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Traffico di stupefacenti: il ruolo nell’associazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo contro un’ordinanza di custodia cautelare per partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti. La Corte ha stabilito che, per configurare la partecipazione, non è necessario un ruolo di vertice, ma è sufficiente un contributo costante, effettivo e apprezzabile, come quello di un tecnico specializzato nella coltivazione, che interagisce con i capi e assicura la redditività dell’attività illecita.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Traffico di Droga: Essere un Esperto Coltivatore Rende Complici?

La partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato grave che non richiede necessariamente di essere un capo o un organizzatore. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce come anche un contributo tecnico e operativo, se essenziale e stabile, possa integrare la piena partecipazione al sodalizio criminale, giustificando misure severe come la custodia cautelare in carcere.

I Fatti di Causa

Un individuo veniva raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di partecipare a un’associazione criminale dedita al traffico di droga e alla coltivazione di marijuana. L’indagato, tramite il suo difensore, presentava un’istanza di riesame al Tribunale competente, che però respingeva la richiesta, confermando la misura cautelare.

L’interessato decideva quindi di ricorrere in Cassazione, basando la sua difesa su due punti principali:

1. Travisamento della prova: Sosteneva che gli fosse stata erroneamente attribuita una conversazione intercettata in cui si parlava di come aumentare la percentuale di THC nella sostanza, affermazione che in realtà era stata fatta da un altro soggetto. Secondo la difesa, il Tribunale aveva minimizzato questo errore, liquidandolo come un semplice refuso.
2. Ruolo marginale: Affermava di aver svolto unicamente mansioni di semplice manodopera all’interno della piantagione, senza contatti con altri membri dell’associazione e senza fornire un contributo stabile e significativo al rafforzamento del gruppo criminale.

La Partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza e genericità. Gli Ermellini hanno evidenziato come la difesa non si sia confrontata criticamente con l’intero quadro probatorio raccolto, che andava ben oltre la singola conversazione contestata.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, dalle indagini emergevano elementi schiaccianti che delineavano un ruolo ben diverso da quello del semplice operaio. In particolare, le prove indicavano:

* Prestazione costante: L’opera dell’indagato presso la piantagione gestita dall’organizzazione era continua e non occasionale.
* Competenza specifica: L’individuo possedeva una particolare competenza nel settore della coltivazione, tale da renderlo una figura chiave.
* Contributo essenziale: Il suo apporto era fondamentale per la redditività dell’attività economica illegale del gruppo.
* Interazioni con i vertici: Aveva frequenti contatti e discussioni con i membri più importanti dell’organizzazione proprio sulle questioni relative alla coltivazione.

Le motivazioni della decisione

La Corte ha ritenuto che il ricorso fosse generico perché si limitava a contestare un singolo elemento (la conversazione erroneamente attribuita) senza attaccare il nucleo centrale del ragionamento del Tribunale, basato su una pluralità di risultanze investigative. La questione non era se l’indagato avesse pronunciato o meno quella specifica frase, ma se il suo comportamento complessivo dimostrasse un inserimento stabile e consapevole nella struttura criminale. Le prove raccolte, secondo la Corte, dimostravano in modo inequivocabile che il suo non era un contributo da mero “prestato d’opera”, ma un apporto qualificato e indispensabile per il successo dell’impresa criminale. Questo lo qualificava a pieno titolo come partecipe dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, giustificando ampiamente la misura cautelare.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per essere considerati partecipi di un’associazione criminale, non è necessario avere ruoli direttivi. È sufficiente fornire un contributo consapevole, stabile e materialmente apprezzabile alla vita e al rafforzamento del sodalizio. Nel caso di specie, la competenza tecnica nella coltivazione e le continue interazioni con i vertici hanno trasformato quello che la difesa voleva far passare per un semplice lavoro di manovalanza in una piena partecipazione al reato associativo. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, inoltre, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla cassa delle ammende, a causa della manifesta infondatezza delle sue argomentazioni.

Cosa è necessario per dimostrare la partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti?
Non è necessario avere un ruolo di comando. Secondo la Corte, è sufficiente fornire un contributo stabile, effettivo e apprezzabile all’esistenza e al rafforzamento dell’associazione criminale, che sia consapevole e volontario.

Svolgere un’attività di manodopera in una piantagione di cannabis è sufficiente per essere accusati di partecipazione all’associazione?
Dipende dalla natura del contributo. Se l’attività è costante, si possiede una competenza tecnica essenziale per la redditività dell’impresa illegale e si interagisce con i membri di spicco dell’organizzazione, allora non si tratta più di semplice manodopera ma di una vera e propria partecipazione al sodalizio.

Quali sono le conseguenze di un ricorso in Cassazione dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna di chi lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, il cui importo viene fissato dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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