Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5839 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5839 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Zero Branco (Tv) il 13/1/1954
avverso la sentenza del 19/10/2023 della Corte di appello di Venezia; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore della parte civile Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Avv. dello Stato NOME COGNOME che ha chiesto la conferma della sentenza;
udite le conclusioni del difensore della parte civile Regione Veneto, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19/10/2023, la Corte di appello di Venezia riformava in punto di statuizioni civili la pronuncia emessa il 9/1/2018 dal Tribunale di Treviso, con la quale (tra gli altri) NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati giudicati colpevoli del delitto di cui all’art. 260, d. Igs. 3 aprile 2006, n. 152, o art. 452-quaterdecies cod. pen.
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME deducendo i seguenti motivi:
omessa motivazione. La Corte di appello avrebbe risposto in modo illogico e carente al motivo di gravame concernente il numero e la rappresentatività dei campioni di RILCEM, che il consulente della difesa, a differenza dell’ARPAV, avrebbe ritenuto insufficiente; la sentenza, in particolare, avrebbe da un lato sostenuto l’idoneità dei campioni sol perché così si sarebbero espressi i tecnici dell’Agenzia regionale, e, dall’altro, omesso ogni confronto con il motivo di appello, con il quale si sosteneva che ben più numerosi (almeno 20, in luogo di 10 o 6) avrebbero dovuto essere i campioni. Irrilevante, poi, sarebbe il riferimento all’omogeneità dei risultati ottenuti, in quanto profilo solo successivo alla verific dell’adeguatezza del numero dei campioni;
omessa motivazione sull’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 260 citato. La sentenza non avrebbe considerato che lo stesso consulente del Pubblico Ministero avrebbe riconosciuto la difficile interpretazione dell’autorizzazione rilasciata dall’autorità; l’ente, inoltre, al riguardo si sarebbe affidat professionisti qualificati, così da escludere del tutto il dolo del reato. Sul punto peraltro, la motivazione della sentenza risulterebbe viziata, perché illogica ed autoreferenziale, giungendo a riconoscere un inammissibile dolo in re ipsa. La motivazione, ancora, sarebbe assente quanto al necessario dolo specifico, di cui non verrebbe indicato il fondamento;
infine, si contesta, per omissione, la motivazione della sentenza quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla pena, fissata in misura superiore al minimo edittale senza effettiva giustificazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo alla prima censura, che contesta la motivazione della sentenza quanto al numero di campioni di RILCEM prelevati, il Collegio rileva che nessun vizio può essere riscontrato nella pronuncia di appello, che ha congruamente
ribadito gli argomenti del primo Giudice senza alcun profilo di carenza o di apoditticità, come invece contestato.
4.1. Entrambe le decisioni di merito, infatti, hanno evidenziato che – per come riferito anche dai funzionari ARPAV – il numero di campioni, sebbene non elevato, doveva ritenersi sufficiente ed affidabile, alla luce dei risultati che le relative anal avevano fornito. In particolare, le indagini avevano accertato il sistematico superamento sempre degli stessi parametri (tra cui rame e nichel), “tutte le volte e nei diversi luoghi” in cui il materiale proveniente dal processo di recupero presso la Mestrinaro RAGIONE_SOCIALE era stato campionato (quindi presso la sede della società, presso il parcheggio di Tessera e presso il cantiere della Quado).
4.2. Ancora, già il Tribunale aveva sottolineato che il superamento dei limiti di legge era stato riscontrato anche nei materiali stoccati presso la sede della società e qualificati come materie prime secondarie pronte ad esser commercializzate; da ciò, la conclusione – non manifestamente illogica e fondata su un dato non contestato – che le analisi compiute “in proprio” dalla RAGIONE_SOCIALE non potevano ritenersi attendibili, e che non trovava fondamento la tesi della contaminazione successiva alla fornitura dei materiali.
4.3. La motivazione della sentenza, dunque, risulta priva dei vizi denunciati. Per un verso, i Giudici di merito si sono confrontati con gli esiti degli accertamenti fatti eseguire dalla società, confutandone motivatamente i risultati perché ritenuti inattendibili; per altro verso, le stesse pronunce hanno correttamente valorizzato l’omogeneità del risultato ottenuto dai campioni, ovunque prelevati, individuandovi un riscontro solido a conferma dei risultati delle analisi compiute dall’ARPAV. Da ultimo sul punto, già la sentenza di primo grado aveva anche richiamato le deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME che avevano espressamente escluso che il RAGIONE_SOCIALE fornito dalla società Mestrinaro fosse stato sottoposto a lavorazioni con calce o altri leganti presso i cantieri prima della posa.
La sentenza della Corte di appello, di seguito, risulta immune da censure anche sul secondo motivo proposto, che riguarda il profilo psicologico del reato; anche sul punto, infatti, la doglianza è manifestamente infondata.
5.1. In primo luogo, costituisce argomento di merito, inammissibile in sede di legittimità, quello secondo cui anche il consulente del Pubblico Ministero avrebbe riconosciuto l’oscurità dell’autorizzazione rilasciata alla società; le parole de tecnico, peraltro, sono riportate nel ricorso soltanto per estratto, e dunque comunque qui inutilizzabili. La sentenza impugnata, in ogni caso, ha reso sul punto una motivazione adeguata e logica (pag. 45), che l’impugnazione neppure cita, evidenziando che l’autorizzazione “si limitava a richiamare le previsioni dei documenti progettuali presentati dalla società degli imputati, che dunque ne
dovevano avere piena contezza” (confermata, peraltro, da successive vicende amministrative sullo stesso provvedimento).
5.2. Ancora propria del solo giudizio di cognizione, poi, è la generica considerazione per cui la società si sarebbe affidata a professionisti competenti, potendosi così ipotizzare, al più, una culpa in eligendo.
5.3. Nessun dolo in re ipsa o argomento autoreferenziale, dunque, ma una motivazione del tutto adeguata e fondata su oggettivi elementi istruttori.
5.4. Quanto, poi, al dolo specifico, non si riscontra la carenza di motivazione denunciata ancora nel secondo motivo. La Corte di appello, sul punto, ha richiamato le considerazioni già sviluppate per il coimputato NOME COGNOME secondo cui l’istruttoria aveva provato un’illecita attività di trattamento di rifiuti “di proporzioni davvero vaste e importanti, in cui sistematicamente la COGNOME, invece di trattare a caro prezzo tonnellate di rifiuti inquinanti, conferit da varie imprese, per renderli inerti, li ha miscelati con calce rivendendoli come Rilcem, materia prima secondaria, laddove si trattava ancora di prodotto classificabile come rifiuto”. In forza di ciò, ed ancora con motivazione priva di illogicità, la Corte di appello ha dunque sottolineato che l’elemento soggettivo del reato, anche nei termini del dolo specifico, si ricavava dal carattere sistematico dell’attività di trattamento abusivo di ingentissimi quantitativi di rifiuti e costante esercizio di impresa industriale in difformità rispetto all’autorizzazione ottenuta. Con un evidente risparmio di spesa che, senza vizi logici, è stato ritenuto espressione dello stesso dolo specifico richiesto dalla norma contestata.
Il ricorso, poi, risulta manifestamente infondato anche sul terzo motivo, che censura il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
6.1. La Corte di appello, pronunciandosi sul punto con motivazione ancora solida e priva di vizi, ha evidenziato l’assenza di elementi positivamente valutabili al riguardo, valorizzando in senso negativo anche la mancanza di resipiscenza o di risarcimento dei danni, anche parziale, sia pur a distanza di alcuni anni. Ancora, è stata sottolineata la gravità dei fatti, amplificata dalla protrazione nel tempo delle stesse condotte illecite, che avevano determinato un più che rilevante pericolo per l’ambiente in una ampia zona della provincia di Treviso. In senso contrario, peraltro, non possono valere le considerazioni espresse nel motivo di ricorso, per le quali le circostanze attenuanti generiche avrebbero dovuto esser riconosciute per la presenza di un’autorizzazione e per la “scarsa intensità del dolo”: si tratta, infatti, di argomenti che le sentenze hanno adeguatamente superato, nei termini già richiamati.
Infine, nessuna censura può essere mossa alla decisione quanto alla pena irrogata. Contrariamente a quanto indicato nel ricorso, infatti, la Corte di appello (come già il Tribunale) ha motivato in modo adeguato sul punto, sottolineando le
gravi modalità della condotta e la lunga durata nel tempo dell’attività crimin tal ida giustificare il trattamento irrogato.
8. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce d sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, n fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia propos ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilit alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 6 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello d versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000. Si condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle sp rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Minis dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, che liquida in complessivi euro 3.80 oltre accessori di legge, e dalla parte civile Regione Veneto, che liqui complessivi euro 1.750, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Minis dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, che liquida in complessivi euro 3.80 oltre accessori di legge, e dalla parte civile Regione Veneto, che liqui complessivi euro 1.750, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025
Il li-oliere estensore
Il Presidente