Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 36060 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 36060 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a Formia il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a COGNOME Aurunca il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Formia il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Formia il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Formia il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Gaeta il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a Formia il DATA_NASCITA, avverso la sentenza in data 12/07/2024 della Corte di appello di Roma; letti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi presentati nell’interesse degli imputati;
sentito il difensore degli imputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto, in accoglimento dei ricorsi proposti, l’annullamento dell’impugnata sentenza nei confronti dei propri assistiti;
sentito il difensore degli imputati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto, in accoglimento dei ricorsi proposti, l’annullamento dell’impugnata sentenza nei confronti dei propri assistiti;
sentito il difensore dell’imputato NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto, in accoglimento del ricorso proposto, l’annullamento dell’impugnata sentenza nei confronti del proprio assistito;
sentito il difensore dell’imputato COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto, in accoglimento del ricorso proposto, l’annullamento dell’impugnata sentenza nei confronti del proprio assistito.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 12/07/2024, la Corte di appello di Roma ha parzialmente riformato la sentenza con cui, il precedente 22/12/2022, il Tribunale di Cassino aveva affermato la penale responsabilità di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME e di COGNOME NOME in ordine ai delitti di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, di illecita detenzione e illecita cessione di stupefacenti e di illecita detenzione di armi da sparo loro rispettivamente ascritti e, per l’effetto, li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia.
Nello specifico, la Corte territoriale:
ha confermato la condanna di COGNOME NOME in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1 e la pena allo stesso inflitta in primo grado;
ha mandato assolto COGNOME NOME dai delitti di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1 e di illeci detenzione e illecita cessione di stupefacenti di cui ai capi 6 e 26, ne ha confermato la condanna limitatamente agli ulteriori delitti di illecita detenzione e illecita cessione di stupefacenti di cui ai capi 25 e 28, ha riqualificato gli stessi termini di lieve entità dei fatti e, per l’effetto, ha ridotto la pena inflitta primo grado;
ha mandato assolto COGNOME NOME dai delitti di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1, di illeci detenzione e illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 6 e da taluni degli analoghi delitti-fine rubricati al capo 13, ne ha confermato la condanna limitatamente ad altri delitti-fine indicati al capo 13, ha riqualificato gli stess termini di lieve entità dei fatti e, per l’effetto, ha ridotto la pena inflitta primo grado;
ha mandato assolto COGNOME NOME dai delitti di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1, di illeci detenzione e illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 7 e da taluni degli
analoghi delitti-fine rubricati al capo 14, ne ha confermato la condanna limitatamente ad altri delitti-fine indicati al capo 14, ha riqualificato gli stessi termini di lieve entità dei fatti e, per l’effetto, ha ridotto la pena inflitta primo grado;
ha mandato assolto NOME NOME dai delitti di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1 e da taluni dei delitti-fine di illecita detenzione e illecita cessione di stupefacenti rubricati capo 12, ne ha confermato la condanna limitatamente ad altri analoghi delittifine indicati al capo 12, ha riqualificato gli stessi in termini di lieve entità dei f e, per l’effetto, ha ridotto la pena inflittagli in primo grado;
ha prosciolto NOME dal delitto di illecita detenzione di arma clandestina di cui al capo B limitatamente alla pistola di marca Beretta, calibro TARGA_VEICOLO, TARGA_VEICOLO, recante matricola TARGA_VEICOLO e ne ha confermato la condanna in relazione all’analogo delitto avente ad oggetto un fucile di marca e calibro non accertati e al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1, riducendo, conseguentemente, la pena inflittagli in primo grado;
ha confermato la condanna di COGNOME NOME in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1 e la pena allo stesso inflitta in primo grado.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori degli imputati, AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (per COGNOME NOME e COGNOME NOME), NOME COGNOME (per COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), NOME COGNOME (per COGNOME NOME) e NOME COGNOME (per COGNOME NOME), che, nell’interesse dei rispettivi assistiti, hanno articolato i motivi di doglianza, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME il suo difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 125 e 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, per cui v’è stata conferma della condanna.
Sostiene segnatamente che, nella decisione della Corte territoriale, a causa di un travisamento della prova, e in specie dei dicta del collaboratore di giustizia COGNOME NOME NOME delle risultanze dell’ulteriore attività d’indagine svolta dagli
inquirenti, si sarebbe erroneamente indicata la durata dell’affiliazione di COGNOME NOME al sodalizio criminale capeggiato da COGNOME NOME e da COGNOME NOME, col triplice ruolo di stabile acquirente di partite di droga, di rivendito al dettaglio di tali sostanze per conto della consorteria e di preposto al trasporto della merce dal luogo di acquisto a quello della commercializzazione, posto che i contatti dell’imputato con il gruppo in oggetto non si sarebbero protratti dal mese di gennaio dell’anno 2015 alla fine dell’anno 2016, ma avrebbero avuto durata più contenuta, compresa tra il mese di febbraio dell’anno 2016 e il mese di aprile dello stesso anno; aggiunge che a COGNOME NOME sarebbe stato erroneamente attribuito anche il ruolo di stabile incaricato del trasporto della droga dal luogo di acquisto a quello dello spaccio, smentendo l’assunto proprio le dichiarazioni del menzionato collaboratore di giustizia COGNOME NOME, a tenore delle quali le mansioni di corriere furono svolte, in una prima fase (e cioè fino al momento del suo arresto, avvenuto nel mese di marzo del 2016) da COGNOME NOME e, successivamente, da COGNOME NOME; assume, poi, che non avrebbe potuto essere intesa come dimostrativa dell’intraneità al gruppo di COGNOME NOME la sua partecipazione – pure riferita dal COGNOME – alla spedizione punitiva in danno di COGNOME NOME, capo di altra consorteria dedita, in zona, al traffico di stupefacenti, non essendosi chiarito il ruolo svolto nell’occasione dall’imputato e ben potendo lo stesso essere stato inserito nella compagine autrice del blitz al solo fine di dimostrarne l’elevata rilevanza criminale; osserva, infine, che risulterebbe quantomeno distonico, nell’ottica del ritenuto inserimento di COGNOME NOME, con ruolo esecutivo, nel sodalizio di cui trattasi, quanto ulteriormente riferito dal citato collaboratore di giustizia in merito alla facolt riconosciuta al predetto, di approvvigionarsi, in prima persona, sulla piazza di Napoli, dello stupefacente da destinare poi alla vendita al dettaglio, in funzione dell’abbattimento dei costi di acquisto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME il suo difensore si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 125 e 192 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine ai delitti di illecita cessione di stupefacenti, per i quali stata conferma della condanna.
Sostiene, in particolare, che, nella decisione della Corte territoriale, a causa della mancata effettuazione di sequestri di stupefacente, si sarebbero ascritte al predetto numerose cessioni di droga di tipologia non specificata, talune delle quali (indicate al capo 25) verificatesi tra il 13/06/2018 e il 14/06/2018 e talaltre
(menzionate al capo 28) avvenute tra il 05/05/2018 e il 03/08/2018, in base alle sole risultanze di intercettazioni telefoniche di contenuto vago, inidonee, pertanto, a provare che, a seguito delle telefonate ricevute, l’imputato avesse effettivamente consegnato sostanze ai pretesi acquirenti, come, peraltro, imposto dal principio secondo cui la penale responsabilità dev’essere provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
2.3. Con il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME il suo difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 13.
Assume segnatamente che, nella decisione impugnata, in ragione della mancata effettuazione di sequestri di droga, si sarebbero ascritte al predetto numerose cessioni di hashish e di cocaina, avvenute tra il 16/05/2018 e 1’08/07/2018, in base alle sole risultanze di intercettazioni telefoniche di contenuto assai generico, illogicamente valorizzandosi, a sostegno della propugnata interpretazione di tali interlocuzioni, il dato costituito dall’accertat cessione di una dose di hashish, effettuata, il successivo 12/07/2018, dal coimputato COGNOME NOME in favore di tale NOME COGNOME, senza vagliare in alcun modo la plausibilità della ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa nell’atto di appello, con palese violazione del principio secondo cui la penale responsabilità dev’essere provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
2.4. Con il secondo motivo del ricorso de quo, l’anzidetto difensore si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza e illogicità in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 13.
Sostiene, in particolare, che, nella decisione della Corte di appello, si sarebbe illegittimamente ed illogicamente affermato che l’imputato, pur avendo concorso con il cognato COGNOME NOME e con il nipote NOME NOME nell’illecita attività di spaccio di stupefacenti, aveva ceduto, in due occasioni, sostanze di tale natura ai predetti coimputati.
2.5. Con il terzo motivo del ricorso in oggetto, il difensore del COGNOME lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 81, 132, 133 cod.
pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione per carenza e illogicità in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.
Osserva, in specie, che, nella decisione impugnata, la quantificazione della pena da infliggere sarebbe avvenuta in maniera illegittima ed irragionevole, in conseguenza dell’aver apoditticamente individuato talvolta in cocaina e talaltra in hashish il tipo di sostanze in concreto cedute dall’imputato.
2.6. Con il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME il suo difensore si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 187, 192, 533 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. / in riferimento al disposto degli artt. 6 Direttiva UE 2016/343 e 27 Cost. e del vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 14.
Assume, in particolare, che, nella decisione impugnata, in ragione della mancata effettuazione di sequestri di droga, si sarebbe ascritta al predetto la cessione di cocaina perfezionatasi il 25/06/2018 in base alle sole risultanze di un’intercettazione telefonica di contenuto tutt’altro che univoco, illogicamente valorizzandosi, a sostegno della propugnata interpretazione della brevissima interlocuzione, l’assenza di elementi di segno contrario nelle conversazioni telefoniche che avevano visto protagonista l’imputato captate successivamente, senza vagliare in alcun modo la plausibilità della ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa nell’atto di appello, con palese violazione della presunzione di non colpevolezza, del principio secondo cui la penale responsabilità dev’essere provata “al di là di ogni ragionevole dubbio” e della regola sancita dalla normativa eurounitaria in forza della quale la pubblica accusa ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi del fatto di reato e la l riconducibilità all’imputato.
2.7. Con il secondo motivo del ricorso in oggetto, l’anzidetto difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 132, 133 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione per carenza ed illogicità in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.
Rileva, in particolare, che, nella decisione della Corte territoriale, la quantificazione della pena da infliggere sarebbe avvenuta in maniera illegittima ed irragionevole, in conseguenza dell’aver apoditticamente individuato nella cocaina il tipo di sostanza in concreto ceduta dall’imputato.
2.8. Con l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di NOME NOME il suo difensore si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed
e), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, dell’inosservanza della norma processuale di cui all’art. 192 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine ai delitti di illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 12.
Sostiene, in specie, che, nella decisione della Corte territoriale, in ragione della mancata effettuazione di sequestri di droga, si sarebbero ascritte al predetto le cessioni di hashish perfezionatesi il 07/07/2018 e 1’08/07/2018 sulla base delle sole risultanze di intercettazioni telefoniche di contenuto assai vago, illogicamente valorizzandosi, a sostegno della propugnata interpretazione delle brevi interlocuzioni, l’accaduto del successivo 12/07/2018, ossia la cessione di analoga sostanza stupefacente in favore di tale NOME COGNOME, senza vagliare in alcun modo la plausibilità della ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa nell’atto di appello.
2.9. Con il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di NOME, il suo difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.
Assume, in particolare, che, nella sentenza impugnata, si riscontrerebbe, con riguardo al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1, un evidente difetto di correlazione tra il fatto formante oggetto di contestazione, indicato nella detenzione di stupefacenti per conto del sodalizio criminoso e nella vendita al dettaglio di parte di essi, e la condotta ritenuta integrante l’illecito penale, individuata, invece, nella mera custodia, nell’interesse del gruppo, di un’arma da sparo, risultando le dichiarazioni eteroaccusatorie del collaboratore di giustizia COGNOME NOME riguardanti la commercializzazione della droga del tutto prive di riscontri estrinseci e tali da non consentire l’individuazione di un ambito temporale certo entro cui circoscrivere la condotta detentiva ascritta all’accusato.
2.10. Con il secondo motivo del ricorso in oggetto, il difensore del COGNOME si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., dell’inosservanza della norma processuale di cui all’art. 649 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per travisamento della prova nella parte in cui è stata rigettata la deduzione difensiva fondata sulla violazione del principio di “ne bis in idem” in punto di affermata colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di cui al capo B.
Sostiene, in particolare, che, con la decisione della Corte territoriale, a fronte della definitività della pronunzia assolutoria medio tempore resa, nei confronti dell’imputato, dalla Corte di appello di Roma (sent. n. 5000/17 Reg. Sent.), si
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sarebbe illegittimamente ed immotivatamente circoscritta alla sola pistola Beretta, TARGA_VEICOLO, TARGA_VEICOLO. TARGA_VEICOLO, recante matricola TARGA_VEICOLO, l’operatività del divieto di “bis in idem”, non estendendola al fucile di marca e calibro non accertati, ancorché si trattasse di armi della stessa natura, la cui illecita detenzione era stata accertata nelle stesse condizioni di tempo e di luogo.
2.11. Con il terzo motivo del ricorso de quo l’anzidetto difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1.
Osserva che, nella decisione impugnata, si sarebbe illegittimamente ed immotivatamente affermata l’intraneità al sodalizio criminoso di NOME in base alle sole dichiarazioni eteroaccusatorie del collaboratore di giustizia COGNOME NOME – a termini delle quali, in seguito al proprio arresto, l’imputato avrebbe assunto il ruolo di custode dei quantitativi di hashish e di cocaina di cui il gruppo aveva la disponibilità – nella totale assenza di riscontri estrinseci individualizzanti, non essendo riconducibile al predetto il possesso del fucile, mai rinvenuto, di cui al capo B, non essendogli ascritto alcun delitto-fine in materia di stupefacenti, non emergendo a suo carico elementi ulteriori dall’attività captativa svolta e dovendosi riconoscere scarso valore all’accertato possesso, da parte sua, di un ridottissimo quantitativo di hashish.
2.12. Con il quarto motivo di ricorso il difensore si duol , ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., del vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di cui al capo B.
Rileva al riguardo che, nella decisione impugnata, non risulterebbe adeguatamente argomentata l’affermata riconducibilità a NOME del fucile, mai rinvenuto, la cui illecita detenzione forma oggetto di contestazione, posto che il collaboratore di giustizia COGNOME NOME si è limitato ad attribuirne la disponibilità al predetto imputato senza indicare il modello dell’arma, in ragione della sua mancata precedente visione e l’ufficiale dei arabinieri che ebbe ad eseguire la perquisizione domiciliare ha riferito che, in esito all’espletamento di detto mezzo di ricerca della prova, il fucile menzionato dal citato propalante non fu recuperato, aggiungendo, altresì, che lo stesso avrebbe dovuto trovarsi su di un terrazzino accessibile anche a terzi.
2.13. Con il quinto e ultimo motivo di ricorso l’indicato difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 e 133 cod. pen. e vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di ritenuta
configurabilità della menzionata aggravante e di determinazione del trattamento sanzionatorio.
Assume, in particolare, che, nella decisione della Corte di appello di Roma, a fronte del mancato rinvenimento del fucile di cui l’imputato avrebbe avuto la disponibilità, si sarebbe illegittimamente ed illogicamente riconosciuta la configurabilità dell’aggravante prevista dall’evocata disposizione normativa, con conseguente erronea determinazione del trattamento sanzionatorio.
2.14. Con il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME il suo difensore si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., di violazione di legge e del vizio di motivazione in punto di ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni eteroaccusatorie rese dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME.
Assume, in specie, che, nella decisione della Corte territoriale, si sarebbe attribuito rilievo determinante alle propalazioni provenienti dall’indicata fonte dichiarativa ancorché la stessa risultasse non credibile e il narrato in concreto veicolato difettasse di riscontri estrinseci, essendosi illegittimamente utilizzati a tal fine elementi già precedentemente acquisiti dagli investigatori.
2.15. Con il secondo motivo del ricorso de quo, l’anzidetto difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., vizio di motivazione per illogicità in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1.
Sostiene segnatamente che, nella decisione impugnata, l’intraneità al sodalizio dell’imputato sarebbe stata fondata, di fatto, sulle sole dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia COGNOME NOME, non assurgendo al rango di riscontri estrinseci, valevoli a dimostrare che COGNOME NOME fosse uno stabile acquirente della droga commercializzata dal gruppo e che, in qualche occasione, avesse provveduto anche alla sua custodia, né la trasferta a Napoli da questi effettuata, né tantomeno l’avvenuto sequestro di un quantitativo di stupefacente trovato nella disponibilità di COGNOME NOME, posto che avrebbero natura congetturale sia la finalità della trasferta, individuata dai giudicanti nell’acquisto di una partita di droga, sia le mansioni svolte successivamente al trasporto dal COGNOME, individuate, dai predetti, nella custodia della res per conto dell’affiliato.
2.16. Con il terzo e con il quinto motivo del ricorso in oggetto, il difensore dello COGNOME si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Assume, in particolare, che, con la decisione della Corte di appello, sarebbe stata illegittimamente affermata la partecipazione dell’imputato al sodalizio finalizzato al traffico di droga, non avendo costui fornito alcun apporto stabile al gruppo e non essendo emersa in alcun modo la sua consapevolezza di partecipare a una struttura organizzata, ove si consideri che, di fatto, COGNOME NOME intrattenne rapporti solo con l’imputato in procedimento connesso COGNOME NOME e con terzi non imputati, non conseguì alcuna stabile retribuzione, non era legittimato ad attingere alla cassa comune e non riceveva ordini da soggetti sovraordinati, sicché avrebbe dovuto essere considerato più correttamente uno stabile acquirente di dosi di crack, destinate al suo uso personale.
2.17. Con il quarto motivo del ricorso in trattazione, il difensore lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., vizio di motivazione per carenza in punto di qualificazione giuridica dei fatti.
Rileva, in specie, che, nella decisione della Corte territoriale, si sarebbe immotivatamente negata la riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, ancorché difettassero elementi concreti per ritenere che ciascuna delle trasferte a Napoli effettuate dallo COGNOME fosse finalizzata all’approvvigionamento di stupefacente e che costui fosse consapevole della consistente rete di distribuzione di cui era dotato il sodalizio.
2.18. Con il sesto e ultimo motivo di ricorso, il patrocinatore si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 114 cod. pen. e di vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di denegata concessione dell’attenuante del contributo di minima importanza.
Osserva, in particolare, che, con la decisione impugnata, sarebbe stata illegittimamente ed irragionevolmente rigettata la richiesta di concessione della diminuente de qua, in quanto darebbe luogo ad un’inammissibile interpretati° abrogans della norma evocata l’argomento a fondamento del provvedimento reiettivo, costituito dalla già avvenuta valutazione della specifica rilevanza del contributo ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi presentati nell’interesse di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME e di COGNOME NOME sono manifestamente infondati per le ragioni che, di seguito, si espongono.
2. Del tutto infondato è l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui il suo difensore lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 125 e 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1, sostenendo, per un verso, che, nella decisione impugnata, per effetto del travisamento della prova dichiarativa proveniente dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME e degli esiti delle ulteriori attività investigative, si sarebbe erroneamente indicata la durata dell’affiliazione al sodalizio di COGNOME NOME, posto che i contatti d quest’ultimo con il gruppo non si sarebbero protratti dal gennaio del 2015 al dicembre del 2016, ma avrebbero avuto durata più contenuta, compresa tra il febbraio e l’aprile di tale ultimo anno; per altro verso, che al predetto imputato sarebbe stato attribuito anche il ruolo di preposto al trasporto della droga nel luogo di spaccio, ancorché smentissero l’assunto le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME NOME, secondo cui le mansioni di corriere furono svolte, fino al marzo del 2016, da COGNOME NOME e, in seguito, da COGNOME NOME; per altro verso ancora, che non avrebbe potuto essere intesa come dimostrativa dell’affiliazione al gruppo dell’imputato la riferita sua partecipazione alla spedizione punitiva in danno di COGNOME NOME, non essendosi chiarito il ruolo svolto, nell’occasione, dal predetto; da ultimo, che risulterebbe distonico, nell’ottica del ritenuto inserimento nel sodalizio di COGNOME NOME, quanto riferito dal citato collaboratore di giustizia in merito alla facolt riconosciuta a quest’ultimo, di approvvigionarsi direttamente in Napoli dello stupefacente da destinare allo spaccio, in funzione dell’abbattimento dei costi di acquisto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ritiene in proposito il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza della Corte di appello, nella parte in cui afferma l’intraneità di COGNOME NOME al sodalizio criminoso finalizzato al traffico di stupefacenti indicato al capo 1 della rubrica, non soffra delle ipotizzate criticità, sussistendo, a corredo della decisione, un adeguato impianto motivazionale, caratterizzato, peraltro, da linearità e logicità, nel quale risultano compiutamente esposti i convergenti elementi probatori che, nel rispetto dei principi elaborati, nella subiecta materia, dalla giurisprudenza di legittimità, giustificano l’affermata configurabilità, nei confronti del predetto, dell’indicato delitto-mezzo.
In particolare, è a dirsi che, ai fini della legittimità della decisione, poc rileva che il ruolo di stabile acquirente di droga dalla consorteria capeggiata dai fratelli COGNOME NOME e COGNOME NOME sia stato rivestito dall’imputato per un
lasso temporale non eccedente i tre mesi, essendosi succedute le forniture con cadenza pressoché settimanale ed avendo avuto ad oggetto le stesse quantitativi consistenti di sostanze stupefacenti, sicché trova applicazione il consolidato insegnamento della Suprema Corte, secondo cui «Integra la condotta di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti la disponibilità all’acquisto costante della sostanza di cui il sodalizio fa commercio, ove, unitamente ad altri indici comprovanti l’inserimento organico nella associazione, determini uno stabile rapporto, ancorché non esclusivo, con questa» (così, di recente, Sez. 4, n. 3398 del 14/12/2023, COGNOME, Rv. 285702-01).
Per altro verso, prova con certezza lo svolgimento, da parte dell’imputato, anche del ruolo di corriere della droga acquistata sulla piazza di Napoli, nel più breve periodo successivo all’arresto di tale COGNOME (metà marzo 2016aprile 2016), il contenuto delle intercettazioni coevamente svolte dagli inquirenti, del pari poste a fondamento dell’affermata intraneità al sodalizio del predetto.
Orbene, a fronte dell’accertato espletamento, da parte di COGNOME NOME, di ruoli del tipo di quelli indicati, non può di certo ritenersi indicativa della s estraneità al sodalizio la sola circostanza che talvolta il predetto abbia acquistato direttamente sulla piazza di Napoli lo stupefacente da rivendere, poi, nell’agro poNOMEo, trovando giustificazione tali diverse modalità di reperimento della merce nell’esigenza di contenere il relativo prezzo di acquisto, come, peraltro, ragionevolmente affermato dalla Corte territoriale, che ha, sul punto, recepito i dicta del collaboratore di giustizia COGNOME NOMENOME NOME predetto fonte dichiarativa intrinsecamente credibile e valutando il suo narrato pienamente ‘E attendile:
Né può ritenersi meritevole di positivo apprezzamento la censura imperniata sul diverso significato che, in tesi, avrebbe dovuto attribuirsi al coinvolgimento dell’imputato nella spedizione punitiva in danno di tale NOME NOME, sollecitandosi, con tale lamentazione, una rivalutazione in fatto, radicalmente preclusa in sede di giudizio di legittimità.
Inammissibile perché fondato su una doglianza riversata in fatto è anche l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui il suo difensore si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 125 e 192 cod. proc. pen. e di vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine ai delitti di illecita cessione di stupefacenti di cui ai ca 25 e 28, sostenendo che, nella decisione della Corte territoriale, in ragione della
mancata effettuazione di sequestri di droga, si sarebbero ascritte al predetto plurime cessioni di sostanze di tipologia non specificata, verificatesi alcune tra il 13/06/2018 e il 14/06/2018 (quelle indicate al capo 25) e altre tra il 05/05/2018 e il 03/08/2018 (quelle menzionate al capo 28), in base al solo contenuto di intercettazioni telefoniche di significato equivoco, inidonee, come tali, a provare che, a seguito delle telefonate ricevute, l’imputato avesse effettivamente consegnato dosi di sostanze stupefacenti ai pretesi acquirenti, come imposto, peraltro, dal principio secondo cui la penale responsabilità dev’essere provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Ritiene il Collegio che le doglianze fatte valere con il motivo di cui trattasi non colgano nel segno.
Si osserva, infatti, che la decisione della Corte di appello di Roma, nella parte confermativa dell’affermazione di colpevolezza dell’imputato, è immune dalle censure di fatto articolate, atteso che risultano esplicitate, con argomentato contenutisticamente congruo, oltre che lineare, coerente e logico, le ragioni della ritenuta ascrivibilità al predetto di una stabile attività di spaccio di stupefacent protrattasi dal maggio all’agosto del 2018 e che ha visto come acquirenti delle sostanze di volta in volta commercializzate il coimputato COGNOME NOME, tale NOMENOME NOME NOME identificato, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME.
Nello specifico, i giudici di secondo grado hanno effettuato un’interpretazione del materiale probatorio in tutto aderente a quella operata, in precedenza, dal Tribunale di Cassino, attribuendo alle brevi conversazioni captate il significato esplicitato in sentenza in ragione dell’elevato numero di telefonate registrate in entrata sull’utenza in uso all’imputato, aventi ad oggetto la richiesta di consegna di una merce di cui costui notoriamente disponeva, dell’utilizzo, nel corso di detti colloqui, di un linguaggio criptico implicante il ricorso a parole il cui significa risultava chiaramente “fuori contesto” e dei frequenti riferimenti alla qualità della merce da acquistare o già acquistata in precedenza (così, in particolare, alle pagg. 98-100 della sentenza oggetto d’impugnativa).
Appare, quindi, evidente che, pur difettando, nel caso di specie, sequestri di droga da parte degli organi inquirenti, la decisione della Corte di appello sia immune dai denunziati profili di criticità, posto che i fattori dalla stess valorizzati risultano ragionevolmente dimostrativi dell’effettiva natura di quanto commercializzato da COGNOME NOME.
D’altro canto, come già evidenziato, la Suprema Corte, nel suo più ampio consesso, ha autorevolmente affermato che «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in
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relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità» (in tal senso: Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01).
Alla stregua di quanto evidenziato, devono conseguentemente ritenersi insussistenti sia il dedotto vizio motivazionale, sia la prospettata violazione ed erronea applicazione delle indicate norme processuali.
4. Inammissibile perché fondato su una doglianza bversata in fatto è il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui il suo difensore lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 13, rilevando che, nella decisione impugnata, in conseguenza della mancata effettuazione di sequestri di droga, si sarebbero ascritte al predetto plurime cessioni di hashish e di cocaina, avvenute tra il 16/05/2018 e 1’08/07/2018, sulla base delle sole risultanze di intercettazioni telefoniche di contenuto generico, in quanto illogica risulterebbe la valorizzazione, a sostegno della propugnata interpretazione dei colloqui captati, del dato di fatto costituito dalla cessione di una dose di hashish, effettuata, il successivo 12/07/2018, dal coimputato COGNOME NOME in favore di tale NOME COGNOME, cui si sarebbe, peraltro, sommato il mancato apprezzamento della plausibilità della ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa nell’atto di appello, con conseguente violazione del principio secondo cui la penale responsabilità dev’essere provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ritiene in proposito il Collegio, diversamente opinando, che la decisione del giudice di secondo grado, nella parte confermativa dell’affermazione di colpevolezza del predetto imputato, sia del tutto immune dalle indicate censure, in quanto risultano puntualmente esposte, con ordito argomentativo nient’affatto illogico, le ragioni della ritenuta ascrivibilità al predetto di una coNOMEuativ attività di spaccio di stupefacenti in favore di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di tali NOME NOME NOME non NOME identificati, oltre che dei coimputati COGNOME NOME e COGNOME NOME, militando in tal senso la ragionevole interpretazione delle risultanze della copiosa attività captativa svolta, disvelatrice di interlocuzioni dal significato, invero, tutt’altro che cripti la ripetitività dei contatti e delle formule utilizzate daicolloL e l’acclarata cessione di una dose di hashish, effettuata il 12/07/2018, con modalità sovrapponibili a quelle praticate dal COGNOME, dal citato NOME in favore
di tale NOME COGNOME (così, in specie alle pagg. 88-90 della sentenza impugnata).
Devono, pertanto, ritenersi insussistenti i dedotti profili di criticità, n riscontrandosi, nella decisione assunta dalla Corte di appello di Roma, né vizi motivazionali, né, tantomeno, la violazione o l’erronea applicazione delle menzionate norme processuali.
Può, invece, ragionevolmente sostenersi che, con le doglianze fatte valere con il motivo in disamina, si sia, di fatto, richiesta, in maniera surrettizia un’inammissibile rivalutazione delle prove e, in specie, delle risultanze dell’attività di intercettazione, di cui si è invocata un’interpretazione alternativa quella effettuata dalla Corte territoriale.
Deve, purtuttavia, rilevarsi che, per giurisprudenza costante di questa Suprema Corte, l’interpretazione del linguaggio utilizzato dai soggetti intercettati costituisce questione di fatto, rimessa al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se – come nella vicenda che ci occupa – risulta ispirata a criteri di logicità.
5. Privo di pregio è anche il secondo motivo del ricorso in oggetto, con cui l’indicato difensore si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 110 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza e illogicità in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 13, assumendo che, nella decisione impugnata, si sarebbe illegittimamente ed illogicamente affermato che COGNOME NOME, benché concorrente nell’illecita attività di spaccio con il cognato COGNOME NOME e con il nipote COGNOME NOME, avrebbe, in due occasioni, ceduto ai predetti coimputati sostanze di analoga natura.
Reputa il Collegio che, contrariamente a quanto ipotizzato nel ricorso, non sia riscontrabile, nell’ordito argomentativo a corredo della decisione di condanna dell’imputato, la denunziata illogicità, ben potendo verificarsi, in un contesto criminale estremamente fluido, com’era quello in cui gravitavano COGNOME NOME e i suoi affini COGNOME NOME e COGNOME NOME, che, in qualche occasione, un imputato cooperi con taluni coimputati nello svolgimento dell’attività di spaccio e che, in altre occasioni, funga, invece, da fornitore, ne confronti dei predetti, di quantitativi di stupefacenti da commercializzare al minuto.
Le esposte considerazioni portano a ritenere radicalmente insussistente anche la denunziata inosservanza delle evocate norme processuali, di cui, per converso, si reputa sia stata effettuata corretta e rituale applicazione.
6. Del tutto infondato è, infine, anche il terzo motivo del ricorso, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 81, 132, 133 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione per carenza e illogicità in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, assumendo che, nella decisione impugnata, la quantificazione della pena sarebbe avvenuta in maniera illegittima ed irragionevole, in conseguenza del fatto che l’individuazione, talvolta, nella cocaina e, talaltra, nell’hashish della tipologia delle sostanze cedute sarebbe avvenuta in maniera del tutto congetturale.
Ritiene il Collegio che la doglianza dedotta con il motivo in disamina sia priva di pregio, in quanto, a ben vedere, i giudici di appello, in esito alla diversa qualificazione dei fatti rubricati al capo 13 in termini di spaccio di lieve entit hanno rideterminato in senso più mite il trattamento sanzionatorio, avendo riguardo, non alla tipologia dello stupefacente di volta in volta commercializzato, ma all’intensità del dolo che ha animato la condotta del soggetto agente, al ruolo di rilievo da costui rivestito nello svolgimento dell’illecita attività e alla allarmante personalità, quale desumibile dai precedenti da cui risulta gravato.
Inammissibile perché fondato su una doglianza · Vversata in fatto è il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui il suo difensore si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 187, 192, 533 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in riferimento al disposto degli artt. 6 Direttiva UE 2016/343 e 27 Cost. e del vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 14, sostenendo che, nella decisione della Corte territoriale, in conseguenza della mancata effettuazione di sequestri di droga, si sarebbe ascritta al predetto la cessione di cocaina in favore di COGNOME NOME, perfezionatasi il 25/06/2018, in base al solo contenuto di una comunicazione telefonica intercettata, di significato non univoco, cui si era ritenuto avesse fornito riscontro estrinseco la mancanza di elementi di segno contrario nelle ulteriori captazioni di interesse riguardanti l’uomo, nella totale assenza di un vaglio di plausibilità della ricostruzione alternativa proposta dalla difesa e in palese violazione della presunzione di non colpevolezza, del principio secondo cui la penale responsabilità dev’essere provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”e della regola, di fonte sovranazionale, in forza della quale la
pubblica accusa ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi del fatto di reato e la loro riconducibilità all’imputato.
Ritiene in proposito il Collegio che la Corte territoriale, contrariamente a quanto dedotto, abbia motivato l’affermata colpevolezza di COGNOME NOME in ordine al delitto-fine di spaccio di stupefacenti perfezionatosi il 25/06/2018, effettuando una lettura conforme a criteri di logicità, oltre che rispettosa della loro sequenza cronologica, delle conversazioni telefoniche intercettate, intercorse tra COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e il predetto, in esito alla quale ha, poi, ragionevolmente concluso che fosse intervenuta la consegna della sostanza all’acquirente in forza della condivisibile valorizzazione del dato, tutt’altro che neutro, costituito dall’assenza di comunicazioni telefoniche successive, che, invece, verosimilmente si sarebbero susseguite ove, per qualche motivo, non vi fosse stata la traditio rei (così, in specie alle pagg. 90-91 della sentenza impugnata).
Peraltro, non può non rilevarsi che, per giurisprudenza costante di questa Suprema Corte, l’interpretazione del linguaggio utilizzato dai soggetti intercettati costituisce questione di fatto, rimessa, in quanto tale, alla valutazione del giudice di merito, la quale, se ispirata a criteri di logicità, si sottrae al sindacato legittimità.
L’impianto motivazionale in oggetto appare altresì rispettoso dell’evocata normativa processuale, perfettamente in linea con le disposizioni di rango costituzionale e sovranazionale di cui si è ipotizzata la violazione e conforme al principio secondo cui la penale responsabilità dev’essere provata “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Privo di pregio è anche il secondo motivo del ricorso de quo, con cui l’indicato difensore lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 132, 133 cod. pen. e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione per carenza e illogicità in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio, assumendo che, nella decisione impugnata, la pena sarebbe stata quantificata in maniera illegittima ed irragionevole, per effetto dell’apodittica individuazione nella cocaina del tipo di sostanza spacciata.
Osserva al riguardo il Collegio che la doglianza fatta valere con tale motivo di ricorso non può trovare accoglimento, ostandovi la mancata pregressa prospettazione al giudice di secondo grado della questione ad essa sottesa.
E invero, con i motivi di appello si era chiesta esclusivamente l’assoluzione di NOME da tutti i delitti ascrittigli (ossia dal delitto-mezzo, di cui al cap 1 e dai molteplici delitti-fine, di cui ai capi 7 e 14), sicché non può essere fatt valere in questa sede la diversa questione relativa al trattamento sanzionatorio
riservatogli, trovando applicazione il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui «Non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello» (così, ex multis, Sez. 2, n. 29707 dell’08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316-01, Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, COGNOME, Rv. 269745-01 e Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, COGNOME Gauthier, Rv. 255577-01).
9. Inammissibile perché fondato su una doglianza9iersata in fatto è l’unico motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui il suo difensore si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, dell’inosservanza della norma processuale di cui all’art. 192 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine ai delitti di illecita cessione di stupefacenti di cui al capo 12, sostenendo che, nella decisione impugnata, stante la mancata effettuazione di sequestri di droga, si sarebbero ascritte al predetto le cessioni di hashish perfezionatesi il 07/07/2018 e 1’08/07/2018 in forza delle sole risultanze di captazioni telefoniche di contenuto vago, mercè la valorizzazione, a sostegno della proposta interpretazione delle interlocuzionì, dell’accaduto del successivo 12/07/2018, ossia della cessione di analoga sostanza stupefacente in favore di NOME COGNOME, senza vagliare in alcun modo la plausibilità della ricostruzione alternativa prospettata dalla difesa nell’atto di appello.
Ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la decisione della Corte territoriale sia, nella parte confermativa dell’affermazione di colpevolezza dell’imputato, del tutto immune dalle dedotte censure, essendosi compiutamente esposte, con argomentato lineare e coerente, basato su un’interpretazione ragionevole delle risultanze dell’attività intercettiva svolta, corroborata dall’univoca valenza probatoria di un accadimento verificatosi con assoluta certezza (la cessione avvenuta in data 12/07/2018), le ragioni della ritenuta ascrivibilità al predetto di una coNOMEuativa attività di spaccio d stupefacenti in favore di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME e di tale NOME non NOME identificato, sicché debbono ritenersi insussistenti i dedotti profili di criticità, involgenti, in tesi, la configurabilità del delitto coNOMEuato in contestazione e l’impianto argomentativo posto a corredo dell’affermata sua riconducibilità alla persona di COGNOME NOME (così, in specie alle pagg. 85-87 della sentenza impugnata).
Le esposte considerazioni inducono, quindi, a concludere che, con l’agitata doglianza, si sia avanzata, a ben vedere, un’inammissibile richiesta di rivalutazione delle prove, di cui si è caldeggiata, di fatto, una lettura alternativ alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale.
È tuttavia ben noto che il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, essendogli preclusa, in radice, la rivalutazione del fatto.
10. Totalmente destituito di fondamento è il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di NOME, con cui il suo difensore lamenta l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., assumendo che la decisione della Corte territoriale, nella parte dichiarativa della penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1, sarebbe inficiata da un evidente difetto di correlazione tra il fatto oggetto di contestazione (indicato nella detenzione della droga per conto del sodalizio criminoso e nella vendita al dettaglio di parte di essa) e la condotta ritenuta, di fatto, integrante l’illecito (individuata, in tesi, nella detenzione di un’arma d sparo per conto della consorteria), posto che le propalazioni del collaboratore di giustizia COGNOME NOME riguardanti i compiti del prevenuto nel settore degli stupefacenti sarebbero del tutto generiche e prive, inoltre, di riscontri estrinseci.
Ritiene il Collegio che la doglianza fatta valere con tale motivo di ricorso non meriti positivo apprezzamento.
Ciò perché essa si caratterizza per una palese genericità estrinseca o aspecificità, avendo la Corte di appello di Roma in precedenza disatteso un motivo di gravame con cui era stata prospettata la medesima lamentazione.
In particolare, i giudici di secondo grado hanno correttamente posto in rilievo (in specie, alle pagg. 53-54 della decisione assunta) che le dichiarazioni eteroaccusatorie provenienti dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME, a termini delle quali l’imputato sarebbe stato preposto alla custodia dello stupefacente nell’interesse del sodalizio criminoso e avrebbe provveduto, talvolta, alla sua commercializzazione al minuto, convergono nel delinearne l’intraneità alla struttura associativa con l’accertata disponibilità del predetto a custodire armi nell’interesse del gruppo e a mettere a disposizione la propria abitazione per i summit che si rendevano necessari e con la documentata corresponsione, in suo favore, di un supporto economico in data successiva a una carcerazione.
Con tale ordito argomentativo non si confronta, purtuttavia, l’azionata impugnativa che, in parte qua, risulta meramente riproduttiva delle censure fatte
valere illo tempore in sede di merito, senza formulare controdeduzioni valevoli a superare gli argomenti spesi per confutare le prospettazioni contenute nell’atto di appello.
Deve, però, rilevarsi che, per consolidata acquisizione della giurisprudenza di legittimità, risultano affetti da aspecificità i motivi di doglianza con cui, a fron di un argomentato esauriente, qual è quello dianzi riportato, si ripropongono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame.
La mancanza di specificità del motivo ricorre, infatti, tanto nel caso della sua genericità, intesa come indeterminatezza della doglianza, quanto in quello del difetto di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità del gravame (così, ex multis, Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521-01, nonché, in precedenza, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710-01, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 259425-01, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01 e Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849-01).
11. Privo di pregio è anche il secondo motivo del ricorso in trattazione, con cui il difensore si duole dell’inosservanza della norma processuale di cui all’art. 649 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per travisamento della prova nella parte in cui è stata rigettata la deduzione difensiva fondata sulla violazione del principio di “ne bis in idem” in sede di affermata colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di cui al capo B, sostenendo che, nella decisione impugnata, si sarebbe illegittimamente ed immotivatamente circoscritta alla sola pronunzia relativa alla pistola Beretta, TARGA_VEICOLO, TARGA_VEICOLO, recante matricola TARGA_VEICOLO, l’operatività del divieto di “bis in idem”, derivante dalla definitività dell’assoluzione dell’imputato, medio tempore disposta dalla Corte di appello di Roma (sent. n. 5000/17 Reg. Sent.), senza estenderla al fucile di marca e calibro non accertati, sebbene si trattasse di armi della stessa natura, la cui illecita detenzione era stata accertata nelle stesse condizioni di tempo e di luogo.
Reputa il Collegio che la doglianza agitata con il motivo di ricorso de quo sia palesemente irricevibile, ostando in radice all’operatività del divieto di bis in idem la diversità del bene costituente oggetto del delitto di illecita detenzione di arma da sparo per cui è giudizio e la non coincidenza del luogo in cui lo stesso era detenuto con quello di occultamento della menzionata pistola Beretta, per il cui possesso non autorizzato è intervenuta sentenza di assoluzione.
Costituisce, infatti, autorevole insegnamento della Suprema Corte, cui in questa sede s’intende dare coNOMEuità, quello secondo cui «Ai fini della preclusione connessa al principio del “ne bis in idem”, l’identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona» (così, ex multis, Sez. 1, n. 41867 del 2630602024, COGNOME, Rv. 287251-01).
12. Manifestamente infondato è, ancora, il terzo motivo del ricorso de quo, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti di cui al capo 1, rilevando che, nell decisione impugnata, si sarebbe illegittimamente affermata la sua intraneità alla struttura criminosa in base alle sole propalazioni del collaboratore di giustizia COGNOME NOME – secondo cui, in seguito al proprio arresto, NOME avrebbe assunto il ruolo di custode dell’hashish e della cocaina di cui il gruppo aveva la disponibilità – in carenza di qualsiasi riscontro estrinseco, posto che non sarebbe riconducibile al predetto il possesso del fucile, mai rinvenuto, di cui al capo B, non gli sarebbe contestato il coinvolgimento in alcun delitto-fine in materia di stupefacenti, non emergerebbero a suo carico elementi ulteriori dall’attività captativa svolta e si dovrebbe riconoscere, da ultimo, scarso valore all’accertato possesso, da parte sua, di un ridottissimo quantitativo di hashish.
Ritiene il Collegio che neanche la doglianza fatta valere con tale motivo di ricorso colga nel segno.
Ciò perché, come già posto in rilievo in occasione dello scrutinio del primo motivo dell’impugnativa in disamina, l’affiliazione alla consorteria criminosa di NOME, contenuta nel più breve periodo compreso tra l’estate del 2015 e il maggio del 2016, risulta ragionevolmente inferita dai giudici di appello da plurimi e convergenti elementi probatori, costituiti, in particolare, dalle propalazioni del menzionato collaboratore di giustizia, a termini delle quali il predetto era investito del compito di custodia dello stupefacente per conto del gruppo e ne effettuava, talvolta, la vendita al minuto, nonché dall’accertata sua disponibilità a custodire armi dell’organizzazione e a mettere a disposizione la propria abitazione per incontri con altri affiliati e dalla documentata corresponsione, in suo favore, di un supporto economico nei periodi di carcerazione.
Orbene, l’indicazione dei comprovati elementi de quibus, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, rende l’ordito argomentativo a corredo della
decisione tutt’altro che carente, conformandJquest’ultima ai consolidati principi da tempo elaborati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo al delitto associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
13. Inammissibile perché fondato su una doglianza GLYPH ersata in fatto è, poi, il quarto motivo del ricorso, con cui ci si duole di vizio di motivazione per carenza in punto di ritenuta colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di illecit detenzione di arma da sparo cui al capo B, assumendo che, nella decisione della Corte territoriale, non sarebbe sufficientemente argomentata l’affermata riconducibilità al predetto del fucile, mai rinvenuto, il cui possesso non autorizzato è posto a fondamento della condanna, atteso che il narrato, oltremodo generico, proveniente dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME non troverebbe riscontro alcuno in ragione dell’esito negativo dell’eseguita perquisizione domiciliare.
Ritiene in proposito il Collegio che, nella decisione della Corte territoriale, diversamente da quanto dedotto, siano esplicitate con sufficiente chiarezza (in specie, alle pagg. 50-52) le ragioni della ritenuta attribuibilità al NOME della disponibilità del fucile, di marca e calibro imprecisati, mai rinvenuto dagli inquirenti, essendosi sostenuto che fornisce positivo riscontro alle precise e dettagliate dichiarazioni eteroaccusatorie rese dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME l’inequivoco contenuto della conversazione tra presenti intercettata, in ambientale, alle ore 4,58 del 24/02/2016, posto che, nel corso della stessa, l’imputato in procedimento connesso COGNOME NOME, alla presenza di COGNOME NOME, di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, ebbe a fare espresso riferimento al fucile di NOME nel disquisire di un possibile attentato da realizzare nei confronti di COGNOME NOME.
D’altro canto, i giudici di secondo grado hanno avuto cura di fornire logica giustificazione anche al fattore negativox costituito dal mancato rinvenimento dell’arma in esito ai controlli eseguiti presso l’abitazione dell’imputato, avendo chiarito che, in occasione del primo accesso, avvenuto il 18/02/2016, i í arabinieri effettuarono la mera identificazione dei presenti e che, in occasione del secondo, datato al 24/02/2016, non estesero le operazioni di perquisizione al ripostiglio ubicato sul ballatoio prospiciente l’appartamento, al cui interno l’arma era stata nel frattempo occultata.
Con tale impianto motivazionale non si confronta, peraltro, l’azionata impugnativa che, in parte qua, risulta, oltretutto, riproduttiva delle censure fatte valere illo tempore in sede di merito, non rinvenendosi la formulazione di controdeduzioni valevoli a superare gli argomenti utilizzati per confutare le prospettazioni contenute nell’atto di appello.
Tanto induce a concludere che la doglianza fatta valere con il motivo in trattazione, oltre che dyersata in fatto, è caratterizzata anche da un’Assoluta aspecificità, in quanto, a fronte di un argomentato esauriente, qual è quello dianzi riportato, si ripropongono, tal quali, le ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame.
14. Destituito di fondamento è, infine, anche il quinto e ultimo motivo del ricorso presentato nell’interesse del predetto imputato, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dagli artt. 74, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 e 133 cod. pen. e vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di ritenuta configurabilità, con riguardo al più grave delitto associativo, dell’aggravante della disponibilità di armi e di determinazione del trattamento sanzionatorio, rilevando che, nella decisione impugnata, a fronte del mancato rinvenimento del fucile di cui il NOME, in tesi, avrebbe avuto la disponibilità, si sarebbe illegittimamente ed illogicamente riconosciuta la configurabilità circostanza prevista della citata disposizione normativa, con conseguente erronea determinazione del trattamento sanzionatorio.
Rileva al riguardo il Collegio che le conclusioni cui si è pervenuti in sede di scrutinio del precedente motivo di ricorso, ovvero l’accertata detenzione, da parte dell’imputato, di un fucile di marca e calibro sconosciuti e l’acclarata riferibilità al gruppo della disponibilità dell’arma, concretamente attestata dal contenuto della menzionata intercettazione ambientale, consentono di ritenere destituite di fondamento le doglianze prospettate con il motivo in trattazione, risultando legittimamente riconosciuta, con riguardo al delitto associativo, la contestata aggravante e, per l’effetto, correttamente determinato il trattamento sanzionatorio.
15. Del tutto infondato è il primo motivo del ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME, con cui il suo difensore si duole di violazione di legge e di vizio di motivazione in punto di ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore di giustizia COGNOME NOME, assumendo che, nella decisione impugnata, si sarebbe attribuito ad esse rilievo determinante benché la fonte dichiarativa da cui promanavano risultasse non credibile e il narrato dalla stessa veicolato difettasse di riscontri estrinseci.
Ritiene in proposito il Collegio che la doglianza fatta valere con tale motivo al netto dell’ipotizzata assenza di riscontri, deduzione il cui scrutinio avverrà in sede di disamina del secondo motivo – sia connotata da un’assoluta genericità intrinseca.
Ciò perché, a fronte di un argomentato tutt’altro che illogico (rinvenibile, in specie, alle pagg. 46-49 della sentenza impugnata) – con cui s’è avuta cura di evidenziare la credibilità della fonte dichiarativa e l’attendibilità del suo narrato positivamente apprezzando la genuinità dell’una e la precisione, la linearità e la coerenza dell’altro – le lamentazioni, di fatto, dedotte si sono sostanziate in un’astratta critica della decisione, sul punto, della Corte di appello, totalmente carente dell’indicazione di elementi specifici valevoli a minarne la fondatezza.
16. Privo di pregio è anche il secondo motivo del ricorso in trattazione, con cui il menzionato difensore lamenta vizio di motivazione per illogicità in punto di ritenuta colpevolezza del proprio assistito in ordine al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, sostenendo che, nella decisione impugnata, l’intraneità del predetto sarebbe stata affermata in base alle sole dichiarazioni del collaboratore COGNOME NOME, in quanto non avrebbero potuto assurgere al rango di riscontri estrinseci, idonei a dimostrare che COGNOME NOME fosse uno stabile acquirente della droga commercializzata dal gruppo e che, talvolta, provvedesse anche alla sua custodia, né la trasferta a Napoli dallo stesso effettuata, né tantomeno l’avvenuto sequestro di un quantitativo di stupefacente trovato nella disponibilità di COGNOME NOME, posto che avrebbero natura congetturale sia la finalità del viaggio, individuata dai giudicanti nell’acquisto di un non lieve quantitativo di sostanze, sia le mansioni svolte, in seguito al trasporto, dal COGNOME medesimo, individuate, dai predetti, nella custodia della res per conto dell’affiliato.
Ritiene il Collegio che anche la doglianza fatta valere con tale motivo di ricorso non colga nel segno.
Ciò perché, contrariamente a quanto dedotto, nella sentenza della Corte territoriale – e, in particolare, alle pagg. 69-71 – sono state esplicitate, co sufficiente chiarezza, le ragioni per le quali si è riconosciuta al viaggio a Napoli dell’imputato e al successivo sequestro di stupefacenti presso l’abitazione del conoscente COGNOME NOME valenza di riscontro estrinseco al narrato del collaboratore di giustizia COGNOME NOMENOME essendosi evidenziato, per un verso, che lo COGNOME si era recato, con la propria auto, nel capoluogo campano per prendere in consegna una partita di droga, come attestava la circostanza che, nell’occasione, lo stesso era stato scortato dal sodale AVV_NOTAIO che, alla guida di un altro veicolo, l’aveva preceduto lungo il percorso a mo’ di “staffetta” e, per altro verso, che sussistevano plurime conversazioni telefoniche, intercettate subito dopo il rientro alla base dei predetti, all’evidenza indicative del coinvolgimento nella custodia dello stupefacente poco prima acquistato del COGNOME.
Con l’ordito argomentativo in oggetto non si confronta, tuttavia, l’azionata impugnativa che, sul punto, risulta riproduttiva delle censure già fatte valere precedentemente in sede di merito, non riscontrandosi la formulazione di controdeduzioni idonee a superare gli argomenti spesi per confutare le prospettazioni caratterizzanti l’atto di appello.
Quanto posto in rilievo consente di concludere per l’aspecificità anche della doglianza prospettata con il motivo in trattazione, posto che, a fronte di un argomentato esauriente, qual è quello sopra menzionato, si ripropongono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame.
17. Inammissibili perché basati su doglianze versate in fatto sono, ancora, il terzo e il quinto motivo del ricorso in trattazione, con i quali ci si duole violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, sostenendo che, con la decisione della Corte di appello, sarebbe stata illegittimamente affermata la partecipazione dell’imputato al sodalizio finalizzato al traffico di droga, atteso che costui non avrebbe fornito alcuno stabile apporto al gruppo e che non sarebbe emersa in alcun modo la sua consapevolezza di partecipare a una struttura organizzata, ove si consideri che il giovane intratteneva rapporti con il solo AVV_NOTAIO e con terze persone non imputate, che non era stabilmente retribuito dalla consorteria, che non era legittimato ad attingere alla cassa comune e che non riceveva ordini da soggetti sovraordinati, sicché avrebbe ben potuto essere considerato un mero stabile acquirente di dosi di crack, da destinare ad uso personale.
Reputa in proposito il Collegio, diversamente opinando, che l’affermata intraneità di COGNOME NOME al sodalizio criminoso facente capo ai fratelli COGNOME NOME e COGNOME NOME non abbia comportato l’illegittima applicazione della menzionata norma incriminatrice, risultando provato – come, peraltro, evidenziato dalla Corte di appello alle pagg. 68-74 della sentenza in disamina che il predetto, tra i mesi di maggio e di giugno del 2016, ebbe ad acquistare, in quattro occasioni, cospicue partite di droga dalla consorteria criminosa, sì da fornire ad essa un apprezzabile apporto e, in una circostanza, funse, altresì, da custode della merce, per il tramite del proprio conoscente COGNOME NOME.
Orbene, come già chiarito in sede di scrutinio del motivo di ricorso proposto nell’interesse del coimputato COGNOME NOME, la condotta partecipativa ad un’associazione finalizzata al traffico di droga può essere legittimamente inferita dalla disponibilità, manifestata dal soggetto agente, al costante acquisto della sostanza di cui il sodalizio fa commercio, ove ricorrano indici sintomatici ulteriori – nel caso di specie, l’attività di custodia pure espletata per conto del gruppo –
comprovanti l’esistenza di uno stabile rapporto del singolo con l’organismo plurisoggettivo.
18. Insuscettibile di positivo apprezzamento è anche il quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse dell’imputato dianzi indicato, con cui si lamenta vizio di motivazione per carenza in punto di qualificazione giuridica dei fatti, assumendo che, nella decisione in disamina, sì sarebbe immotivatamente negata la riqualificazione ai sensi dell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 309 del 1990, benché difettassero elementi concreti per ritenere che ciascuna delle trasferte a Napoli effettuate dal soggetto agente fosse finalizzata all’approvvigionamento di droga e che costui fosse consapevole della diffusione della rete di distribuzione di cui era dotato il sodalizio.
Ritiene al riguardo il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto, sussista nella decisione oggetto d’impugnativa un’adeguata esplicitazione delle ragioni a fondamento della denegata derubricazione, essendosi sostenuto, in maniera peraltro pienamente condivisibile, che ne impedivano l’effettuazione l’entità delle partite di droga che COGNOME NOME, di volta in volta, acquistava dal gruppo e che, talvolta, custodiva nell’interesse di esso e la piena consapevolezza, da parte sua, dell’ampiezza della rete di spaccio di cui si era dotato il sodalizio.
19. Manifestamente infondato è, da ultimo, anche il sesto motivo del ricorso de quo, con cui ci si duole di violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 114 cod. pen. e del vizio di motivazione per manifesta illogicità in punto di denegata concessione dell’attenuante del contributo di minima importanza, rilevando che, con la decisione impugnata, sarebbe stata illegittimamente ed irragionevolmente rigettata la richiesta di concessione di tale diminuente, atteso che l’argomento a fondamento del provvedimento reiettivo – costituito dalla già avvenuta valutazione della rilevanza del contributo ai fini della determinazione della pena – darebbe luogo ad un’inammissibile interpretatio abrogans della norma evocata.
Ritiene al riguardo il Collegio che la doglianza fatta valere con il motivo de quo sia insuscettibile di positivo apprezzamento, avendo chiarito, da tempo, la Suprema Corte che «La circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza non è compatibile con i reati associativi» (così, da ultimo, Sez. 1, n. 7188 del 10/12/2020, dep. 24/02/2021, COGNOME, Rv. 280804-02, nonché, in precedenza, Sez. 2, n. 17879 del 13/03/2014, COGNOME e altri, Rv. 260010-01, Sez. 2, n. 36538 del 21/09/2011, COGNOME e altri, Rv. 251146-01 e Sez. 6, n. 15086 dell’08/03/2011, COGNOME e altri, Rv. 249911-01).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che ciascuno dei ricorrenti versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30/09/2025