Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30395 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30395 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Orciano di Pesaro il 26-03-1952, avverso la sentenza del 07-11-2024 della Corte di appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell’imputato, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 giugno 2022, il Tribunale di Pesaro condannava NOME COGNOME alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 256, comma 1, lett. b) del d. lgs. n. 152 del 2006 (capo A), 256, comma 3, del d. lgs. n. 152 del 2006 (capo B), 334, comma 2, cod. pen. (capo C), 452 quaterdecies cod. pen. (capo D) e 255, comma 3, del d. lgs. n. 152 del 2006 (capo E); fatti accertati, i primi tre, nell’aprile/maggio 2019 e , il terzo e il quarto, a far data dal 15 maggio 2017 in Cartoceto.
Con sentenza del 7 novembre 2024, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava estinti per prescrizione i reati di cui ai capi A e B e, in relazione ai residui reati di cui ai capi C, D ed E, riduceva la pena ad anni 2 e mesi 3 di reclusione.
Avverso la pronuncia della Corte di appello marchigiana, COGNOME tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
Con il primo, la difesa, in relazione al reato di cui al capo D, ha dedotto il vizio di motivazione, osservando che l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui vi sarebbe stata la presenza di nuovi rifiuti nel sito è frutto di un travisamento, in quanto dalle relazioni tecniche dell’Arpam eseguite in occasione dei due sequestri del 2016 e del 2019 e dalla testimonianza del luogotenente COGNOME si evince la presenza nel sito degli stessi materiali.
Con il secondo motivo, parimenti riferito al reato di cui al capo D, oggetto di doglianza è l’inosservanza della legge penale, eccependosi l’insussistenza del requisito dell’ingente quantitativo dei rifiuti, posto che, secondo quanto riferito dal teste qualificato COGNOME, i nuovi rifiuti, rispetto al 2016, sarebbe stati una decina di metri cubi e non i 4.000 metri cubi di cui al capo di imputazione.
Il terzo motivo è dedicato al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., rimarcandosi al riguardo l’esiguità del danno e le modalità non aggressive né pericolose della condotta contestata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dai primi due motivi, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sovrapponibili, deve osservarsi che la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputat o in ordine al reato ex art. 452 quaterdecies cod. pen. a lui ascritto al capo D non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede. Ed invero i giudici di merito hanno operato un’adeguata disamina delle fonti dimostrative disponibili, valorizzando in particolare (cfr. pag. 2 ss. della
sentenza di primo grado e pag. 3-4 della decisione di appello) gli accertamenti investigativi svolti presso la ditta individuale ‘RAGIONE_SOCIALE di Radi RAGIONE_SOCIALE‘ dagli operanti della Stazione Navale della Guardia di Finanza di Ancona e della Polizia Municipale di Cartoceto, con il supporto dei tecnici dell’Arpam, essendo in particolare emerso che nell’area coincidente con la sede della ditta vi era una pluralità di rifiuti gestiti in modo abusivo: nello specifico, è stato accertato che, dopo un primo sequestro risalente al 9 maggio 2016 e riferito a una pregressa gestione illecita di rifiuti, la ditta gestita da COGNOME ha proseguito nella predetta attività non autorizzata, essendo stata riscontrata nel sito la presenza di ulteriori rifiuti, pericolosi e non, come batterie, oli esausti, ponteggi, lastre di alluminio. Inoltre, venivano rinvenuti due automezzi contenenti nuovi rifiuti. Dunque, l’imputato non si era limitato a rimuovere i rifiuti, come gli era stato imposto con il primo sequestro, ma ne ha gestiti di nuovi, e in ingente quantità, stante la diffusa presenza di rifiuti di varia natura, come contenitori metallici con scarti ferrosi, pneumatici fuori uso, pezzi meccanici di veicoli, spezzoni di cavi elettrici e altre tipologie di vario genere, palesemente diversi per forma e costituzione, da quelli già oggetto di sequestro, il che ha indotto i giudici di merito, alla luce dei rilievi fotografici e delle dichiarazioni del teste COGNOME a escludere la violazione del divieto di bis in idem rispetto al sequestro del 2016 e ai fatti che avevano dato luogo ad altri procedimenti penali a carico di Radi.
Il reato di cui all ‘ art. 452 quaterdecies cod. pen. contestato al capo D è stato dunque legittimamente riferito al periodo compreso tra il 12 maggio 2017, data di inizio delle operazioni di bonifica del sito, e il 18 febbraio 2019, data in cui ha avuto luogo il sopralluogo in cui è stato riscontrato il persistere della condotta di gestione illecita di un ‘ ingente quantità di rifiuti. Tale condotta peraltro è stata perpetrata anche mediante l ‘ utilizzo degli automezzi autorizzati alle operazioni di sgombero dei rifiuti, essendo stato appurato che con tali mezzi erano stati percorsi 1.100 chilometri in più di quelli necessari per effettuare il conferimento dei rifiuti nel centro di recupero di Gambettola (condotta questa oggetto del capo C, invero non contestato in questa sede), ciò a riprova del fatto che l ‘ impresa amministrata da COGNOME, nonostante il sequestro dell ‘ area dove insisteva l ‘ impianto, ha proseguito nella gestione illecita dei rifiuti, miscelandoli tra di loro e accatastandoli in maniera arbitraria e non autorizzata.
1.1. Orbene, in quanto scaturita da una disamina non irrazionale degli elementi probatori acquisiti, correttamente intesi nel loro significato reale, la valutazione dei giudici di merito circa la sussistenza e l’ascrivibilità a Radi della fattispecie di cui al capo D resiste alle censure difensive, che si articolano nella sostanziale proposta di una rilettura alternativa (e frammentaria) delle fonti dimostrative disponibili, operazione questa che esula dal perimetro del giudizio
di legittimità, essendo consolidata nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, come quello in esame, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Di qui l’infondatezza dell e doglianze difensive in punto di responsabilità.
La medesima conclusione si impone per il terzo motivo, dovendo rilevarsi che, anche rispetto alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’ art. 131 bis cod. pen., non si ravvisa alcuna criticità.
Sul punto deve infatti innanzitutto rilevarsi che né nelle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado, né nell’atto di appello, è stata invocata la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il che spiega il motivo per cui il tema non è stato affrontato espressamente nelle due sentenze di merito. A ciò deve aggiungersi che, in ogni caso, dalla lettura delle motivazioni delle decisioni di primo e secondo grado si evince l’insussistenza dei requisiti applicativi dell’art. 131 bis cod. pen., essendosi l’imputato reso autore di una pluralità di violazioni della normativa ambientale, in maniera non occasionale e non lieve, stante l’elevata quantità dei rifiuti illecitamente gestiti nel sito della sua ditta. Del resto, la Corte territoriale ha implicitamente escluso una valutazione attenuata del fatto, nel momento in cui, nel giustificare il discostamento della pena dal minimo edittale, ha rimarcato (pag. 4 della sentenza impugnata) ‘la pervicacia e la noncuranza dell’ambiente manifestate dall’imputato’.
Ne consegue che anche in tal caso non vi è spazio per l’accoglimento della doglianza difensiva, formulata peraltro in termini non adeguatamente specifici.
In conclusione, stante l’infondatezza delle censure sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di Radi deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 12.06.2025