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Traffico illecito di rifiuti: il dolo specifico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per concorso in traffico illecito di rifiuti. L’imputato, gestore di fatto di un fondo agricolo trasformato in discarica abusiva, sosteneva la mancanza del dolo specifico, ovvero il fine di trarre un profitto ingiusto. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: nel concorso di persone, non è necessario che ogni concorrente persegua personalmente un profitto, essendo sufficiente la consapevolezza che altri correi agiscano con tale finalità. La Corte ha ritenuto che la prova di tale consapevolezza fosse stata logicamente desunta dai giudici di merito da elementi fattuali, come la concessione del terreno in comodato gratuito a chi smaltiva i rifiuti e la presenza attiva dell’imputato durante le operazioni di scarico.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Traffico illecito di rifiuti: la consapevolezza del profitto altrui basta per la condanna

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 3416/2024) offre importanti chiarimenti sulla configurabilità del concorso nel reato di traffico illecito di rifiuti. La pronuncia si concentra sull’elemento soggettivo richiesto dalla norma, il cosiddetto dolo specifico, ovvero il fine di conseguire un profitto ingiusto. La Corte ha stabilito che, per la condanna, non è necessario che il singolo concorrente agisca per un proprio tornaconto, essendo sufficiente la consapevolezza che altri partecipanti all’illecito stiano perseguendo un profitto.

I Fatti: Dalla Gestione di un Fondo Agricolo a Discarica Abusiva

Il caso riguarda un soggetto, gestore di fatto di un vasto fondo agricolo, condannato in primo e secondo grado per aver concorso nell’abusiva gestione e smaltimento di ingenti quantità di rifiuti speciali. Il terreno era stato di fatto trasformato in una discarica non autorizzata.

L’imputato aveva stipulato un contratto di comodato d’uso gratuito con una società, la quale aveva poi proceduto allo sversamento dei rifiuti sul terreno. La difesa sosteneva che l’imputato fosse all’oscuro della reale natura delle operazioni, credendo si trattasse di un’attività limitata al recupero di materiale plastico da tubi per l’irrigazione. Pertanto, secondo la tesi difensiva, mancava l’elemento soggettivo del reato, in particolare il dolo specifico di profitto.

La Decisione della Corte sul traffico illecito di rifiuti

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente applicato la legge penale, argomentando in modo logico e coerente la sussistenza della consapevolezza dell’imputato riguardo al fine di profitto altrui.

Il cuore della decisione si basa su un principio consolidato in giurisprudenza: ai fini della configurabilità del concorso nel reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, non è necessario che il singolo concorrente agisca al fine di conseguire un proprio ingiusto profitto. È invece sufficiente che egli abbia la consapevolezza che il profitto sia perseguito dai suoi correi.

Le motivazioni

Il Dolo Specifico e la Nozione di Profitto

La Corte ribadisce che il delitto in questione è caratterizzato da un dolo specifico: il fine di conseguire un ingiusto profitto. Tuttavia, questo profitto non deve essere inteso solo come un guadagno monetario diretto (lucro). Può consistere in qualsiasi utilità, incremento o vantaggio patrimoniale, anche non strettamente economico. Rientra in questa nozione anche il cosiddetto “risparmio di spesa”, come quello derivante dal mancato sostenimento dei costi necessari per uno smaltimento legale e autorizzato dei rifiuti.

La Prova della Consapevolezza: Un’analisi logica dei fatti

La motivazione della sentenza sottolinea come la prova della consapevolezza dell’imputato sia stata desunta, in modo non manifestamente illogico, da una serie di circostanze fattuali. I giudici di merito avevano evidenziato l’inverosimiglianza della versione dell’imputato, il quale, dopo aver investito una somma considerevole per l’acquisto del terreno, lo avrebbe concesso in uso gratuito a una società per un’operazione di modesto valore.

Inoltre, altri elementi hanno corroborato la conclusione dei giudici: l’imputato era stato visto assistere a numerose operazioni di scarico, in un’occasione aveva personalmente guidato un camion verso il punto di sversamento e in un’altra aveva dato indicazioni su come spostare i rifiuti. Tali comportamenti sono stati ritenuti incompatibili con la figura di un soggetto ignaro e hanno dimostrato il suo pieno inserimento nell’organizzazione criminale, fornendo un contributo consapevole e ripetitivo all’attività illecita.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un importante principio in materia di reati ambientali e, in particolare, di traffico illecito di rifiuti. Chiunque fornisca un contributo causale a tale attività, anche solo mettendo a disposizione un terreno, non può trincerarsi dietro la presunta ignoranza del profitto altrui se le circostanze di fatto rendono tale ignoranza palesemente inverosimile. La consapevolezza del disegno criminoso e del vantaggio economico (anche solo come risparmio di costi) perseguito dagli altri membri dell’organizzazione è sufficiente per integrare l’elemento psicologico del reato e fondare una pronuncia di condanna. La decisione serve da monito: la partecipazione, anche passiva o indiretta, a operazioni di smaltimento illecito può comportare gravi conseguenze penali quando è supportata dalla consapevolezza dell’illiceità e del fine di profitto dell’intera operazione.

Per essere condannati per concorso nel traffico illecito di rifiuti è necessario avere un profitto personale?
No, non è necessario. La Corte di Cassazione ha chiarito che è sufficiente avere la consapevolezza che altri partecipanti al reato agiscano per conseguire un profitto ingiusto.

Cosa si intende per ‘profitto ingiusto’ nel reato di traffico illecito di rifiuti?
Il profitto ingiusto non è solo un guadagno economico diretto (lucro), ma può consistere in qualsiasi vantaggio patrimoniale, come un risparmio di spesa (ad esempio, evitare i costi legali di smaltimento in una discarica autorizzata) o altri vantaggi non strettamente economici.

Come può un giudice provare la consapevolezza del fine di profitto altrui?
Il giudice può desumere la consapevolezza da elementi di fatto e circostanze concrete. Nel caso esaminato, la prova è stata ricavata da elementi come l’illogicità di concedere un terreno in uso gratuito dopo un ingente investimento, la presenza fisica dell’imputato durante le operazioni di scarico e il suo ruolo attivo nell’organizzazione dell’attività illecita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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