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Traffico di influenze illecite: annullamento per truffa

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per traffico di influenze illecite, riqualificando il fatto come truffa. Un detenuto aveva promesso denaro a un agente penitenziario per ottenere una relazione favorevole, ma tale relazione era già stata redatta. La Corte ha stabilito che l’impossibilità di influenzare l’atto rendeva il fatto un raggiro ai danni del detenuto, che da corruttore si è trasformato in vittima, con conseguente annullamento della condanna perché il fatto non sussiste.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Traffico di influenze illecite o truffa? La Cassazione chiarisce

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 10059 del 2025, offre un’importante chiave di lettura per distinguere il reato di traffico di influenze illecite da quello di truffa. La Corte ha annullato la condanna di un detenuto che aveva promesso denaro a un agente penitenziario in cambio di una relazione favorevole, scoprendo che l’atto oggetto della mediazione era già stato compiuto e quindi non più influenzabile. Questo caso evidenzia come l’impossibilità dell’oggetto dell’accordo illecito possa trasformare il presunto corruttore in una vittima di raggiro.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine all’interno di un istituto penitenziario, dove un detenuto viene accusato di aver promesso a un assistente capo della polizia penitenziaria una somma di 3.000 euro. Lo scopo era ottenere l’intercessione dell’agente presso un’educatrice per la redazione di una “relazione di sintesi” favorevole, utile a ottenere benefici penitenziari.
Il Tribunale di primo grado e la Corte d’Appello avevano condannato il detenuto, riqualificando l’originaria accusa di corruzione nel reato di traffico di influenze illecite, previsto dall’art. 346-bis del codice penale.

L’evoluzione normativa del traffico di influenze illecite

Il reato di traffico di influenze illecite ha subito importanti modifiche legislative, culminate con la legge n. 114 del 2024. Questa riforma ha ristretto l’ambito di applicazione della norma, escludendo la punibilità per chi si limita a vantare o asserire relazioni con un pubblico ufficiale (il cosiddetto millantato credito), e richiedendo invece che le relazioni siano esistenti e intenzionalmente utilizzate allo scopo di commettere il reato.
Questa modifica ha comportato una abolitio criminis parziale, rendendo non più punibili condotte che rientravano nella precedente formulazione. È proprio su questo punto che la difesa ha basato il suo ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte: Non è traffico di influenze illecite ma truffa

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza senza rinvio “perché il fatto non sussiste”. L’analisi della Suprema Corte si è concentrata su un dettaglio cruciale emerso dall’istruttoria: al momento dell’accordo tra il detenuto e l’agente, la relazione di sintesi era già stata redatta e definita nel suo contenuto favorevole.
L’agente, quindi, stava prometendo di influenzare un atto che non era più modificabile. Di conseguenza, l’oggetto della mediazione illecita era inesistente. Questo configura un’ipotesi di “reato impossibile” ai sensi dell’art. 49 c.p., poiché l’azione era inidonea a ledere il bene giuridico tutelato dalla norma (il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione).

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che, in una situazione del genere, la condotta non integra il traffico di influenze illecite, ma si sposta sul terreno della truffa (art. 640 c.p.). L’agente penitenziario, vantando un’influenza inesistente su un atto già compiuto, ha posto in essere un raggiro ai danni del detenuto per ottenere un ingiusto profitto (la promessa dei 3.000 euro).
La conseguenza logico-giuridica di questa riqualificazione è fondamentale: se il fatto è una truffa, il detenuto che promette il denaro non è più un concorrente nel reato, ma la vittima del raggiro. Essendo la vittima, non può essere punito. La sua condotta, pur moralmente riprovevole, è penalmente irrilevante perché attratta nello schema della truffa, dove il soggetto passivo è colui che subisce l’inganno.

Le conclusioni

Questa sentenza traccia una linea netta di demarcazione: si ha traffico di influenze illecite solo se esiste una concreta e possibile ingerenza sulla funzione pubblica. Quando invece la mediazione è solo millantata e l’obiettivo è irraggiungibile fin dall’inizio, il fatto degrada a truffa. Per chi si rivolge al “trafficante” di influenze, le conseguenze sono opposte: nel primo caso è un correo e viene punito; nel secondo, è una vittima e non è punibile. Una lezione importante sui confini tra reati contro la Pubblica Amministrazione e reati contro il patrimonio.

Quando una condotta non è più considerata traffico di influenze illecite secondo le recenti riforme?
Secondo la legge 9 agosto 2024, n. 114, non si configura più il reato se la mediazione si basa su relazioni con un pubblico ufficiale solo vantate o asserite. La norma ora richiede che le relazioni siano esistenti e vengano effettivamente e intenzionalmente utilizzate.

Perché la Corte di Cassazione ha riqualificato il reato in truffa?
La Corte ha riqualificato il fatto in truffa perché l’oggetto dell’accordo illecito, ovvero influenzare una relazione di sintesi, era impossibile. La relazione era già stata scritta e finalizzata, rendendo la promessa dell’agente un raggiro finalizzato a ottenere un profitto ingiusto, e non un reale attacco all’imparzialità della pubblica amministrazione.

Per quale motivo il detenuto che aveva promesso il denaro è stato assolto?
Il detenuto è stato assolto perché, una volta riqualificato il reato come truffa, la sua posizione è cambiata da quella di concorrente nel reato a quella di vittima del raggiro. Nello schema della truffa, chi subisce l’inganno e promette o dà il denaro è la parte lesa e, pertanto, non è punibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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