribili finalizzate a fronteggiare le non floride condizioni economiche del ristorante, confrontandosi in relazione alle posizioni creditorie e debitorie maturate nel corso dell’esercizio.
È stato dunque affrontato e concretamente esaminato il profilo- indicato dai giudici di legittimità come rilevante ai fini della configurazione dell’elemento oggettivo del delitto di cui all’art. 512-bis cod. pen.- relativo alla provenienz proprio da COGNOME NOME (e quindi dal soggetto che intendeva eludere l’applicazione di misure di prevenzione a suo carico) delle risorse economiche per l’acquisto dell’ attività, ancorchè formalmente e fittiziamente intestata ad un terzo.
Il provvedimento impugnato ha preso in esame anche l’ulteriore aspetto di criticità della struttura argomentativa dell’ordinanza annullata relativo all’elemento psicologico in capo a NOME COGNOME, individuato dai giudici di legittimità nella consapevolezza di costei della finalità di elusione dell’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali perseguita da NOME COGNOME.
Al riguardo, ha posto in luce come i dati investigativi attestavano che l’effettiva titolarità dell’esercizio di ristorazione (formalmente intestata ad alt soggetto) era riconducibile al padre dell’indagata, già coinvolto in procedimenti penali e di prevenzione, il quale, per sua stessa ammissione aveva candidamente affermato di avervi “messo soldi”, sicchè la NOME (la cui gestione ed ingerenza in tale impresa era parimenti ben lumeggiata nelle conversazioni intercettate) emergeva come portatrice, unitamente al genitore, dello scopo di eludere la possibile adozione nei confronti di costui di misure di aggressione patrimoniale perseguito facendo apparire la titolarità della attività in capo ad un terzo interposto.
1.2. Infondato è il secondo motivo di ricorso.
E’ certamente vero che nel provvedimento impugnato non vi è menzione degli elementi evidenziati nella memoria scritta depositata dai difensori all’udienza del 28 maggio 2024 (allegata al ricorso).
È tuttavia altrettanto vero che – rispetto alle argomentazioni sviluppate in tale atto con specifico riguardo all’ addebito di cui all’art. 512-bis cod. pen. (si vedano le pagg. da 17 a 23) – a sostegno della estraneità di NOME per tale reato vengono richiamate le due conversazioni telefoniche (progr. n.16449 del 18 maggio 2018 e n. 19853 del 13 luglio 2018) attestanti che l’indagata, titolare della
ditta denominata RAGIONE_SOCIALE operativa dal febbraio 2006 ed in floride condizioni economiche, era un fornitore del ristorante RAGIONE_SOCIALE
La memoria (così come anche il ricorso) si limita genericamente a evidenziare il contenuto intrinseco di tali dati captativi, senza in alcun modo esplicitare l concreta e decisiva idoneità degli stessi a superare la valenza delle conversazioni, valorizzate dal Tribunale sul piano della gravità indiziaria, che invece attestano in capo a NOME il ruolo di co-gestore di fatto, unitamente al padre, dell’esercizio di ristorazione.
Le ulteriori conversazioni indicate nello scritto difensivo (pagg. da 9 a 12) risultano invece richiamate esclusivamente a sostegno della estraneità di NOME alla associazione mafiosa capeggiata dal padre in qualità di partecipe, profilo che, tuttavia, non è oggetto del ricorso proposto dall’indagata.
In ogni caso, anche con riferimento a tali dati captativi, la memoria ne richiama, ancora una volta, il mero contenuto che, lungi dall’attestare l’estraneità della donna alla gestione del ristorante, lumeggiano invece la piena ingerenza della stessa in tale attività (indicata come “di NOME“) e i concreti interventi del padr nella conduzione, così corroborando, invece che contrastarli, gli assunti del Tribunale del riesame.
Il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile.
2.1. Le censure dedotte hanno ad oggetto, quanto alla gravità indiziaria del reato di partecipazione di NOME ad associazione mafiosa, il vizio di motivazione del provvedimento impugnato e, quanto alla sola esclusione dell’aggravante della agevolazione mafiosa contestata per il reato di cui all’art. 512-bis cod. pen., l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 416-bis 1. cod. pen.
2.2. Deve premettersi che in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura della valutazione demandata ed ai limiti che ad essa ineriscono, è tenuto a verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni sviluppate al riguardo, controllando la congruenza dell’apparato motivazionale riguardante l’analisi degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di di che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie” (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Tale orientamento ha trovato conforto anche in pronunce più recenti ove si è affermato che “il controllo di logicità deve rimanere “all’interno” del provvedimento
impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate” (ex multis Sez.4 n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460; Sez. 2 n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 17651 del 28/03/2023, COGNOME, non mass.).
Ne consegue, in primo luogo, che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge ovvero nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato; in secondo luogo, il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito.
In particolare, costituisce questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito e non sindacabile nella fase di legittimità, l’interpretazione del linguaggio adoperato nelle conversazioni telefoniche intercettate, e ciò anche nei casi in cui esso sia criptico o cifrato, di talchè in questa sede è possibile prospettare una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650; da ultimo, Sez. 1, n. 22336 del 23/03/2021, La Torre, non mass.).
2.3. Posta tale premessa, in ragione della natura dei motivi dedotti nel ricorso interposto dal Pubblico Ministero, le doglianze finiscono per proporre surrettiziamente un diverso apprezzamento di dati investigativi, non consentita in questa sede e, in particolare, per prospettare una lettura alternativa delle conversazioni telefoniche intercettate in corso di indagine che il collegio della cautela ha richiamato e interpretato nel loro reale contenuto. Da tale angolazione interpretativa, non manifestamente illogica, ha coerentemente fatto discendere non solo l’assenza di elementi sufficienti per ravvisare l’aggravante della agevolazione mafiosa con riferimento al delitto di trasferimento fraudolento di valori, sicchè, sotto tale profilo, non si configura neppure la lamentata violazione di legge, ma anche, in via del tutto consequenziale, la mancanza di gravi indizi in
capo all’indagata circa l’apporto partecipativo di costei alla consorteria criminosa capeggiata dal padre.
Tale giudizio è stato condotto sulla scorta dei dialoghi telefonici intercettati che il Tribunale del riesame ha “letto” come dimostrativi del fatto che l’acquisto dell’esercizio non era stato funzionale agli interessi della cosca mafiosa, bensì una iniziativa privata e personale di COGNOME NOME il quale aveva investito denaro in tale operazione e si era poi ingerito in prima persona nella conduzione dell’attività insieme alla propria figlia (risolvendo anche alcuni errori gestional commessi da quest’ultima). Le conversazioni attestavano altresì talune ingerenze da parte di due sodali COGNOME NOME e COGNOME NOME, tuttavia delineate come solo estemporanee e occasionali e, quindi, non illogicamente ritenute di per sé sole non sufficienti a dimostrare univocamente che l’acquisizione del ristorante fosse stata finalizzata alla penetrazione della consorteria nel settore strategico della ristorazione.
In particolare, il provvedimento impugnato (pagg 5 e 6) ha preso in esame gli interventi di COGNOME NOME e COGNOME NOME sulle vicende afferenti il ristorante per come cristallizzati nelle conversazioni telefoniche evidenziando che non si trattava di una partecipazione diretta e “strutturale” di costoro alle scelte gestionali. COGNOME, in un colloquio intrattenuto con l’indagata, aveva semplicemente affermato di sapere delle difficoltà economiche della attività, per averlo appreso da COGNOME NOME; quanto a NOME NOME, i dialoghi captati palesavano, da un lato, la mera conoscenza degli errori gestionali commessi da NOME e di un furto consumato all’interno del ristorante del quale era stato informato sempre da NOME e, dall’altro, la manifestata disponibilità di costui ad interessarsi di un problematica relativa alla mancata consegna di prodotti ittici da parte di un fornitore dell’esercizio, oltre alla richiesta di informazioni in ordine malfunzionamento di un forno.
Non può affermarsi che il significato attribuito alle conversazioni richiamate, in parte addirittura trascritte nel loro tenore letterale, sia difforme da quello reale
Il pubblico ministero ricorrente, infatti, non ha allegato il testo integrale de dialoghi in modo da comprovare che ad essi sia stato attribuito un significato differente da quello proprio e che ciò abbia comportato una disarticolazione del costrutto argomentativo.
Al contrario, si è limitato a richiamare nel ricorso ( si veda la nota n. 3 pag. 5 dell’atto di impugnazione) una sola conversazione telefonica, quella tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, che ha riportato proprio negli stessi termini indicati dal Tribunale a pag. 3 e 4 dell’ordinanza, proponendone semplicemente una diversa interpretazione (nel senso che l’affare economico sarebbe stato in realtà concluso dal sodalizio in forma condivisa), ancorata alla espressione in
forma plurale “abbiamo messo i soldi… NOME doveva mettere cinquemila euro…” utilizzata da NOME. Frase, tuttavia, del tutto generica, che effettivamente non esplicita l’apporto concreto all’investimento fornito dagli appartenenti al sodalizio, salvo il riferimento ad un tale “NOME” della cui identità il ricorrente non però forni alcun chiarimento.
Al rigetto del ricorso proposto nell’interesse di NOME segue la condanna della stessa al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministro e rigetta il ricorso di NOME che condanna al pagamento delle spese processuali Così deciso il giorno 20/09/2024.