Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31172 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31172 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 18/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 2 maggio 2023 dalla Corte di appello di Perugia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo B e per il rigetto del primo motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Perugia che, in riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Perugia, esclusa la ritenuta recidiva, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine ai fatti di di cui al capo A della rubrica (art. 640 e 61, n. 7 cod. pen.) in relazione alle condotte dalla numero 1
alla numero 18 e, per l’effetto, ha ridotto la pena inflitta al ricorrente ad anni due e mesi sei di reclusione ed euro 200 di multa. La medesima sentenza ha, inoltre, revocato l’interdizione dai pubblici uffici e confermato nel resto la sentenza di primo grado.
Va premesso che con la sentenza di primo grado il ricorrente era stato condannato alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione per il reato di truffa di cui al capo A) – per avere indotto i coniugi COGNOME NOME e COGNOME NOME a versargli nell’arco di un anno, dall’aprile 2015 al Marzo 2016, ingenti somme di danaro, prospettando loro falsamente lo svolgimento di plurime attività relative all’ottenimento del risarcimento dei danni fisici patiti dalla lo figlia NOME a seguito di un incidente stradale – e del reato di cui all’art. 346bis, commi secondo e quarto, cod. peri., così riqualificata l’originaria imputazione ai sensi dell’art. 346, comma secondo, cod. pen., in relazione alla condotta consistita nell’essersi fatto consegnare dai predetti coniugi la somma complessiva di 15.000 euro, destinata al consigliere della Corte d’appello AVV_NOTAIO, al fine di ottenere dal medesimo l’accelerazione della trattazione del procedimento pendente dinanzi al predetto Ufficio giudiziario, avente ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti al sinistro stradale di cui era stata vittima la figlia, risarcimento negato a seguito del giudizio di primo grado.
Deduce tre motivi di ricorso, specificando che gli stessi sono volti a ottenere l’annullamento della sentenza in relazione alle condotte contestate ai numeri da 19 a 21 del capo A) e in relazione alla condotta di traffico di influenze illecite di cui al capo B.
1.1 Con il primo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 545-bis e 598 cod. proc. pen. nonché dell’art. 95 d. Igs. n. 150 del 2022 in relazione all’omesso avviso all’imputato della possibilità di sostituzione della pena detentiva. Deduce il ricorrente che a seguito della riduzione del trattamento sanzionatorio, la Corte d’appello avrebbe dovuto dare avviso della possibilità di chiedere la sostituzione della pena detentiva, non trovando applicazione nel procedimento in esame, trattandosi di procedimento pendente alla data di entrata in vigore della riforma del 2022, il principio di diritto affermato dall Sezioni Unite Punzo. Ciò in quanto la nuova disciplina non era ancora entrata in vigore al momento della presentazione dell’atto di gravame e l’istanza di sostituzione della pena detentiva non poteva essere presentata con i motivi nuovi, che di per sé non sono idonei a devolvere al giudice dell’impugnazione punti diversi da quelli fissati con l’impugnazione principale.
1.2 Con il secondo motivo deduce il vizio di carenza assoluta di motivazione in relazione al giudizio di responsabilità in ordine al reato di cui al capo B dell’imputazione dal quale con l’atto di appello il ricorrente aveva chiesto di
essere assolto.
1.3 Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione degli articoli 346, comma secondo, 346-bis e 640 cod. pen., in relazione alla ritenuta continuità normativa del delitto di millantato credito corruttivo con quello di traffico d influenze illecite asserite, e non con quello di truffa. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale ha erroneamente riqualificato la condotta ascritta al capo B nel reato di traffico di influenze illecite e non in quello di truffa, trattandosi millanteria di relazioni inesistenti.
Con memoria trasmessa il 10 giugno 2024, il ricorrente ha depositato motivi aggiunti riferiti al primo e al terzo motivo di ricorso. Con riferimento al primo motivo, invoca l’applicazione del comma 4-ter dell’articolo 598-bis cod. proc. pen., recentemente introdotto con il d.lgs. 19 marzo 2024 n. 31. Ad avviso del ricorrente, detta norma ha individuato due fattispecie processuali. La prima riguarda le ipotesi in cui l’imputato è stato condannato già in primo grado ad una pena inferiore al limite di legge ed è prevista al comma 1-bis. In tale ipotesi è onere dell’imputato che intenda ottenere la sostituzione della pena detentiva, devolvere specificamente la questione al giudice dell’appello. La seconda ipotesi riguarda invece il caso in cui in primo grado la pena inflitta sia superiore al limite di legge ed è regolata dal comma 4-ter. In tale ipotesi, allorché la Corte d’appello riduca la pena detentiva sotto la soglia dei quattro anni di reclusione, la stessa è tenuta ad applicare il meccanismo di sentencing previsto dall’articolo 545-bis cod. proc. pen. A conferma di tale interpretazione, si richiama l’attenzione sulla previsione di un diverso termine per la prestazione del consenso alla sostituzione della pena detentiva: prima della decisione nei casi ricompresi nella prima categoria; dopo la decisione negli altri. Con riferimento al terzo motivo di ricorso si richiama, la decisione delle Sezioni Unite adottata con la sentenza n. 19357 del 20 Febbraio 2024. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ragioni di ordine logico impongono di esaminare prima le questioni poste con il secondo e terzo motivo di ricorso in quanto la fondatezza di tale ultimo motivo ha una valenza assorbente rispetto all’esame del primo motivo.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto privo del necessario requisito della specificità, prescritto dall’art. 581, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.
Sotto altro profilo, va, peraltro, considerato che dalla ricostruzione dei motivi di appello contenuta nella sentenza impugnata risulta che, con riferimento al capo B, l’imputato ha dedotto due sintetici motivi limitandosi ad invocarne la
riqualificazione nel reato di truffa e ad insistere sulla propria buona fede, avendo effettivamente creduto che la somma percepita dalle persone offese fosse destinata ad un magistrato.
Ebbene, rileva il Collegio che, quand’anche si volesse ravvisare una omessa motivazione su tale ultima specifica doglianza, la sua genericità ed il suo contenuto meramente assertivo ne rivelano l’evidente inammissibilità, cosicché il suo mancato da parte della Corte di appello non potrebbe, comunque, comportare l’annullamento della sentenza, trattandosi di una censura insuscettibile di accoglimento (Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell’Utri, Rv. 263980). Da ciò consegue, quindi, l’inammissibilità per difetto di interesse del motivo di ricorso in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME, Rv. 276745).
3. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
Dalla ricostruzione fattuale contenuta nelle due sentenze di merito emerge che, con riferimento al capo B dell’imputazione, la condotta ascritta al ricorrente è consistita nell’essersi fatto consegnare dalle persone offese il denaro con il pretesto di remunerare il Magistrato della Corte di appello per l’accelerazione della trattazione dell’appello presentato. I Giudici di merito sono pervenuti a tale giudizio di responsabilità sulla base della valutazione delle dichiarazioni delle persone offese, reputate attendibili.
Tale condotta, contestata come millantato credito ai sensi dell’art. 346, comma secondo, cod. pen. è stata riqualificata sin dal primo grado nel reato di traffico di influenze illecite e ciò sulla base dell’adesione da parte dei Giudici di merito alla tesi, recentemente disattesa dalle Sezioni Unite, della continuità normativa tra le due fattispecie di reato.
Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite, infatti, in tema di delitti contro la pubblica amministrazione, non sussiste continuità normativa tra il reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346-bis, cod. pen., come modificat dall’art. 1, comma 1, lett. t), legge 9 gennaio 2019, n. 3, ed il reato di millantato credito “corruttivo” di cui all’art. 346, comma secondo, cod. pen., abrogato dall’art. 1, comma 1, lett. s), legge n. 3 cit., le cui condotte potevano, e tuttora possono, configurare gli estremi del reato di truffa, in passato astrattamente concorrente con quello di millantato credito “corruttivo”, purché siano formalmente contestati e accertati in fatto tutti gli elementi costitutivi dell relativa diversa fattispecie incriminatrice (Sez. U, n. 19357 del 29/02/2024, Mazzarella, Rv. 286304).
In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che, anche sulla base del
confronto strutturale tra le due fattispecie, deve ritenersi che il legislatore del 2019, inserendo nell’art. 346-bis cod. pen. la formula «vantando relazioni asserite», senza riproporre il sintagma «col pretesto» presente nella figura del millantato credito c.d. “corruttivo”, abbia voluto far riferimento non alla ipotesi del soggetto tratto in inganno dal mediatore (che resta, in tal modo, espunta dall’ambito del penalmente rilevante, a norma dell’art. 2, secondo comma, cod. pen.), ma a quella di colui che partecipa a pieno titolo ad una intesa criminosa. Soggetto punibile, al pari del “trafficante”, perché, pur consapevole che la relazione con il pubblico funzionario è ancora inesistente e solo “vantata”, decide di fare affidamento sulla potenziale capacità del mediatore di instaurare quel “rapporto affaristico”: in tal modo concorrendo a determinare quella effettiva messa in pericolo del bene giuridico protetto, che, in una lettura costituzionalmente orientata, è l’unica condizione che può legittimare l’omogeneo trattamento sanzionatorio per entrambi i correi.
Inoltre, con riferimento alla possibile riqualificazione dei fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge del 2019 (quali quelli contestati nella fattispecie in esame), le Sezioni Unite hanno precisato che, poiché prima di tale riforma, dal confronto strutturale tra le due fattispecie criminose previste dagli artt. 640 e 346, secondo comma, cod. pen. non emergeva affatto un rapporto di genere a specie, inteso come relazione di specialità unilaterale per specificazione o per aggiunta (si rileva, infatti, che nella fattispecie del millantato credito c. “corruttivo” non erano presenti tutti gli elementi costitutivi della truffa, ma sol alcuni latamente comuni quali il millantare credito in una, gli artifici e raggir nell’altra, ed altri specializzanti, ovvero il pretesto di dover comprare o remunerare, e la promessa di altra utilità), il rapporto tra le due considerate norme incriminatrici poteva dar luogo solo ad un concorso formale eterogeneo di reati, laddove la condotta accertata avesse realizzato contemporaneamente gli elementi riconducibili ad entrambe le fattispecie incriminatrici, qualificate da disomogeneità strutturale. Sulla base di tale premessa, la Corte ha, dunque, escluso che, per le vicende verificatesi prima della entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, sia possibile una “automatica” riespansione applicativa dell’art. 640 cod. pen., laddove risulti che i fatti siano stati addebitati all’imputato e siano stati accertati in base alla sola disposizione a suo tempo prevista dall’abrogato art. 346, secondo comma, cod. pen., e siano mancate una formale contestazione e un accertamento anche degli elementi specializzanti riconducibili al reato di truffa.
3.1. Sulla base delle coordinate ermeneutiche tracciate dalle Sezioni Unite, nonché della ricostruzione fattuale contenuta nelle due sentenze di merito e della descrizione della condotta contenuta al capo B) dell’imputazione, ritiene il Collegio che, poiché dalle due sentenze di merito non emerge alcun elemento
sintomatico della effettiva esistenza di tale influenza ovvero delle sue concrete possibilità di sviluppo, la condotta in esame deve essere riqualificata nel reato di truffa, rispetto al quale va, tuttavia rilevato il decorso dei termini di prescrizione
Pertanto, non emergendo dalle sentenze impugnate elementi che consentano di pervenire ad un proscioglimento nel merito dell’imputato (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244274), va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo B), riqualificato nel reato di truffa.
Inoltre, poiché non è possibile procedere in questa Sede alla rideterminazione della pena, essendo stato individuato quale reato più grave quello di cui al capo B), va disposto il rinvio alla Corte di appello di Firenze per la sola rideterminazione della pena.
P.Q.M.
Riqualificato il fatto di cui al capo B) nel reato di cui all’art. 640 cod. pen annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente a detto capo perché estinto per prescrizione. Rinvia alla Corte di appello di Firenze per la rideterminazione della pena.
Così deciso il 18 giugno 2024
Il Consigliere estensore