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Traffico influenze illecite: la Cassazione chiarisce

Con la sentenza n. 37758 del 2025, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato una condanna per il reato di traffico di influenze illecite. La Corte ha chiarito che il delitto si configura anche se la mediazione verso il pubblico ufficiale non va a buon fine e l’influenza è solo millantata. Questa pronuncia è cruciale per distinguere l’attività di lobbying legittima dal reato di traffico di influenze illecite, sottolineando che l’elemento chiave è l’accordo illecito per una mediazione remunerata.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Traffico di influenze illecite: la Cassazione definisce i confini del reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 37758 del 2025, offre un importante chiarimento sul delitto di traffico di influenze illecite, previsto dall’art. 346-bis del codice penale. Questa decisione è fondamentale per comprendere la linea di demarcazione tra le attività di relazioni istituzionali lecite e le condotte penalmente rilevanti, consolidando un orientamento giurisprudenziale rigoroso a tutela della trasparenza e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava un imprenditore condannato nei primi due gradi di giudizio per aver corrisposto una somma di denaro a un consulente. Quest’ultimo, vantando presunte relazioni influenti con un dirigente di un ente pubblico, aveva promesso di intervenire per favorire l’aggiudicazione di un importante appalto alla società dell’imprenditore. La difesa dell’imputato sosteneva che il reato non potesse considerarsi consumato, poiché non vi era prova che il consulente avesse effettivamente contattato il pubblico ufficiale né che quest’ultimo fosse a conoscenza dell’accordo.

L’analisi del traffico di influenze illecite in Cassazione

Il ricorso presentato alla Corte di Cassazione si basava principalmente sull’assenza di un’effettiva attività di mediazione e sulla mera millanteria del consulente. Secondo la tesi difensiva, senza un concreto tentativo di influenzare il pubblico ufficiale, la condotta sarebbe penalmente irrilevante.

La Sesta Sezione Penale ha rigettato completamente questa interpretazione, fornendo una lettura chiara della norma. I giudici hanno stabilito che il reato di traffico di influenze illecite è un reato di pericolo, il cui bene giuridico tutelato è il prestigio, l’imparzialità e il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Di conseguenza, non è necessario che l’influenza venga effettivamente esercitata o che l’obiettivo sperato (l’aggiudicazione dell’appalto) venga raggiunto.

La consumazione del reato

La Corte ha specificato che il delitto si perfeziona nel momento in cui avviene l’accordo tra il privato e il mediatore. L’elemento centrale è la ‘vendita di influenza’, ovvero l’accettazione della promessa o la dazione di un vantaggio patrimoniale come corrispettivo per un’intercessione presso un pubblico ufficiale. L’illiceità risiede proprio in questo patto, che inquina il corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche, a prescindere dal suo esito finale.

Le Motivazioni della Decisione

Nelle motivazioni, la Corte di Cassazione ha evidenziato come l’art. 346-bis c.p. sia stato introdotto per colpire quelle zone grigie di contiguità tra interessi privati e funzioni pubbliche. La norma punisce la commercializzazione dell’influenza, sia essa reale o semplicemente vantata. La condotta penalmente rilevante si concretizza nel patto illecito che ha come oggetto la mediazione verso il pubblico ufficiale, e non nell’attività di mediazione stessa. Pertanto, anche la sola vanteria di poter influenzare un decisore pubblico, se remunerata, è sufficiente a integrare il reato. Questo perché tale comportamento genera sfiducia nei cittadini e lede l’immagine di correttezza e imparzialità che deve sempre caratterizzare l’azione amministrativa.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 37758/2025 consolida un principio di diritto di notevole importanza pratica. Per la configurabilità del reato di traffico di influenze illecite non è richiesta la prova né dell’effettivo esercizio dell’influenza, né del conseguimento del risultato sperato, né tantomeno della conoscenza dei fatti da parte del pubblico ufficiale. Il cuore del reato è l’accordo sinallagmatico avente ad oggetto la mediazione illecita e remunerata. Questa interpretazione estende la tutela penale a tutte quelle condotte che, pur non sfociando in un atto di corruzione diretta, sono idonee a compromettere la trasparenza e il prestigio della Pubblica Amministrazione.

Per configurare il reato di traffico di influenze illecite è necessario che l’obiettivo venga raggiunto?
No, la sentenza chiarisce che il reato si considera consumato con il solo accordo tra il privato e il mediatore per la compravendita dell’influenza, a prescindere dal fatto che il risultato desiderato (es. l’aggiudicazione di un appalto) sia stato o meno ottenuto.

Cosa succede se l’influenza sul pubblico ufficiale è solo millantata e non reale?
Secondo la Corte, il reato sussiste ugualmente. L’elemento chiave è la ‘vendita’ dell’influenza, anche se solo potenziale o vantata. La norma punisce l’accordo illecito in sé, in quanto lede il prestigio e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.

Il pubblico ufficiale verso cui è diretta l’influenza deve essere a conoscenza dell’accordo?
No, non è necessario. Il reato si configura indipendentemente dalla consapevolezza o dal coinvolgimento del pubblico ufficiale che dovrebbe essere oggetto della mediazione. L’illecito si perfeziona nel rapporto tra chi acquista l’influenza e chi la vende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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