Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19108 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19108 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro
NOME nata a Crotone il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa 1’11 luglio 2023 dal Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; udite le richieste dei difensori, AVV_NOTAIO quale sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO, e AVV_NOTAIO, che hanno concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso del Pubblico ministero e per l’accoglimento del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catanzaro, in accoglimento della richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME, ha annullato la misura custodiale per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. contestato al capo 35 e sostituito detta misur con quella degli arresti domiciliari per il reato di concorso nel delitto di trasferiment fraudolento di valori, con l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1, cod. pen., contestat al capo 43.
Secondo quanto si legge nell’ordinanza, tale ultimo reato attiene alla condotta di gestione, in concorso con altri, in modo occulto e per conto della cosca mafiosa, dell’attività di ristorazione “RAGIONE_SOCIALE“, formalmente intestata a NOME COGNOME, al fine di eludere le misure di prevenzione patrimoniale applicabili al padre NOME COGNOME e di favorire la commissione del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen.
Avverso detta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione sia il AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro che l’indagata NOME.
Il AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro ha dedotto due motivi di ricorso che, in quanto logicamente connessi, possono essere esposti congiuntamente. Il ricorrente lamenta vizi di apparenza ed illogicità della motivazione, nonché di violazione di legge in relazione alla esclusione della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art. 416-bis cod pen. Si rileva che il Tribunale ha omesso di considerare la rilevanza sintomatica della ravvisata gravità indiziaria in ordine al reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. nonch della consapevolezza da parte della ricorrente, alla quale è stata contestata la partecipazione al sodalizio mafioso con il ruolo relativo alla pianificazione del controllo delle attività nel settore della ristorazione, della esistenza del sodalizio mafioso facente capo ai COGNOME.
NOME ha dedotto tre motivi di ricorso di seguita riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
3.1 Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 292, comma 2, lett. c, cod. proc. pen. in relazione all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen. e vizi dell motivazione con riferimento al rigetto della eccezione di carenza di autonoma valutazione dell’ordinanza genetica che si era limitata a riassumere, senza alcun approfondimento critico, la richiesta cautelare. Rileva la ricorrente che detta
eccezione è stata rigettata dal Tribunale con motivazione apparente fondata sul solo richiamo di precedenti giurisprudenziali.
3.2 Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine al giudizio di gravità indiziaria relativo al reato di cui all’art. 512-bis cod. pe ed all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. Assume la ricorrente che il Tribunale si è limitato ad una mera trasposizione grafica dell’ordinanza genetica e della richiesta cautelare, come emerge dal confronto tra le pagine da 6 a 8 dell’ordinanza, che riproducono esattamente le pagine da 2466 a 2469 della richiesta cautelare, e tra le pagine da 8 a 14 dell’ordinanza, che corrispondono alle pagine da 227 a 232 del provvedimento genetico. A tale riproduzione si aggiungono le poche considerazioni del Tribunale riportate alle pagine da 15 a 17 che, tuttavia, ignorano le censure difensive con le quali si era evidenziata l’assenza di univocità delle risultanze delle intercettazioni. In particolare, era stato dedotto che da tali intercettazioni emergeva che l’unica condotta riferibile all’indagata atteneva alla fornitura del materiale plastico da parte dell’azienda a questa intestata “RAGIONE_SOCIALE” e che, contrariamente alla contestazione di concorso nella gestione occulta dell’attività, dagli atti risultava che la ricorrente è titolare di un florida azienda a lei intestata e dalla stessa gestita direttamente.
Nel corpo del motivo si lamenta, inoltre, il carattere apparente della motivazione concernente i seguenti due profili: a) la consumazione del reato; b) la sussistenza dell’elemento psicologico.
Quanto al primo profilo, rileva la ricorrente che, stante la natura di reato istantaneo ad effetti permanenti, poiché nell’imputazione provvisoria si indica quale data di consumazione il novembre 2015, deve escludersi la configurabilità di una responsabilità della ricorrente, che entra nelle indagini solo nel gennaio 2017, data della prima conversazione intercettata.
In ogni caso, anche volendosi aderire alla tesi sostenuta dal Tribunale, manca una motivazione sull’investimento da parte della ricorrente di risorse economiche nell’attività che si assume da questa gestita occultamente.
Quanto al secondo profilo rileva la ricorrente che il Tribunale, oltre a reputare irrilevante la restituzione dei beni oggetto delle precedenti misure di prevenzione patrimoniale, dimostrata dalla produzione documentale difens va, ha ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilità del dolo specifico, che questo risulti provato i capo ad uno dei concorrenti del reato.
Tale affermazione è censurata sotto un duplice profilo. In primo luogo, in quanto il Tribunale, ponendosi in contrasto con la stessa imputazione, ha ritenuto che la
ricorrente fosse l’intestataria fittizia (e non quella effettiva) e che COGNOME NOME fosse il gestore occulto. Tale affermazione non considera che la ricorrente è titolare di altra attività imprenditoriale e che, comunque, dalle conversazioni intercettate indicate dalla difesa, ma non considerate dal Tribunale ovvero da questo travisate, emerge che la NOME era titolare di interessi personali, distinti dall’organizzazione criminale, in quanto socia di ristoranti, per la cui tutela, proprio a seguito dell’andamento negativo degli affari, era intervenuto anche il padre NOME.
In secondo luogo, quanto alla ritenuta “traslazione” del dolo specifico da NOME COGNOME alla odierna ricorrente, si chiede la rimessione della questione alle Sezioni Unite stante l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul tema.
Ultima censura articolata dalla ricorrente attiene al difetto di motivazione in ordine alla aggravante dell’agevolazione mafiosa, non essendo a tal fine sufficiente il coinvolgimento di NOME COGNOME.
3.3 Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine alle esigenze cautelari reputate sussistenti sulla base di clausole di stile e del mancato superamento della presunzione di cui all’art. 275, comma :3, cod. proc. pen. Si lamenta, in particolare, l’omessa considerazione dell’incensuratezza della ricorrente e del tempo trascorso dai fatti (risalenti al 2018).
La difesa di NOME ha depositato memoria in cui ha eccepito l’inammissibilità del ricorso del Pubblico ministero per difetto di specificità del motivo, che si risolve in una mera critica all’ordinanza impugnata senza alcuna puntuale allegazione degli elementi da cui può desumersi il concorso dell’indagata nel reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. Con altra successiva memoria la difesa ha ulteriormente illustrato il secondo motivo di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso del Pubblico ministero è fondato.
Secondo la costante interpretazione di questa Corte regolatric:e, la condotta di partecipazione ad un’associazione mafiosa è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato partecipa alla associazione, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958
del 27/5/2021, COGNOME, Rv. 281889; Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670; Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 273571; Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269207; Sez. 6, n. 12554 del 01/03/2016, COGNOME, Rv. 267418).
Siffatta partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza nel senso indicato, purché si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali, esemplificando comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi facta concludentia idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico periodo temporale considerato dall’imputazione (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231670).
La successiva giurisprudenza di questa Corte ha, tuttavia, escluso l’indispensabilità degli indici quali l’investitura formale o la commissione di reati-fine, sottolineando che ciò che rileva ai fini dell’integrazione della partecipazione ad associazione mafiosa è solo la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica ma unitaria degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso che possono emergere anche da significativi facta concludentia (Sez. 4, n. 11470 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 280703 – 02; Sez. 5, n. 32020 del 16/03/2018, COGNOME, Rv. 273571; Sez. 5, n. 4864 del 17/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269207).
Al fine della valutazione dell’appartenenza, assume, quindi, assoluta decisività la possibilità di attribuire al soggetto la realizzazione di un qualsivoglia «apporto concreto», sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità. Come hanno sottolineato le Sezioni Unite (Sez. U, n. 36958 del 27/5/2021, COGNOME), è evidente che la verifica centrale per la configurabilità di una condotta di partecipazione mafiosa si muove sul piano probatorio: è solo sulla scorta delle evidenze disponibili che sarà possibile valutare se, per le caratteristiche assunte dal caso concreto, la compenetrazione nel tessuto criminale abbia generato o meno un’effettiva “messa a disposizione”.
1.1 L’ordinanza impugnata non ha fatto buon governo di tali principi di diritto e, pur dando atto della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art. 512-bis cod. pen. (che saranno esaminati di seguito), della funzionalità di tale condotta criminosa alla realizzazione degli interessi della cosca mafiosa e della consapevolezza della sua esistenza da parte della ricorrente, ha escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in merito al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. con una motivazione sostanzialmente apparente che non consente di comprendere il percorso logico argomentativo seguito dal Tribunale. Dalle poche considerazioni esposte a pagina 17 dell’ordinanza, sembrerebbe, infatti, che il Tribunale, sulla base di non precisate regole logiche o di massime di esperienza, abbia ritenuto che ai fini della configurabilità della partecipazione sia necessaria un’attività ulteriore rispetto a quella relativa alla gestione occulta dell’attività ristorazione. Tale considerazione, peraltro, non appare coerente, sul piano logico, con il contenuto dell’imputazione provvisoria, in cui il ruolo di partecipe della COGNOME viene individuato proprio in relazione a tale settore di interesse del sodalizio, e, soprattutto, con le ulteriori considerazioni svolte dal Tribunale allorché riconduce l’attività in questione direttamente agli interessi della cosca mafiosa.
Venendo al ricorso proposto da NOME COGNOME, il primo motivo è inammissibile in quanto privo del necessario requisito della specificità e generico.
L’ordinanza impugnata, con motivazione adeguata ed immune da vizi, ha rigettato l’eccezione, rilevando che, ferma restando la legittimità della motivazione per relationem, l’ordinanza genetica contiene, anche da un punto di vita grafico, una valutazione individualizzata e critica del materiale indiziario. A tali argomentazioni la ricorrente si limita ad opporre delle considerazioni di mero dissenso, fondate sul richiamo di principi di diritto, senza alcuna specifica indicazione dei punti della decisione rispetto ai quali sarebbe mancata, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, una autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari.
3. Il secondo motivo è fondato.
3.1 Va, in primo luogo, rammentato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, dal Collegio pienamente condivisa, per l’integrazione del reato di trasferimento fraudolento di valori non è sufficiente l’accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulta essere formalmente titolare, in quanto occorre la prova, sia pur indiziaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l’applicazione
di misure di prevenzione, principio affermato anche nella ipotesi di costituzione o trasferimento di attività d’impresa, in caso di assunzione della qualità di gestore o socio occulto (cfr., fra le tante, Sez. 2, n. 19649 del 03/02/2021, COGNOME, Rv. 281423; Sez. 2, n. 28300 del 16/04/2019, COGNOME, Rv’ 276216; Sez. 6, n. 26931 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 273419; Sez. 1, n. 42530 del 13/06/2018, C., Rv. 274024). Richiamando questo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, si è da ultimo ribadito che, «al fine di ritenere configurabile il rea contestato, è necessario dimostrare, seppure nei limiti delle regole probatorie proprie dell’incidente cautelare, che l’impresa è stata costituita, in tutto o in parte, con risorse riconducibili all’indagato oppure che alla stessa, se preesistente, sono state trasferite risorse economiche del medesimo o, ancora, che l’azienda è stata retrocessa all’indagato, entrando effettivamente a far parte del suo patrimonio, pur rimanendo fittiziamente intestata al precedente titolare» (così Sez. 5, n. 146 del 15/11/2021, dep. 2022, COGNOME, non mass.), cosicché, in ossequio al principio di tassatività, si è esclusa la rilevanza, ai fini della configurabilità del reato in esame, del solo simulato trasferimento dei compiti di amministrazione di una società commerciale, anche nel caso in cui la condotta sia finalizzata alla elusione dell’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali (Sez. 2, n. 29633 del 28/05/2019, Kazazi, Rv. 276733).
3.2 Si tratta, inoltre, di un reato istantaneo ad effetti permanenti, che può assumere natura di fattispecie a condotta plurima o frazionata (Sez. 2, n. 17035 del 10/03/2022, Frascati, Rv. 283193) per la cui configurabilità la norma incriminatrice richiede il dolo specifico ed il perseguimento di una delle finalità di carattere elusivo (delle disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando) o di agevolazione (della commissione di uno dei reati di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter cod. pen.).
In particolare, quanto alla finalità di eludere le disposizioni in tema di misure di prevenzione patrimoniale, è stato condivisibilmente affermato che il delitto di trasferimento fraudolento di valori può essere commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, ai fini della configurabilità del dolo specifico, che l’interessato possa fondatamente presumere l’avvio di detto procedimento (Sez. 5, n. 1886 del 07/12/2021, COGNOME, Rv. 282645).
3.3 Nella giurisprudenza di questa Corte sono emersi due indirizzi ermeneutici in merito alla configurabilità del dolo specifico in caso di concorso di persone nel reato.
Secondo un primo indirizzo, il delitto previsto dall’art. 512-bis cod. pen. richiede che tutti i concorrenti nel reato abbiano agito con il dolo specifico di eludere le
disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, per la cui prova in giudizio non è sufficiente dar conto della fittizia attribuzione della titolarità disponibilità di denaro, beni o altre utilità, sicché è imprescindibile, ai fini della su punibilità, che l’intestatario fittizio sia a conoscenza del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione con il dolo specifico di aggirarle (Sez. 2, n. 45080 del 14/10/2021, Tarasi, Rv. 282437).
Le altre pronunce a sostegno di tale orientamento hanno, soprattutto, sottolineato, coerentemente con le indicazioni ermeneutiche riportate nel precedente paragrafo, l’insufficienza, ai fini della prova, della fittizia attribuzione della titola o disponibilità di denaro, beni o altre utilità (cfr. Sez. 6, n. 34667 del 05/05/2016, Arduino, Rv. 267705). In particolare, Sez. 2, n. 45080/2021, ha affermato che «la struttura della fattispecie incriminatrice non esclude che uno dei concorrenti possa essere non punibile anche per mancanza di dolo, ferma restando la responsabilità dell’altro (Sez. 2, n. 28942 del 02/07/2009, Leccese, Rv. 244394), essendo ben possibile che il titolare apparente difetti della consapevolezza necessaria ad integrare l’elemento soggettivo del reato sotto il profilo della finalità di eludere l’applicazione delle disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale, per le più svariate ragioni (in motivazione, Sez. 2 n. 28942/2009, cit.) sicché è imo -escindibile ai fini della sua punibilità che l’intestatario fittizio sia a conoscenza del fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione ed abbia agito con il dolo specifico di aggirarle.»
3.4 Altro più recente indirizzo ha affermato che, in tema di trasferimento fraudolento di valori, risponde a titolo di concorso anche colui che non è animato dal dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione o di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli artt. 648, 648-bis e 648-ter cod. pen., a condizione che almeno uno dei concorrenti agisca con tale intenzione e che della medesima il primo sia consapevole (Sez. 2, n. 27123 del 03/05/2023, COGNOME, Rv. 284796; Sez. 2, n. 38044 del 14/07/2021, COGNOME, Rv. 282202; negli stessi termini, in tema di ricettazione, si veda anche Sez. 2, n. 38277 del 07/06/2019, COGNOME, Rv. 276954 – 03). In particolare, si afferma che tale soluzione è conforme al principio più generale statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 16 del 05/10/1994, COGNOME, (non massimata sul punto) che, pronunciandosi in tema di concorso eventuale in associazione per delinquere di stampo mafioso, in un passaggio della motivazione hanno affermato che nelle fattispecie (anche) a dolo specifico, la sussistenza del reato richiede che almeno uno dei concorrenti agisca per quella particolare finalità richiesta dalla norma incriminatrice e che il Concorrente privo del
dolo specifico sia comunque consapevole che il primo agisce con il richiesto elemento soggettivo.
3.5 Ad avviso del Collegio i due indirizzi sopra esposti non esprimono un reale contrasto ermeneutico che possa giustificare una rinnessione della questione alle Sezioni Unite, trattandosi, invece, di una progressione ermeneutica, frutto di un affinamento della riflessione sull’elemento psicologico del reato in esame che, muovendo dalla insufficienza del solo dato della intestazione fittizia, richiede che il concorrente sia consapevole della finalità elusiva della condotta di intestazione fittizia.
Va, infatti, considerato che l’art. 512-bis cod. pen. punisce espressamente la condotta di colui che, al fine di perseguire una delle finalità espressamente contemplate dalla norma, «attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o di disponibilità di denaro, beni o altre utilità». La norma, dunque, non punisce espressamente la condotta di colui che accetta tale fittizia intestazione il quale, quindi, potrà rispondere a titolo di concorso ai sensi dell’art. 110 cod. pen. solo se consapevole della strumentalità di tale condotta ad una delle finalità tipizzate dal legislatore: il concorrente è soggetto diverso dall’effettivo portatore dell’interesse (di carattere elusivo o agevolativo), cosicché rispetto alla sua posizione, ai fini della integrazione dell’elemento soggettivo del reato, deve ritenersi sufficiente che sussista la sua consapevolezza del perseguimento di tale finalità da parte di colui che realizza la condotta tipica sanzionata dalla norma incriminatrice.
Va, pertanto, ribadito che in tema di trasferimento fraudolento di valori, l’intestatario fittizio del bene risponde del reato a titolo di concorso, ex art. 110 cod. pen., a condizione che sia consapevole della finalità elusiva o agevolativa perseguita dall’autore della condotta tipica.
3.5 Il Tribunale non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti e, soprattutto con riferimento all’elemento oggettivo del reato, ha posto a fondamento del giudizio di gravità indiziaria un dato fattuale insufficiente, ovvero la qualità della NOME di gestore occulto del ristorante, unitamente a NOME COGNOME, senza approfondire la questione, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art 512-bis cod. pen., della provenienza delle risorse economiche per il suo acquisto (nulla si dice, infatti, sull’acquisto del bene con risorse di NOME COGNOME o sull’investimento in questo di risorse a questo riconducibili) e, in ultima analisi, della individuazione dell’autore della condotta tipica sanzionata.
Peraltro, dalla struttura argomentativa dell’ordinanza non emerge con chiarezza se NOME COGNOME (padre della ricorrente) si sia limitato a concorrere con la figlia nella gestione occulta del ristorante ovvero sia il titolare effettivo di tale bene.
La medesima ambiguità valutativa connota anche la motivazione sull’elemento psicologico del reato. Nonostante le carenze argomentative sopra evidenziate con riferimento all’elemento oggettivo del reato, l’ordinanza impugnata, con una motivazione connotata da illogicità e contraddittorietà, ha ravvisato il dolo specifico in relazione, da un lato, alla finalità di eludere le misure di prevenzione patrimoniale, facendo così indirettamente riferimento ad una presunta titolarità del bene a NOME COGNOME (che, sottolinea l’ordinanza, è stato già attinto da misure di prevenzione patrimoniale), e, dall’altro lato, alla finalità di compiere il reato di c all’art. 648-ter cod. pen. che sarebbe desumibile dal fatto che la ricorrente ha chiesto l’intervento del padre – che dunque, secondo tale alternativa ricostruzione non sarebbe l’intestatario effettivo del bene – «al fine di preservare gli investimenti della cosca».
In buona sostanza, l’ordinanza impugnata ravvisa il giudizio di gravità indiziaria sulla base della sola interferenza, ad opera della ricorrente e del padre, nella gestione del ristorante, ma non chiarisce se tale attività sia effettivamente riconducibile a NOME COGNOME ovvero costituisca uno strumento di investimento della cosca mafiosa. Appare evidente che si tratta di soluzioni tra loro alternative che inevitabilmente si riflettono sul giudizio di gravità indiziaria in ordine ad entrambe l imputazioni provvisoria contestate alla NOME.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso, in relazione al giudizio di gravità indiziaria relativa al reato di cui all’art. 512-bis cod. pen., ha una valenza assorbente rispetto all’esame sia dell’ulteriore questione relativa alla configurabilità del circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. che del terzo motivo di ricorso.
Alla luce di quanto sopra esposto va disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Così deciso il 15 febbraio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente