Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7441 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7441 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME MarcelloCOGNOME nato a Castro dei Volsci il 10-12-1954, avverso l’ordinanza del 03-06-2024 del Tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia del ricorrente, il quale ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 giugno 2024, il Tribunale del Riesame di Roma confermava l’ordinanza resa dal G.I.P. del Tribunale di Roma il 13 maggio 2024, con la quale, nell’ambito di un procedimento penale a carico di una pluralità di indagati, era stata applicata la misura degli arresti domiciliari nei confronti di NOME COGNOME in quanto gravemente indiziato di essere promotore, unitamente ad NOME COGNOME, di un’associazione a delinquere dedita alla commissione dei delitti di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, oltre che di interposizione fittizia e riciclaggio, essendo in particolare ascritti al ricorrente, oltre al reato associativo di cui a ll’ art. 416 cod. pen. (capo A), anche due episodi (capi B ed E) del reato fine di cui all’art. 452 quaterdecies cod. pen.
Avverso l’ordinanza del Tr ibunale capitolino, COGNOME tramite il suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattordici motivi.
Con il primo, la difesa deduce la violazione degli art. 178, comma 1 lett. C), cod. proc. pen. e 111 Cost., stante il mancato accesso della difesa ai risultati delle intercettazioni di conversazioni richiamate nel provvedimento cautelare.
Si evidenzia al riguardo che la richiesta di applicazione della misura cautelare è stata avanzata il 3 novembre 2021 e che la stessa è stata accolta dal G.I.P. dopo circa due anni e mezzo, il 13 maggio 2024, per cui, a fronte della complessità del materiale investigativo, sarebbe illogica e illegittima l’affermazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui sarebbe stato congruo il termine di soli tre giorni (con orario 9 -13.30 e 14.30 -15.30 della Sala Ascolto della Procura) per esaminare migliaia di ore di intercettazioni, tanto più ove si consideri che, pur a fronte di una richiesta tempestivamente avanzata il 21 maggio 2024, ossia il giorno dopo l’esecuzione della misura, i supporti informatici sono stati messi a disposizione della difesa solo il 27 maggio 2024.
Con il secondo motivo, è stata eccepita l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni svolte nel procedimento R.G.N.R. 2956/2019 della Procura di Frosinone, poste a sostegno del titolo cautelare genetico, rilevandosi che nel provvedimento impugnato si è confusa la qualificazione di ‘stesso procedimento’ con quella di ‘medesima partenza investigativa’, essendo comprovato nel caso di specie che il contenuto della notizia di reato su cui si sono fondati i provvedimenti di intercettazione attiene al reato di incendio doloso ex art. 423 cod. pen., commesso da ignoti in Frosinone il 24 giugno 2019, e non a quello di cui all’art. 452 quaterdecies cod. pen. ascritto poi a soggetti noti, per cui, venendo in rilievo procedimenti diversi, il Tribunale del Riesame non avrebbe correttamente applicato i canoni ermeneutici fissati dalle Sezioni Unite (sentenza n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, ricorrente COGNOME), che hanno escluso la rilevanza del
collegamento investigativo ex art. 371 cod. proc. pen., non essendo invece applicabili nel caso di specie le ipotesi di cui all’art. 12 cod. proc. pen.
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, nella misura in cui il Tribunale del Riesame, nell’ipotizzare in subordine la non utilizzazione delle intercettazioni disposte dall’Autorità giudiziaria di Frosinone, ha valorizzato altre risultanze investigative rivelatesi prive di valenza indiziaria, come le sommarie informazioni rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, e gli accertamenti compiuti sulla documentazione aziendale, rilevandosi in proposito che non è stato specificato di quali documenti si tratti, mentre, quanto ai contributi dichiarativi, si evidenzia che le dichiarazioni dei coindagati COGNOME e COGNOME sono inutilizzabili, perché raccolte senza la presenza del difensore, fermo restando che è rimasta comunque non provata l’asserita ingerenza di COGNOME nell’attività di impresa della RAGIONE_SOCIALE, pacificamente gestita dall’amministratore NOME COGNOME, in ciò coadiuvato dai dipendenti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali si occupavano della verifica della qualificazione e della caratterizzazione dei rifiuti sia in ingresso che in uscita dallo stabilimento.
Con il quarto motivo, si contesta il mancato accoglimento dell ‘eccezione difensiva avente ad oggetto l’inutilizzabilità dei risultati delle conversazioni indicate nel provvedimento cautelare genetico, in ragione dell’asserita violazione degli art. 267 e 268 cod. proc. pen., avendo il Tribunale richiamato in tal senso una normativa (art. 1, comma 1, del decreto legge n. 105 del 10 agosto 2023, convertito dalla legge n. 137 del 9 ottobre 2023) sopravvenuta rispetto alla data di iscrizione del procedimento penale, senza considerare che, in forza del principio del favor rei , tale normativa non è applicabile retroattivamente, in quanto di natura non meramente interpretativa.
Con il quinto motivo, in via subordinata, la difesa solleva l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, del decreto legge n. 105 del 10 agosto 2023, convertito dalla legge n. 137 del 9 ottobre 2023, nella parte in cui dispone che ‘ le disposizioni di cui all ‘ articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, si applicano anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452quaterdecies e 630 del codice penale, ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall ‘ articolo 416 bis del codice penale o al fine di agevolare l ‘ attività delle associazioni previste dallo stesso articolo ‘. Tale norma sarebbe in contrasto con gli art. 3, 15, 27, 77 e 111 Cost., nonché con gli art. 8 e 10 della C.E.D.U., innanzitutto perché la normativa (‘ disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura,
nonchè in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione ‘) presenta una manifesta eterogeneità dei contenuti, senza che ricorrano i requisiti di necessità e urgenza che avrebbero giustificato l’intervento emergenziale. L’equiparazione del delitto ex art. 452quaterdecies cod. pen. alle fattispecie di criminalità organizzata rivelerebbe inoltre profili di irragionevolezza, stante l’ingiustificata parificazione di condotte palesemente differenti , anche nel trattamento sanzionatorio, con conseguente violazione del principio di proporzionalità. Oltre che non manifestamente infondata, la questione sarebbe anche rilevante, atteso che il G.I.P. di Roma, con decreto del 23 febbraio 2021, ritenuta la gravità indiziaria in ordine al delitto di cui all’art. 452quaterdecies cod. pen., ha autorizzato le richieste attività di intercettazione, solo in quanto sono stati ritenuti sussistenti i presupposti del regime di cui all’art. 13 del decreto legge n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991.
Con il sesto motivo, si contesta il rigetto dell’eccezione riguardante l’inutilizzabilità , ai sensi degli art. 178, comma 1, lett. C), 185 e 191 cod. proc. pen., dei risultati acquisiti a seguito dell’esame dei supporti informatici sequestrati, oltre che della consulenza tecnica affidata al dottor COGNOME atti questi diffusamente richiamati nel titolo cautelare, venendo in rilievo un profilo di inutilizzabilità patologica, deducibile anche in questa sede.
Con il settimo motivo, è stata ribadita l’eccezione di inutilizzabilità della consulenza tecnica affidata dal P.M. procedente al dr. NOME COGNOME non essendo stati dati gli avvisi di cui agli art. 360 cod. proc. pen., pur essendosi in presenza non di meri rilievi, ma di veri e proprio accertamenti, tanto è vero che la verifica è stata affidata non alla P.G., ma a un consulente tecnico, essendo del resto lo stesso P.M. ben consapevole che si fosse in presenza di atti irripetibili, atteso che nel decreto di perquisizione e sequestro del 28 settembre 2021 egli aveva già evocato la necessità di svolgere un accertamento tecnico nelle forme di cui all’art. 360 cod. proc. pen. al fine di procedere alla corretta attribuzione dei codici Cer e di stabilire le caratteristiche merceologiche e la composizione chimica e biologica dei rifiuti. A ciò si aggiunge che il precedente di legittimità citato dal Tribunale (sentenza n. 27148 del 17 maggio 2023) vede come estensore lo stesso P.M. che avev a conferito l’ incarico al dr. COGNOME ossia il dottor NOME COGNOME
Con l’ottavo motivo, le critiche difensive investono il rigetto dell’eccezione con cui era stata dedotta l’inutilizzabilità degli atti di indagine assunti dopo la data del 1° febbraio 2020 per il difetto di valida proroga delle indagini preliminari, stante l’omessa motivazione della richiesta del Pubblico Ministero . Si sottolinea inoltre che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata, il nominativo di NOME COGNOME quale indagato, risulta essere iscritto a far data dal 1° luglio 2019, così come riportato nel frontespizio del fascicolo e dai decreti autorizzativi
allegati alla memoria difensiva del 30 maggio 2024, per cui in tal senso era stata richiesta la retrodatazione, a i sensi dell’art. 335 quater , comma 5, cod. proc. pen., dell’iscrizione del ricorrente. Si rileva poi che agli atti è presente la comunicazione di notizia di reato del 27 settembre 2019 a carico di COGNOME e altri, per cui, a tutto voler concedere, la data di iscrizione del ricorrente doveva coincidere con quella del 27 settembre 2019 e sicuramente non con quella del 16 dicembre 2019, come riportato nella richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari.
Con il nono motivo, ci si duole del giudizio sulle esigenze cautelari, avendo il Tribunale del Riesame mancato di confrontarsi con le deduzioni difensive volte a evidenziare l’insussistenza del pericolo di reiterazione dei reati, atteso che il sito di Aviano è stato sequestrato il 12 ottobre 2021, data coincidente con l’ultimo episodio criminoso, mentre la misura cautelare è stata applicata il 20 maggio 2024, senza che in questo periodo di oltre due anni e mezzo, in cui vi è stato, oltre al sequestro preventivo della RAGIONE_SOCIALE, anche il fallimento della RAGIONE_SOCIALE, vi siano state condotte illecite ascrivibili all’indagato, il quale è peraltro giunto all’età di quasi 70 anni senza riportare sentenze di condanna, non potendosi ritenere tale una sentenza di patteggiamento risalente al 1993.
Con il decimo motivo, la difesa lamenta il mancato accoglimento della doglianza riferita al vizio di motivazione dell’ordinanza genetica, nella quale sono state richiamate delle informative non concernenti la posizione di COGNOME, avendo il G.I.P. fatto ricorso a mere formule di stile, del tutto inidonee a ritenere assolto l’onere motivazionale di cui all’art. 292, comma 2, cod. proc. pen ., ciò anche e soprattutto con riferimento all’attualità delle esigenze cautelari, non essendosi tenuto conto, in tal senso, del tempo trascorso dal fatto e della sopravvenuta estromissione degli indagati dai ruoli ricoperti.
Con l’undicesimo motivo, si censura la scelta di confermare la misura degli arresti domiciliari applicati dal G.I.P., ben potendo le esigenze cautelari, ove pure ritenute sussistenti, essere soddisfatte anche con una misura meno afflittiva, alla luce della sostanziale incensuratezza dell’indagato e dell’assen za di attività delittuose successive al sequestro nel 2021 dell’impianto di Aviano .
Con il dodicesimo motivo, la difesa contesta i gravi indizi di colpevolezza in ordine al capo B, evidenziando che non risulta affatto comprovato che COGNOME fosse un imprenditore occulto della RAGIONE_SOCIALE o della RAGIONE_SOCIALE, e quindi fosse intraneo ai traffici illeciti contestati, essendo emerso dalle dichiarazioni dei dipendenti che il controllo dei rifiuti in ingresso presso lo stabilimento RAGIONE_SOCIALE di Frosinone avveniva da parte di altri soggetti, a nulla rilevando che il ricorrente si sia interessato a rilevare la predetta società; a ciò si aggiunge che l’iniziativa di COGNOME, consulente di NOME COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE, era finalizzata solo al risanamento economico-finanziario della RAGIONE_SOCIALE, che, come si è visto, continuava
a operare esclusivamente tramite il suo amministratore COGNOME COGNOME e i suoi dipendenti COGNOME, COGNOME e COGNOME, i quali si occupavano della verifica della qualificazione e della caratterizzazione dei rifiuti sia in ingresso che in uscita dallo stabilimento. Peraltro, difetterebbe nel caso di specie il requisito del cd. abusività, atteso che la gestione dei rifiuti speciali non soggiaceva al regime della cd. autosufficienza regionale, essendo l’interpretazione della normativa europea richiamata dal Tribunale del Riesame successiva ai fatti di causa, atteso che solo con la sentenza della Corte di giustizia UE dell’11 novembre 2021 (causa C -31520) è stato precisato, a composizione di un contrasto interpretativo, che, a prescindere dalle classificazioni formal i, è l’idoneità del trattamento a modificare le proprietà e le qualità dei rifiuti, per cui i fatti contestati al capo B sarebbero inidonei a costituire reato, ai sensi dell’art. 47 cod. pen.
Il tredicesimo motivo è dedicato al giudizio sulla gravità indiziaria riferita al capo E, rispetto al quale si ribadisce che, dichiarato inutilizzabile il materiale intercettivo, anche di natura telematica, e quello investigativo (consulenze dei dottori COGNOME e COGNOME), non si ravvisano elementi idonei a far ritenere COGNOME inserito nella gestione della RAGIONE_SOCIALE o nella partecipazione a progetti di espansione transnazionale, fermo restando che difetterebbe in tal caso anche il requisito dell’abusività, posto che, come emerso dai documenti acquisiti e co me chiarito dall’indagato, i rifiuti in ingresso erano caratterizzati dal CER 19.12.04 e l’autorizzazione dell’impianto ne consentiva la ricezione, mentre quelli in uscita erano contrassegnati dal Codice 19.12.12, anch’essa previst o dall’autorizzazione in possesso della RAGIONE_SOCIALE, né, al di là delle valutazioni di tipo esclusivamente soggettivo del dr. COGNOME, è stato mai provato il superamento del limite massimo di stoccaggio dei rifiuti, non essendosi peraltro considerato che, a seguito dell’emer genza da Covid-19, la Regione Friuli Venezia Giulia, con ordinanza del 27 marzo 2020, ha consentito agli impianti, tra cui quello della RAGIONE_SOCIALE, di superare le volumetrie autorizzate del 50%, per cui anche uno stoccaggio eventualmente superiore non violava alcuna autorizzazione o disposizione normativa. Si rimarca quindi che tutti i rifiuti dell’azienda di Aviano sono stati smaltiti correttamente e, del resto, aggiunge la difesa, non è stata mai effettuata alcuna caratterizzazione dei rifiuti, né è stata mai verificata, attraverso attento esame merceologico, la composizione di quanto conferito presso lo stabilimento di Aviano.
Con il quattordicesimo motivo, infine, si censura il giudizio sulla gravità indiziaria rispetto al reato associativo di cui al capo A , osservandosi che l’intera vicenda rileva più come un concorso di persone che come associazione a delinquere ex art. 416 cod. pen., non essendovi i presupposti per ritenere configurabile un vero e proprio pactum sceleris , apparendo le condotte contestate limitate al compimento di un determinato disegno criminoso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, deve osservarsi che alcuna violazione del diritto di difesa appare ravvisabile nel fatto che i supporti magnetici contenenti le intercettazioni sia no stati messi a disposizione poco prima dell’udienza di riesame. Sul punto deve premetters i che, come evidenziato nell’ordinanza impugnata, il difensore dell’indagato il 21 maggio 2024, ossia il giorno dopo l’esecuzione della misura, ha formulato istanza di accesso e di ascolto delle intercettazioni richiamate nell’ordinanza cautelare; il 22 ma ggio 2024 il P.M. ha autorizzato quanto richiesto e la difesa ha sollecitato la consegna dei supporti prima il 23 e poi il 25 maggio, avendo nel frattempo ricevuto l’avviso della fissazione dell’udienza camerale di riesame. I dispositivi sono stati quindi ricevuti dalla difesa lunedì 27 maggio 2024, ossia tre giorni prima dell’udienza di riesame, celebratasi il 30 maggio 2024.
Orbene, alla luce di tale scansione procedimentale, non appare configurabile alcun vizio processuale, dovendosi tenere conto, come correttamente affermato dal Tribunale del Riesame (pag. 16 dell’ordinanza impugnata), dei tempi stringenti del giudizio di riesame, tempi che impongono sia per le parti processuali e sia per i giudici la lettura, entro termini molto brevi, di atti di indagine talora anche molto complessi, essendo il rispetto dei termini stabilito a pena di inefficacia della misura. Del resto, nel caso di specie, se è vero che la richiesta difensiva è stata tempestiva, non può sottacersi che tempestiva è stata anche l’autorizzazione del P.M., essendo avvenuta la materiale consegna dei supporti, anche alla luce del concomitante giorno festivo, in tempo comunque utile per l’esercizio del diritto d i difesa all’udienza di riesame, ciò compatibilmente con la ristrettezza dei termini che connota la disciplina del procedimento di riesame personale, disciplina ispirata dalla necessità di pervenire a una rapida decisione in ordine allo ‘ status libertatis ‘ del ricorrente (cfr. in tal senso Sez. 2, n. 36191 del 07/07/2017, Rv. 270693).
Il rigetto dell’eccezione difensiva da parte del Tribunale appare quindi legittimo.
Non meritevoli di accoglimento sono anche le doglianze riferite all’asserita inutilizzabilità delle intercettazioni (secondo, terzo, quarto e quinto motivo, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili).
2.1. E invero, nell’affrontare diffusamente le obiezioni difensive (cfr. pag. 1 620 dell’ordinanza impugnata), il Tribunale del Riesame ha evidenziato che le indagini hanno preso avvio in occasione del vasto incendio verificatosi il 23 giugno 2019 all’interno dell’impianto della società RAGIONE_SOCIALE, incendio che sin dalle prime battute sembrava di origine dolosa, ritenendosi cioè che lo stesso fosse stato appiccato o per disfarsi dei rifiuti stoccati presso l’impianto in modo non regolare, o per voler riscuotere la cospicua polizza assicurativa stipulata dalla RAGIONE_SOCIALE
Il procedimento veniva iscritto a carico di ignoti (con il numero 2965/2019) presso la Procura della Repubblica di Frosinone e i primi decreti autorizzativi delle intercettazioni venivano disposti dal G.I.P. del Tribunale di Frosinone; poi, una volta delineatisi a livello investigativo i reati di cui agli art. 423 e 452 quaterdecies cod. pen., il procedimento nel frattempo iscritto a carico di NOME COGNOME in data 11 dicembre 2019, veniva trasferito per competenza distrettuale funzionale alla Procura della Repubblica di Roma, dove prendeva il numero 55318/2019.
Ciò posto, i giudici dell’impugnazione cautelare hanno correttamente richiamato il principio di diritto elaborato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenza n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Rv. 277395, ricorrente COGNOME), secondo cui, in tema di intercettazioni, il divieto di cui all ‘ art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate, salvo che risultino indispensabili per l ‘ accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l ‘ arresto in flagranza, non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 cod. proc. pen., a quelli in relazione ai quali l ‘ autorizzazione era stata ‘ ab origine ‘ disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall ‘ art. 266 cod. proc. pen. Partendo da tale premessa interpretativa e ribadendo la necessità di privilegiare una nozione sostanzialista, in forza della quale la diversità del procedimento va individuata non rispetto al dato formale del numero del procedimento, ma in ragione della natura del fatto storico e del contenuto della notizia di reato, il Tribunale ha ragionevolmente affermato che nel caso di specie vi era senz’altro connessione, atteso che il procedimento transitato a Roma ha riguardato anche l’originaria imputazione riferita al reato di incendio doloso, che sin da subito è stato collegato al reato di cui all’art. 452 quaterdecies cod. pen. per cui sono proseguite le indagini, essendo significativo il dato che le intercettazioni telefoniche disposte dall’Autorità giudiziaria romana sono state autorizzate rispetto a entrambi i reati. I due procedimenti, quello instaurato a Frosinone e quello incardinato poi a Roma, hanno dunque tratto origine dal medesimo fatto storico e dalla stessa notizia di reato, essendo dipesa la diversa numerazione del fascicolo di indagine dalla sola circostanza che, delineatasi i n maniera più concreta l’ipotesi di cui all’art. 452 quaterdecies cod. pen. già inizialmente evocata a livello investigativo, è divenuta operante la competenza distrettuale dell’Autorità giudiziaria capitolina.
Ribadita l’utilizzabilità delle intercettazio ni autorizzate dal G.I.P. del Tribunale di Frosinone, i giudici del riesame hanno in ogni caso operato la cd. ‘prova di resistenza’, rilevando cioè che, ove pure si fosse astrattamente ritenuto insussistente alcuno dei casi di connessione ex art. 12 cod. proc. pen., comunque non ne avrebbe risentito la solidità del compendio indiziario a carico di COGNOME avuto riguardo alla valenza dimostrativa degli ulteriori elementi emersi a suo carico,
come le altre intercettazioni disposte dall’Autorità giudiziaria d i Roma, le sommarie informazioni rese da NOME COGNOME, NOME COGNOME e da NOME COGNOME e gli accertamenti sulla documentazione aziendale, elementi idonei a comprovare, almeno a livello indiziario, la partecipazione di COGNOME ai traffici di rifiuti illecitamente gestiti prima tramite la società RAGIONE_SOCIALE e poi mediante la RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Quanto poi ai decreti autorizzativi dell’Autorità giudiziaria di Roma, il Tribunale ne ha sottolineato la legittimità sia rispetto alla durata delle captazioni (40 giorni), sia rispetto alla sussistenza dei ‘sufficienti indizi’ e della necessità investigativa, ciò in ragione della previsione di cui all’art. 1 del decreto legge n. 105 del 2023, convertito dalla legge n. 137 del 2023, secondo cui ‘l e disposizioni di cui all ‘ articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, si applicano anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452 quaterdecies e 630 del codice penale, ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall ‘ articolo 416 bis del codice penale o al fine di agevolare l ‘ attività delle associazioni previste dallo stesso articolo ‘ . Tale disposizione, in forza del medesimo art. 1, si applica anche nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto (ossia l’11 agosto 2023, data precedente all’epoca in cui il fascicolo è stato trasmesso alla Procura di Roma) . Peraltro, circa l ‘a pplicabilità di tale norma processuale anche ai fatti pregressi alla sua entrata in vigore , l’ordinanza imp ugnata, in modo pertinente, ha richiamato la condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 2, n. 47643 del 28/09/2023, Rv. 285524), secondo cui, in tema di intercettazioni telefoniche, ha natura di norma interpretativa, e come tale è applicabile retroattivamente, la previsione dell’ art. 1 del decreto legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, che ha definito l ‘ ambito applicativo della disciplina ‘ speciale ‘ ex art. 13 del decreto legge n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, riguardante i presupposti e le modalità esecutive delle operazioni di captazione nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata.
Né, rispetto a tale disciplina, appaiono fondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati in via subordinata dalla difesa, dovendosi al riguardo considerare che, per quanto qui rileva, l’ avvenuta estensione anche al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti del peculiare regime differenziato di applicazione delle intercettazioni telefoniche riservato in precedenza ai reati ritenuti di maggiore allarme sociale trova ampia giustificazione nella riforma costituzionale del 2022 (legge cost. n. 1 dell’11 febbraio 2022) che, nel modificare l’art. 9 Cost. , ha inserito un nuovo comma, il terzo, con cui si è affermato, tra l’ altro, che la Repubblica ‘t utela l ‘ ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell ‘ interesse delle future
generazioni ‘, per cui in tal senso la norma processuale de qua appare coerente con il valore pregnante attribuito all’ambiente dall’attuale assetto costituzionale . La questione di legittimità costituzionale sollevata in subordine dalla difesa va quindi ritenuta inammissibile perché manifestamente infondata, non presentando la previsione di cui a ll’ art. 1 del decreto legge n. 105 del 2023, convertito dalla legge n. 137 del 2023 profili di criticità rispetto ai principi costituzionali.
Ne consegue che le doglianze articolate dalla difesa non possono essere accolte.
Parimenti infondate risultano le eccezioni riguardanti le consulenze tecniche del dottor COGNOME (sesto motivo) e del dottor COGNOME (settimo motivo).
3.1. In ordine al primo profilo, è stato evidenziato (pag. 2021 dell’ordinanza impugnata) che i dati estrapolati dai dispositivi appresi a seguito del decreto di perquisizione e sequestro emesso dal P.M. il 28 settembre 2021 dovevano ritenersi utilizzabili, ciò in conformità con il principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 1, n. 38909 del 10/06/2021, Rv. 282072), secondo cui l’ estrazione di dati archiviati in un supporto informatico, quale è la memoria di un telefono cellulare, non costituisce accertamento tecnico irripetibile, e ciò neppure dopo l ‘ entrata in vigore della legge 18 marzo 2008, n. 48, che ha introdotto unicamente l ‘ obbligo di adottare modalità acquisitive idonee a garantire la conformità dei dati informatici acquisiti a quelli originali, con la conseguenza che né la mancata adozione di tali modalità, né a monte la mancata interlocuzione delle parti al riguardo comportano l ‘ inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti, ferma la necessità di valutare, in concreto, la sussistenza di eventuali alterazioni dei dati originali e la corrispondenza ad essi di quelli estratti, profili questi non contestati, atteso che le censure difensive erano riferite non tanto alle modalità di estrapolazione dei dati, quanto al provvedimento che ha disposto l’apprensione dei dispositiv i da cui sono stati estrapolati i dati, tema questo che, in quanto attinente alla legittimità della perquisizione e del vincolo cautelare, avrebbe dovuto essere dedotto in altra sede.
3.2. Quanto alla consulenza tecnica del dottor COGNOME incaricato di accertare il quantitativo dei rifiuti stoccati presso lo stabilimento di Aviano, la natura dei trattamenti, la caratterizzazione e l’analisi merceologica dei rifiuti, il Tribunale del Riesame ha osservato (pag. 21-23) che l’omissione degli avvisi di cui all’art. 360 cod. proc. pen. non comporta la nullità della consulenza e l’inutilizzabilità degli accertamenti eseguiti, posto che, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 27148 del 17/05/2023, Rv. 284735 -02), in tema di indagini preliminari, l ‘ attività di campionamento dei rifiuti non ha natura di accertamento tecnico, ma di rilievo, salvi i casi in cui la refertazione dei campioni richieda specifiche competenze o l ‘ utilizzo di tecniche particolari di prelievo, nei quali è riconosciuto all ‘ indagato il diritto al previo avviso del compimento delle operazioni.
Nella vicenda in esame, come correttamente evidenziato dai giudici dell’impugnazione cautelare all’esito di un accertamento di fatto non suscettibile di essere messo in discussione in questa sede, il consulente del P.M. (a prescindere dalle considerazioni svolte dall’Ufficio di Procura nel decreto di perquisizione circa la futura necessità di svolgere atti non ripetibili volti a verificare la corretta attribuzione dei codici cer dei rifiuti e composizione degli stessi), ha di fatto svolto una serie di operazioni qualificabili come rilievi e non come accertamenti, essendosi in effetti il dr. COGNOME limitato al compimento di determinate attività (come l’ esame della documentazione amministrativa, la verifica delle analisi chimiche, l’ accertamento della quantità dei rifiuti e la constatazione visiva delle caratteristiche dei rifiuti) non implicanti valutazioni e abilità tecniche particolari. Di qui l’infondatezza delle censure sollevate dalla difesa , restando solo da aggiungere che è del tutto neutra la circostanza che la massima giurisprudenziale citata dal Tribunale e prima richiamata sia stata ricavata da una sentenza (Sez. 3, n. 27148 del 17/05/2023, Rv. 284735) di cui è stato estensore il medesimo magistrato che ha svolto le funzioni di P.M. nel procedimento a carico di COGNOME Sul punto deve infatti rimarcarsi non solo che il principio di diritto prima esposto è stato elaborato in ordine a una vicenda processuale ben differente, il che già vale a escludere in radice eventuali profili di incompatibilità, ma anche e soprattutto che la sentenza n. 27148-2023, resa evidentemente da un organo collegiale, ha operato, in relazione al tema in oggetto, valutazioni di stretto diritto, peraltro citando, alle pagine da 12 a 15 della motivazione, una serie di precedenti conformi, ciò a ulteriore riprova dell ‘infondatezza dell ‘ illazione difensiva.
4. Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto all’ottavo motivo.
L’eccezione riguardante l’inutilizzabili tà degli atti di indagine assunti dopo la data del 16 luglio 2020 costituisce infatti la sostanziale riproposizione di una questione che nell’ordinanza impugnata (pag. 27 -29) ha già trovato un’efficace risposta, avendo i giudici dell’impugnazione cautelare sottolineato, in modo pertinente, che alla data del 10 luglio 2020, avuto riguardo alla data di iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen. del 16 dicembre 2019, il termine delle indagini preliminari di cui all’art. 405 cod. proc. pen. non era scaduto, posto che all’epoca vigeva la sospensione dei termini (per 64 giorni) disposta durante l’emergenza da Covid -19 dall’art. 83, comma 2, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito dalla legge n. 27 del 2020. Dunque, al momento della richiesta di proroga del 10 luglio 2020, il termine di sei mesi, decorrenti dalla data di iscrizione, non era ancora decorso, non essendo emersi elementi concreti da cui desumere che l’iscrizione di COGNOME nel registro degli indagati dovesse essere retrodatata al 1° luglio 2019. Questa data, indicata nel frontespizio del fascicolo della Procura di Frosinone, faceva infatti riferimento al momento in cui è pervenuta la notizia di reato, ma è stato solo dopo il compimento
delle indagini preliminari, consistite in acquisizioni documentali, assunzioni di sommarie informazioni e nell’esecuzione di intercettazioni telefoniche, che è emerso il nominativo di NOME COGNOME e di altri indagati, ritenuti potenzialmente responsabili delle attività illecite nel frattempo più compiutamente delineatesi. Con le pertinenti rilievi dell’ordinanza impugnata, la doglianza difensiva non si confronta adeguatamente, per cui la stessa non può trovare accoglimento.
5. Passando alle censure in punto di gravità indiziaria (motivi dodici, tredici e quattordici), suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro in larga parte sovrapponibili, occorre innanzitutto richiamare, per un inquadramento generale, la consolidata affermazione di questa Corte ( ex multis cfr. Sez. 4, n. 16158 del 08/04/2021, Rv. 281019 e Sez. 5, n. 36079 del 05/06/2012, Rv. 253511), secondo cui la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale. Al fine dell’adozione della misura è infatti sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare ‘un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato’ in ordine ai reati addebitati. Pertanto, tali indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192 comma 2 cod. proc. pen., ed è per questa ragione che l’art. 273 comma 1 bis cod. proc. pen. richiama l’art. 192 commi 3 e 4 cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi. Quanto ai limiti del sindacato di legittimità, deve essere ribadito (sul punto tra le tante cfr. Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013 Rv. 255460) che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di logicità deve rimanere quindi ‘all’interno’ del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate; in altri termini, l’ordinamento non conferisce alla Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, in ciò rientrando anche l’apprezzamento delle esigenze cautelari e
delle misure adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché al tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è perciò circoscritto al solo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, ovvero: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo dell’atto impugnato.
5.1. Alla luce di tali condivise premesse ermeneutiche, occorre ribadire che il giudizio sulla gravità indiziaria formulato dal Tribunale del Riesame (e prima ancora dal G.I.P.) rispetto a ciascuna delle fattispecie oggetto delle imputazioni provvisorie ascritte a COGNOME non presta il fianco a censure di irragionevolezza.
5.2. Ciò vale, in primo luogo, per le doglianze riferite alle vicende contestate ai capi B ed E, aventi ad oggetto il reato ex art. 452 quaterdecies cod. pen.
Alle stesse è stato dedicato ampio e adeguato scrutino alle pagine da 29 a 64 dell’ordinanza impugnata, nella quale, pe r ciascuna delle condotte ascritte a COGNOME sono state valutate, in maniera critica, le risultanze investigative acquisite, con argomenti non illogici e dunque non censurabili in questa sede.
In particolare, nel procedere alla puntuale e congiunta disamina dei fatti contestati ai capi B ed E, peraltro tra loro correlati, i giudici del riesame hanno evidenziato che nel 2019, quando la Regione Campania era in grosse difficoltà nello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, molti produttori di rifiuti campani, attraverso i contatti con la società RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME avevano smaltito i rifiuti urbani non trattati portandoli presso il sito della società laziale RAGIONE_SOCIALE
Qui, senza ricevere alcun particolare trattamento (come emerso dalle sommarie informazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME), i rifiuti venivano stoccati semplicemente per poi essere trasferiti presso la RAGIONE_SOCIALE, società che a sua volta li portava in discarica, senza operare alcun trattamento o ripulitura.
Il 23 giugno 2019 si verificava un incendio che distruggeva lo stabilimento della Mecoris, per cui COGNOME e il suo braccio destro NOME COGNOME si attivavano per cercare un nuovo sito al fine di proseguire l’attività di gestione illec ita dei rifiuti.
E invero il 28 settembre 2019 veniva acquistato il sito di Aviano, dove gli illegittimi conferimenti continuavano attraverso la società RAGIONE_SOCIALE, la quale riceveva con il falso CER 12.12.04 rifiuti che, anziché corrispondere al codice identificativo riferito alla plastica e alla carta, erano costituiti da rifiuti solidi urbani che avrebbero dovuto essere classificati con il CER 19.12.12, ossia scarti di lavorazione, o addirittura rifiuti solidi urbani, CER 20.03.01, rifiuti che in realtà la RAGIONE_SOCIALE, in virtù dell’autorizzazione in suo possesso, non avrebbe potuto ricevere .
Le gravi irregolarità emerse nella gestione dei rifiuti portavano al sequestro del sito di Aviano, avvenuto nel l’ottobre 2021. Tuttavia, con l’esecuzione della misura
cautelare reale, le attività criminose non cessavano, nel senso che COGNOME e COGNOME si organizzavano con altri indagati per portare i rifiuti in Ungheria. Dunque, sia presso il sito di Mecoris che presso il sito di Aviano vi era stata una gestione illegale di tonnellate di rifiuti, che COGNOME, con la collaborazione di NOME, ha cercato di celare ‘camuffando’ i dati dei documenti ambientali, avendo ciò inciso significativamente sul volume di affari delle società coinvolte. Tale conclusione è scaturita nell’ordinanza impugnata da un’attenta e razionale ricostruzione dei molteplici accertamenti di P.G., oltre che dei correlati esiti delle intercettazioni, per cui, a fronte di un percorso argomentativo coerente e saldamente ancorato alle acquisizioni investigative, le doglianze difensive sono destinate a non poter trovare ingresso in questa sede, anche perché tendenti a sollecitare differenti valutazioni di merito che esulano dal perimetro del giudizio di legittimità, dovendosi in tal senso ribadire l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Rv. 269884), secondo cui il ricorso per cassazione in tema di impugnazione delle misure cautelari personali è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica e i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti, ovvero, come avvenuto nella vicenda in esame, si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito.
5.3. Anche rispetto alle censure circa la partecipazione di NOME COGNOME all’associazione a delinquere contestata al capo A, deve ritenersi che la valutazione sulla gravità indiziaria compiuta dai giudici dell’impugnazione cautelare non presenti vizi di legittimità o profili di incoerenza argomentativa.
E invero, nel ripercorrere le risultanze investigative, il Tribunale del Riesame (pag. 64-70) ha illustrato ampiamente i tratti salienti della struttura associativa in esame; tale gruppo, tra il 2019 e il 2021, ha realizzato un programma criminoso che, lungi dall’esaurirsi in un accordo occasionale, è consistito nella realizzazione di una serie indeterminata di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. Nell’ambito di tale sodalizio COGNOME ha assunto un ruolo di primissimo piano: quale gestore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, egli ha utilizzato l’opera amministrativa di due collaboratori, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per assumere il controllo della RAGIONE_SOCIALE, subentrando all’amministratore formale NOME COGNOME nella gestione dell’impianto e nei rapporti con i fornitori, così modificando, a decorrere dal 2019, il core business della società, conferendole carattere illecito. Successivamente, a seguito dell’incendio del sito della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME ha assunto la gestione della RAGIONE_SOCIALE presso il cui sito di Aviano ha avviato una gestione illecita di rifiuti, dirigendo, coordinando, finanziando, organizzando le attività di ricezione, conferimento ed esportazione dei rifiuti e, poi costituendo in Ungheria
nell’ottobre 2021, dopo una lunga trattativa con RAGIONE_SOCIALE, una società fittiziamente intestata a un prestanome, le cui quote venivano ripartite tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, società utilizzata per l’acquisizione di un nuovo impianto in Ungheria, dove l’associazione avrebbe esportato i rifiuti stoccati ad Aviano, in ‘lista verde’, per poi trasferirli presso stabilimenti slovacchi alimentati con CSS, previa falsa classificazione dei rifiuti in RAGIONE_SOCIALE, tutto ciò nel contesto di una pianificazione delittuosa fondata su una rete collaudata sia di rapporti personali, come quelli tra COGNOME e NOME COGNOME, sia di relazioni operative, come nel caso dell’apporto delle società campane intermediarie dei conferitori di rifiuti, o dei gestori di vari impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti.
5.4. Orbene, almeno per quanto riguarda la valutazione indiziaria tipica della fase cautelare e fatti salvi ovviamente gli eventuali sviluppi probatori nel prosieguo del procedimento penale in corso, occorre evidenziare che la valutazione sui gravi indizi di colpevolezza rispetto ai reati oggetto di imputazione provvisoria, in quanto fondata su considerazioni pertinenti e allo stato coerenti con le risultanze investigative, resiste alle censure difensive, che invero sollecitano sostanzialmente una lettura alternativa delle fonti dimostrative disponibili, operazione questa che, come si è già anticipato, non può trovare ingresso in sede di legittimità .
Ugualmente immune da censure è, infine, il giudizio sulle esigenze cautelari e sulla scelta della misura (motivi nove, dieci e undici).
E invero il Tribunale del Riesame, nel condividere e nello sviluppare le considerazioni già adeguatamente formulate in tal senso dal G.I.P., rispetto al cui provvedimento alcuna lacuna motivazionale appare ravvisabile, ha rimarcato (pag. 7072 dell’ordinanza impugnata) l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione dei reati, a tal fine valorizzando, in maniera tutt’altro che illogica, la serialità e la continuità delle condotte delittuose, frutto di un meccanismo ampiamente consolidato che aveva portato a individuare plurimi conferitori, essendo in particolare significativo che, dopo l’incendio della Mecoris, COGNOME si è attivato non solo per reperire il sito di Aviano, ma anche per trasferire i rifiuti all’estero, sempre falsificando la classificazione, adoperandosi altresì per acquistare un impianto all’estero dove portare i rifiuti classificandoli come CSS .
A fronte di ciò, in modo razionale, il mero dato dell’incensuratezza dell’indagato è stato ritenuto soccombente, tanto più in ragione del fatto che COGNOME, pur essendo stato attinto da altra misura cautelare dal settembre al dicembre 2019 nell’ambito di un distinto procedimento penale, ha evidentemente continuato a delinquere, anche in forza del suo rapporto con NOME COGNOME il quale lo ha sostituito presso il sito di Aviano, concordando con COGNOME le attività da compiere.
Del resto, l’attività delittuosa, posta in essere fino al 2021, è cessata solo per effetto dell’azione repressiva dell’Autorità giudiziaria attuata attraverso il
sequestro del sito di Aviano, per cui, nell’ottica del requisito dell’attualità della pericolosità sociale, i giudici cautelari hanno affermato che, se non vi fosse stato il sequestro, COGNOME avrebbe proseguito le attività illecite, utilizzando altri siti, anche esteri, dovendosi in ogni caso ribadire che, come già affermato da questa Corte (cfr. in termini Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, Rv. 282767), in tema di presupposti per l ‘ applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell ‘ attualità del pericolo di reiterazione del reato non va equiparato all ‘ imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica la continuità del ‘ periculum libertatis ‘ nella sua dimensione temporale, che va apprezzata, come avvenuto nella vicenda in esame, sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell ‘ indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare. Legittimamente è stata dunque ritenuta non superata la presunzione sulla sussist enza delle esigenze cautelari di cui all’ art. 275 comma 3 cod. proc. pen., presunzione applicabile nel caso di specie in ragione della contestazione del reato ex art. 452 quaterdecies cod. pen., non potendosi sottacere che, pur a fronte dell’ulteriore presunzione circa l’adeguatezza della misura d i massimo rigore, il G.I.P. ha applicato il più tenue regime detentivo domestico, mentre la qualificata e persistente pericolosità sociale di COGNOME ha ragionevolmente consentito di escludere l’applicazione di misure cautelari personali ancor meno afflittive.
Deve ritenersi che, anche in punto di esigenze cautelari e di scelta della misura, non vi è spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive, che anche in tal caso sollecitano differenti apprezzamenti di merito estranei al sindacato di legittimità.
In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali,
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 15.10.2024