Traffico di influenze illecite: la Cassazione traccia la linea di confine
La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, n. 29640 del 2025, offre un’importante occasione per approfondire il reato di traffico di influenze illecite, delineando con maggior precisione i confini tra questa fattispecie e le attività di mediazione e lobbying, che di per sé sono lecite. Comprendere questi limiti è fondamentale per operatori economici e professionisti.
Il caso: un’accusa di mediazione illecita
I fatti al centro del processo riguardavano un consulente accusato di aver promesso a un imprenditore di poter influenzare l’esito di una gara d’appalto, vantando strette relazioni con un alto funzionario pubblico. In cambio di questa sua presunta mediazione, il consulente aveva ricevuto una cospicua somma di denaro. Nei primi due gradi di giudizio, l’imputato era stato condannato per il reato previsto dall’art. 346-bis del codice penale.
L’imprenditore sosteneva di aver pagato il consulente nella convinzione che questi potesse effettivamente orientare la decisione del funzionario pubblico a suo favore. La difesa del consulente, invece, ha sempre sostenuto che la sua attività si fosse limitata a una consulenza strategica e che le sue relazioni fossero state millantate al solo scopo di ottenere l’incarico, senza una reale intenzione o possibilità di influenzare illecitamente il pubblico ufficiale.
La decisione della Suprema Corte sul traffico di influenze
La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di condanna. Gli Ermellini hanno stabilito che, per configurare il reato di traffico di influenze illecite, non è sufficiente la mera vanteria di una relazione influente con un pubblico ufficiale, né la sola ricezione di un compenso. È necessario che l’accusa fornisca la prova concreta che la mediazione fosse effettivamente finalizzata a compiere un’azione illecita e che l’agente avesse una reale intenzione di esercitare tale influenza.
Le motivazioni: quando la mediazione è reato?
La Corte ha lungamente argomentato sulla distinzione tra la mediazione lecita, come il lobbying, e quella illecita. Il punto cruciale, secondo la sentenza, risiede nell’oggetto dell’accordo tra il privato e il mediatore. Se l’accordo prevede l’esercizio di una pressione indebita sul pubblico ufficiale per il compimento di un atto contrario ai suoi doveri (es. favorire un concorrente in una gara), allora si rientra nell’alveo del penalmente rilevante. Al contrario, se l’attività di mediazione si limita a rappresentare legittimi interessi presso la pubblica amministrazione, senza alcuna promessa di corruzione, il fatto non costituisce reato.
L’elemento soggettivo nel traffico di influenze
Un altro aspetto fondamentale evidenziato dalla Cassazione è l’elemento soggettivo del reato. L’accusa deve dimostrare il dolo specifico, ovvero la consapevolezza e la volontà del mediatore non solo di ricevere un compenso, ma di utilizzarlo come prezzo per la sua influenza illecita. Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno ritenuto che le prove raccolte non fossero sufficienti a dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, questa specifica intenzione, lasciando aperto il dubbio che si trattasse di una mera millanteria finalizzata a ottenere un ingiusto profitto, fattispecie diversa e meno grave.
Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
Questa pronuncia rafforza il principio di tassatività della legge penale, richiedendo un rigore probatorio maggiore per le accuse di traffico di influenze. Per i professionisti e le imprese, il messaggio è chiaro: le attività di relazioni istituzionali e lobbying sono lecite se condotte nella trasparenza e nel rispetto della legalità. Diventano illecite nel momento in cui si basano su un patto occulto finalizzato a influenzare indebitamente le decisioni pubbliche. La sentenza impone quindi una netta distinzione tra chi vende legittime competenze e chi vende illecite influenze, reali o presunte.
Qual è la differenza fondamentale tra lobbying e traffico di influenze illecite?
La differenza risiede nell’oggetto e nelle modalità della mediazione. Il lobbying è un’attività trasparente e legittima di rappresentanza di interessi. Il traffico di influenze illecite, invece, si basa su un accordo occulto per esercitare una pressione indebita su un pubblico ufficiale in cambio di denaro o altri vantaggi, al fine di fargli compiere un atto contrario ai suoi doveri.
Perché la Cassazione ha annullato la condanna in questo caso specifico?
La condanna è stata annullata perché non è stata raggiunta la prova certa che l’intermediario avesse la reale intenzione di esercitare un’influenza illecita. La sola vanteria di relazioni influenti, senza elementi concreti che dimostrino l’esistenza di un patto finalizzato a un’azione illegale, non è sufficiente a integrare il reato.
Cosa deve dimostrare l’accusa per ottenere una condanna per questo reato?
L’accusa deve provare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’esistenza di un accordo illecito tra il mediatore e il privato. Deve dimostrare che il denaro o il vantaggio promesso fossero il corrispettivo per una mediazione finalizzata a influenzare indebitamente il pubblico ufficiale, e non semplicemente il compenso per un’attività di consulenza, per quanto spregiudicata.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 29640 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 29640 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025