Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11714 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11714 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a NOME del COGNOME il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a NOME del COGNOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di appello di Bari del 14/12/2022;
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto che i ricorsi vengano rigettati; sentiti i difensori degli imputati, AVV_NOTAIO COGNOME per COGNOME e AVV_NOTAIO COGNOME per COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari, con sentenza del 14 dicembre 2022 (motivazione depositata il 13 marzo 2023), in parziale riforma di quella di primo grado emessa dal Tribunale di Bari, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME in ordine al reato loro ascritto per intervenuta prescrizione (avendo il Tribunale riqualificato l’originaria imputazione di cui agli artt. 110, 319, 319 bis, 321 cod. pen., in violazione dell’art. 346 bis cod. pen.), confermando nel resto la sentenza impugnata e condannando gli imputati alla rifusione delle spese a favore della Parte civile Comune RAGIONE_SOCIALE NOME del COGNOME.
Avverso detta sentenza gli imputati, a mezzo dei propri difensori, hanno proposto ricorsi nei quali invocano l’assoluzione nel merito ai sensi del secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen.
Nell’interesse di COGNOME NOME (nell’originaria imputazione qualificato come privato corruttore) vengono dedotti due motivi.
3.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio della motivazione della sentenza impugnata che ha confermato – nonostante specifico motivo di appello sul punto – la giuridica configurabilità della fattispecie d traffico di influenze (art. 346 bis cod. penn.) ritenuta dal Tribunale, senza considerare che all’epoca dei fatti contestati (la cui consumazione è stata accertata tra il giugno e il novembre del 2014) era ancora vigente il reato di millantato credito, poi abrogato dalla legge n. 3 del 2019 che ha introdotto nell’ambito dell’art. 346 bis la punibilità anche del privato “ingannato” in relazione a relazioni, solo “asserite” con pubblici ufficiali; condotta, si sostiene precedentemente non punita. In ogni caso, secondo la giurisprudenza della Cassazione, per la configurabilità del “traffico di influenze” è necessario che la mediazione “onerosa”, quale quella ritenuta sussistente nella specie, venga finalizzata alla commissione di un illecito da parte del Pubblico ufficiale (illecito soggetto pubblico non individuati dai Giudici di merito). Inoltre, si aggiunge, non vi è alcun elemento che possa far ritenere che COGNOME (ritenuto il “mediatore illecito”) abbia interferito con il procedimento amministrativo o avvicinato a tal fine pubblici ufficiali.
3.2. Con il secondo motivo si eccepisce che l’affermazione della condanna in primo grado e la conferma della sussistenza in appello del fatto di reato (ancorchè prescritto) si sono fondate sull’utilizzazione di intercettazioni che erano state disposte per il delitto di corruzione. La riqualificazione nella fatti ecie di cui all’art. 346 bis cod. pen. rende non utilizzabili de ‘,…..7…/}3
intercettazioni, atteso che tale reato non rientra tra quelli “intercettabili” ai sen dell’art. 266 cod. pen.
4. Nell’interesse di COGNOME vengono dedotti sei motivi
4.1. Con il primo motivo si censura l’affermazione di penale responsabilità in primo grado per il reato di cui all’art. 346 bis cod. pen., nonostante: a) la formulazione da tenere presente è, ratione temporis, quella di cui alla legge n. 190 del 2012 (e non anche quella diversa della legge n. 3 del 2019 considerata dai Giudici di merito); b) nella disposizione allora vigente il rapporto di specialit era contemplato solo in riferimento alla corruzione per l’esercizio della funzione e non anche per la corruzione “propria” (fatto contestato all’imputato); c) non rileva che il reato in oggetto sia “di pericolo astratto”, atteso che per il princip di necessaria offensività è comunque indispensabile che non sia impossibile come nel caso di specie – l’evento da cui dipende l’esistenza stessa del reato; d) nessun elemento è emerso in ordine all’individuazione di chi fosse il Pubblico ufficiale che COGNOME avrebbe dovuto influenzare e quale sarebbe dovuto essere l’atto contrario ai doveri di ufficio (e d’altronde l’assoluzione dal reato d cui all’art. 353 cod. pen. dimostra chiaramente tale insussistenza); e) non vi è alcuna prova che COGNOME abbia promesso o offerto al COGNOME interventi “illeciti” (ossia volti a consumare reati con Pubblici ufficiali o a farli consumare a questi ultimi, peraltro mai identificati), essendosi egli limitato, come peraltr riconosciuto dai Giudici di merito, a fornire solo informazioni – accessibili a tutti sulla procedura. Tutto ciò, alla luce della giurisprudenza di legittimità, esclude la giuridica configurabilità della fattispecie ritenuta dai Giudici di merito
4.2. Con il secondo motivo si eccepisce violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., avendo il Tribunale pronunciato condanna non in relazione al medesimo fatto diversamente qualificato, ma per un fatto strutturalmente diverso (tanto nei suoi elementi oggettivi, quanto in riferimento alle connotazioni del dolo, come è evidente dal confronto tra il capo di imputazione – che faceva riferimento ad accordo corruttivo posto in essere per creare le condizioni idonee affinchè l’imprenditore COGNOME partecipasse alla gara e si aggiudicasse la stessa, come da contestazione di cui all’art. 353 cod. pen., sub capo B) – e la condanna in primo grado pronunciata per “traffico di influenze illecite” nonostante l’intervenuta assoluzione dal reato sub B), “le cui condotte in punto di fatto costituivano il contenuto, per richiamo recettizio, della contestazione di corruzione di cui al capo A) (aver commesso il fatto “attraverso le illecite condotte poste a fondamento dell’imputazione che segue”)”.
4.3. Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata che ha rigettato la richiesta di rimessione in termini per accedere alla messa alla prova dell’imputato – nell’atto di appello formulata in subordine rispetto alla
assoluzione nel merito – ; messa alla prova, ammissibile rispetto all’art. 346 bis cod. pen., a differenza della originaria contestazione, e rispetto alla quale COGNOME aveva ed ha interesse, dal momento che l’esito positivo della stessa, oltre a comportare la estinzione del reato, impedisce la pronuncia sulle domande civili, a differenza della prescrizione maturata in appello che fa salve le statuizioni civili applicate dal giudice di primo grado; in subordine, si chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale (come già richiesto alla Corte di appello), in riferimento all’art. 3 Cost., della normativa nella parte in cui non consentirebbe l’ammissione alla MAP in appello, anche se a seguito di derubricazione del reato operata soltanto con la sentenza conclusiva del primo grado.
4.4. Il quarto motivo è relativo alla dedotta inutilizzabilità dell intercettazioni, disposte per reato diverso da quello per cui è stata pronunciata condanna in primo grado (e in ordine al quale non sussistono i presupposti di ammissibilità ex art. 266 cod. proc. pen.), proponendosi, in subordine, la rimessione della questione alle Sezioni Unite sul punto.
4.5. Con il quinto motivo si deduce nullità della sentenza impugnata per invalida instaurazione del rapporto processuale e violazione del diritto di difesa, per non essere stato notificato a COGNOME l’atto di appello proposto dal coimputato COGNOME; adempimento, questo, espressamente richiesto dall’art. 584 cod. proc. pen. e che risulta altresì funzionale all’operatività della disciplina merito alla estensione della impugnazione (art. 587 cod. proc. pen.), senza che esso sia condizionato dalla possibilità di proporre ricorso incidentale; anche in questo caso, in subordine, si chiede di rimettere la questione alle Sezioni Unite.
4.6. Il sesto motivo, infine, concerne l’omessa pronuncia sulla richiesta di revoca della condanna alle spese processuali in favore dell’Erario e della condanna alle spese di mantenimento durante la custodia cautelare. Sul punto si evidenzia che in conseguenza della pronuncia di prescrizione, la Corte di appello avrebbe dovuto revocare le sopra indicate statuizioni del primo Giudice, ai sensi dell’art. 592, comma 3, cod. proc. pen. e considerato che il reato per cui è stata pronunciata condanna non legittima l’applicazione della misura custodiale.
4.7. Con atto depositato il 29 maggio 2023, denominato “Memoù -ia e richieste conseguenziali ex art. 593, comma 3, c.p.p.”, il difensore di COGNOME ha chiesto, in caso di accoglimento dei motivi del ricorso del coimputato COGNOME, che porti ad una sua qualificazione come vittima del reato, anziché concorrente, che per il COGNOME, anche in virtù dell’effetto estensivo, la Corte riteng configurabile la fattispecie di truffa con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, anche agli effetti civili, difettando la necessaria condizione di procedibilità rappresentata dalla querela.
4.8. Con memoria depositata il 30 dicembre 2023, recante “motivi nuovi” in favore del ricorrente COGNOME, l’AVV_NOTAIO ha ripreso il tema della insussistenza del reato di cui all’art. 346 bis cod. pen., evidenziando che, come eccepito in sede di appello, le condotte dell’imputato avrebbero dovuto, al più, inquadrarsi nella fattispecie di truffa, non procedibile per difetto di querela ovvero, essendo i fatti precedenti alla I.n. 3 del 2019, nell’ipotesi di “millantat credito”, in merito alla quale la Cassazione ha, in prevalenza, ritenuto l’insussistenza di continuità normativa rispetto alla nuova fattispecie di cui all’art 346 bis cod. pen., questione, quest’ultima rimessa alle Sezioni Unite.
All’esito della discussione all’odierna udienza, le Difese dei ricorrenti hanno depositato copia di due sentenze, emesse rispettivamente dal Tribunale di Bari il 20 giugno 2023 e dalla Corte di appello di Bari il 20 ottobre 201t con le quali alcuni soggetti (tra cui l’ex sindaco di NOME del COGNOME NOME) sono stati assolti dall’imputazione di corruzione, contestata anche ai ricorrenti
CONSIDERATO IN DIRITTO
Pur in presenza della dichiarazione di estinzione per prescrizione intervenuta in appello, l’invocata applicazione dell’art. 129 secondo comma cod. proc. pen. e la conferma da parte della sentenza impugnata delle statuizioni civili impone l’esame del merito dei ricorsi che risultano però entrambi infondati.
Per quanto riguarda la dedotta violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. questione di natura preliminare, sollevata dal ricorrente COGNOME ma in ipotesi estensibile anche al COGNOME – rileva il COGNOMEgio che il “passaggio” dal delitto di corruzione a quella di traffico di influenza illecite non ha determinato alcuna innmutazione del fatto contestato. Invero, è proprio l’art. 346 bis a prevedere la “prevalenza” del delitto di corruzione, di tal che tra le due fattispecie non può evincersi un rapporto di incompatibilità.
2.1. La differenza tra i due delitti – in un caso che risulta rilevante rispett all’oggetto dei presenti ricorsi – è stata individuata (Sez. 6, n. 4113 del 14/12/2016 – dep. 2017, Rigano, Rv. 269736 – 01) nel fatto che «Il delitto di traffico di influenze, di cui all’art. 346 bis cod. pen., si differenzia, dal punto vista strutturale, dalle fattispecie di corruzione per la connotazione causale del prezzo, finalizzato a retribuire soltanto l’opera di mediazione e non potendo, quindi, neppure in parte, essere destinato all’agente pubblico. (Fattispecie in cui l’imputata aveva ottenuto il versamento di una somma di denaro e si era adoperata per promuovere un accordo corruttivo, non perfezionato, diretto ad
alterare l’esito di una prova selettiva mediante l’intervento di soggetti interni all procedura concorsuale).».
Nel caso di specie, il Tribunale ha escluso che la somma (100.000 euro) promessa dal COGNOME, imprenditore interessato ad attenere l’aggiudicazione di un pubblico appalto, al COGNOME (politico ed ex amministratore del Comune di NOME del COGNOME che frequentava gli uffici e “conosceva tutti”) fosse in effetti destinata a pubblici ufficiali (da cui la riqualificazione in art. 346 bis cod. pen. D’altronde, anche le sentenze prodotte dai ricorrenti all’odierna udienza concernono esclusivamente l’estraneità del sindaco e dei funzionari del Comune dalla contestata corruzione, senza in alcun modo incidere sulla posizione dei ricorrenti
3. Ugualmente infondata – e in modo manifesto – è la questione dedotta dal COGNOME in merito alla mancata notificazione dell’appello proposto dal coimputato. Sul punto, questa Corte (Sez. 1, n. 12824 del – 13/02/2020, Binenti, Rv. 278816 01) ha condivibilmente precisato che «L’appello proposto dall’imputato non deve essere notificato ai coimputati, non potendo gli stessi proporre appello incidentale. (In motivazione la Corte ha precisato che anche a seguito della modifica dell’art. 595 cod. proc. pen., introdotta con il d.lgs. febbraio 2018, n. 11, l’appello incidentale non ha mutato la propria configurazione strutturale di impugnazione esclusivamente antagonista rispetto a quella di una parte processualmente avversa)».
Manifestamente infondato risulta anche il motivo – comune ad entrambi i ricorrenti – relativo all’utilizzo delle intercettazioni, disposte per il deli corruzione e utilizzate per motivare la condanna in primo grado per il traffico di influenze. Invero, questa Sezione (sent. n. 23148 del 20/01/2021, Bozzini, Rv. 281501 – 01) ha già avuto modo di evidenziare che «In tema di intercettazioni, il principio secondo cui l’utilizzabilità delle intercettazioni per reato diverso, connesso con quello per il quale l’autorizzazione sia stata concessa, è subordinata alla condizione che il nuovo reato rientri nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 cod. proc. pen., non si applica ai casi in cui l stesso fatto-reato per il quale l’autorizzazione è stata concessa sia diversamente qualificato in seguito alle risultanze delle captazioni. (In motivazione la Corte ha precisato che in tale evenienza non vi è elusione del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen., attese l’intervenuta legittima autorizzazione dell’intercettazione e la modifica dell’addebito solo per sopravvenuti fisiologici motivi, legati alla naturale evoluzione del procedimento)».
Venendo ai motivi “centrali” dei ricorsi, relativi alla dedotta non configurabilità della fattispecie di cui all’art. 346 bis cod. pen., è vero, come rilevato dagli imputati, che ratione temporis deve essere applicata la fattispecie nella versione antecedente alla I.n. 3 del 2019 (situazione normativa in cui ancora esisteva il millantato credito, delitto che, oltre alla truffa, entrambi g imputati, in subordine, hanno invocato).
Pertanto la fattispecie correttamente applicabile è la seguente: «Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttand relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del s ufficio è punito … La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità».
5.1. La differenza tra le due fattispecie (rispettivamente disciplinate dagli artt. 346 e 346 bis cod. pen.), prima della modifica normativa del 2019, è stata individuata nel fatto che «Il delitto di millantato credito si differenzia da quello traffico di influenze, di cui all’art. 346-bis cod. pen. in quanto presuppone che non esista il credito né la relazione con il pubblico ufficiale e tanto meno l’influenza; il traffico di influenze postula, invece, una situazione fattuale nell quale la relazione sia esistente, al pari di una qualche capacità di condizionare o, comunque, di orientare la condotta del pubblico ufficiale. (Fattispecie in cui la Corte ha ricondotto all’art.346-bis, cod. pen., la condotta di un appartenente alla polizia giudiziaria che si era fatto consegnare una somma di denaro da parte del soggetto interessato al dissequestro di alcune autovetture, rappresentando di dover comprare il favore del sostituto procuratore della Repubblica titolare del fascicolo, con il quale aveva relazioni effettivamente esistenti e derivanti dai rapporti d’ufficio)»: Sez. 6, n. 53332 del 27/09/2017, COGNOME, Rv. 271730 01
5.2. Dalle sentenze di merito emerge l’esistenza della effettiva relazione tra COGNOME e gli amministratori del Comune di NOME del COGNOME, così come l’astratta possibilità che costui “condizionasse” l’attività amministrativa. In particolare, la sentenza del Tribunale – richiamata da quella impugnata – evidenzia a pag. 83 ss. che “il COGNOME si era rivolto al COGNOME in quanto noto faccendiere del Comune di NOME del COGNOME, nella speranza di sfruttare le relazioni che quest’ultimo aveva con il COGNOME e con gli altri membri degli uffici comunali, al fine di essere favorito nella procedura di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; il COGNOME, prospettando al COGNOME dette relazioni e il potere di influenza che dalle stesse gli derivava in senso all’amministrazione comunale, si faceva indebitamente promettere denaro ed,
anzi, ne sollecitava la dazione, temendo che il COGNOME di lì a poco si sarebbe reso conto dell’impossibilità di concludere positivamente l’affare del RAGIONE_SOCIALE“).
5.3. Peraltro, come correttamente dedotto dai ricorrenti, ciò non è sufficiente, dovendo anche essere accertato il carattere “illecito della mediazione”. Sul punto, si è precisato che «In tema di traffico di influenze, la mediazione onerosa è illecita se l’accordo tra il committente ed il mediatore è finalizzato alla commissione di un illecito penale idoneo a produrre vantaggi indebiti al primo, non assumendo rilievo l’illegittimità negoziale per difformità dal contratto tipico di mediazione ovvero il mero uso di una relazione personale, preesistente o potenziale, tra il mediatore ed il pubblico agente per il conseguimento di un fine lecito» – Sez. 6, n. 1182 del 14/10/2021, COGNOME, Rv. 282453 – 01.
La sentenza di appello (pag. 15 ss.) rileva che “di palmare evidenza risulta il contenuto della conversazione intercettata in data 05/11/2014, intervenuta tra il COGNOME e il COGNOME, in cui quest’ultimo insisteva esplicitamente per il pagamento della tangente, suscitando la reazione del COGNOME che pretendeva “certezze” in ordine al buon esito della procedura” (e nella quale si fa esplicito riferimento ai 100.000 euro). Nella sentenza di condanna in primo grado (pag. 84 s.) si dà conto che da una ulteriore intercettazione risulta che COGNOME otteneva un prestito da un soggetto e “giustificava la sua ennesima richiesta di denaro con la necessità di pagare una “tangente” a COGNOME e COGNOME … per “aggiudicarsi” l’affare del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. In particolare, il COGNOME spiegava al suo creditore che avrebbe dovuto dare i soldi al COGNOME che poi a sua volta avrebbe dovuto dividerli con il sindaco COGNOME e altri funzionari (“li devo dare a COGNOME. Poi non so cosa … come si devono regolare lui e NOME)”.
Da ciò emerge con chiarezza quale era la finalizzazione – illecita – della promessa dazione del denaro e non rileva che il COGNOME una volta ottenuti i soldi del “prestito” non li abbia dati al COGNOME ma utilizzati per coprire un assegno in scadenza per evitare il protesto e il default della sua attività. Sussistono dunque i presupposti per la giuridica configurabilità della fattispecie di cui all’art 346 bis cod. pen. nella versione precedente alla riforma del 2019.
Non può neppure accogliersi la richiesta del COGNOME di qualificare la sua condotta in termini di truffa. Invero, in relazione al rapporto tra i due reati, stato chiarito che quest’ultima fattispecie è integrata dalla condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità col pretesto di dovere comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare (Sez. 6, n. 5221 del 18/09/2019 – dep. 2020, Impeduglia, Rv. 278451 – 01); “pretesto” incompatibile con l’esistenza effettiva delle relazioni tra il COGNOME e i Pubblici ufficiali e con la accertata finalizzazi illecita della promessa della dazione del denaro.
6. Infondato è il motivo di ricorso formulato dal COGNOME relativamente alla messa alla prova. E’ vero che l’esito positivo della messa alla prova con la conseguente estinzione del reato impedisce la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile, ma ciò in quanto «il risarcimento della vittima, unitamente alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, costituisce un presupposto imprescindibile dell’istituto; ne consegue che, qualora le prescrizioni imposte dal giudice ai sensi dell’art. 464-quinquies cod. proc. pen. non rispondano alle pretese della parte civile, quest’ultima potrà tutelarsi nell’ambito di un autonomo giudizio civile, senza subire alcun effetto pregiudizievole dalla sentenza di proscioglimento che, non essendo fondata su elementi di prova, non è idonea ad esprimere un compiuto accertamento sul merito dell’accusa e sulla responsabilità» (Sez. 5, n. 33277 del 28/03/2017. COGNOME, Rv. 270533 – 01).
Inoltre, «In tema di messa alla prova, qualora, all’esito del dibattimento, i fatti siano accertati in modo conforme alla contestazione ma il giudice ritenga di non condividerne la qualificazione giuridica, egli deve ammettere l’imputato alla messa alla prova ove questi avesse presentato la relativa richiesta nei termini previsti dalla legge; qualora, invece, i fatti siano accertati in modo difforme dalla stessa imputazione, la ammissione alla messa alla prova può riguardare anche la domanda presentata “ex novo”» (Sez. 6, n. 16669 del 26/10/2022 – dep. 2023, PG c. COGNOME, Rv. 284610 – 01).
6.1. Ciò premesso, rileva la Corte che la possibile riqualificazione dell’originaria imputazione nel reato di traffico di influenze non era affatto imprevedibile (ed è dipesa dall’assenza di prova in ordine alla consegna o promessa del denaro a un pubblico ufficiale). In ogni caso, a fronte di una declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione in appello non è possibile ottenere, tramite il ricorso in cassazione, la regressione del procedimento per accedere alla messa alla prova nell’ambito della quale, peraltro, l’estinzione del reato è un effetto solo eventuale. A tal fine sarebbe stata necessaria una espressa rinuncia alla prescrizione che, peraltro, non può intervenire in sede di legittimità, atteso che «È tardiva ed inefficace la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato formulata dopo che sia stata pronunciata sentenza nel grado di giudizio in cui è maturata» (Sez. 5, n. 11928 del 17/01/2020, Pg in proc. c. Capacchione, Rv. 278983 – 02, relativa a fattispecie in cui il ricorrente aveva rinunciato alla prescrizione, già dichiarata in appello, il giorno dell’udienza in Cassazione). Per le suesposte ragioni, la questione di legittimità costituzionale della disciplina della messa alla prova è irrilevante – atteso che comunque non sarebbe applicabile in questa fase – e comunque manifestamente infondata.
Inammissibile, in quanto manifestamente infondato è, infine, il sesto motivo di ricorso del COGNOME. In esso, in primo luogo, si censura la mancata revoca della condanna al pagamento delle spese processuali. L’articolo 592 comma 3 cod. pen. (invocato a tal fine dal ricorrente) non prevede affatto che la sentenza di appello che dichiari estinto per prescrizione un reato per il quale in primo grado era stata pronunciata condanna comporti la revoca espressa della statuizione relativa alle spese processuali adottate in primo grado. La norma in questione regola il fenomeno inverso, stabilendo che se nel giudizio di impugnazione (avverso proscioglimento in primo grado) interviene condanna, l’imputato “è condannato alle spese dei precedenti giudizi anche se in questi sia stato prosciolto”.
Manifestamente infondata è anche la questione riferita alle spese di mantenimento durante la custodia cautelare. L’art. 692 cod. proc. pen. (richiamato dall’art. 535 stesso cod.) prevede che “quando l’imputato è condannato a pena detentiva per il reato per il quale fu sottoposto a custodia cautelare sono poste a suo carico le spese per il mantenimento durante il periodo di custodia”. Da ciò il ricorrente deduce che in caso di condanna per un diverso reato (in merito al quale, peraltro, non poteva applicarsi la custodia cautelare in carcere) il giudice non deve porre a carico del condannato dette spese.
Al riguardo, va rilevato che, ovviamente, la declaratoria in appello dell’intervenuta prescrizione travolge, senza necessità di alcuna indicazione nella sentenza di secondo grado, la statuizione del tribunale sulle spese relative al procedimento, il cui titolo è rappresentato dal giudicato di condanna, nella specie insussistente.
P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 gennaio 2024
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