Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 9794 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 4 Num. 9794 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
QUARTA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 2103/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME (CUI 06IAWRE) nato il 04/06/1997 avverso l’ordinanza del 29/11/2024 del TRIB. LIBERTA’ di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Milano, quale giudice del riesame, ha confermato l’ordinanza emessa il 28/10/2024 dal GIP presso il Tribunale di Busto Arsizio, con la quale era stata applicata nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione a un capo di imputazione provvisorio contenente la contestazione della fattispecie prevista dall’art.73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, in relazione al comma 4 (capo M) e ai commi 1 e 4 (capo N).
Il Tribunale ha premesso che l’indagato, in sede di richiesta di riesame, aveva dedotto: a) la nullità dell’ordinanza cautelare per mancata traduzione in lingua nota, emergendo sin dagli atti di indagine la mancata conoscenza della lingua italiana e deducendo che la traduzione non era stata effettuata in termine congruo, non essendo stata disposta alcuna scadenza da parte del GIP in sede di conferimento dell’incarico; b) la nullità dell’ordinanza per omesso rilievo dell’assoluto impedimento all’effettuazione dell’interrogatorio di garanzia, stante la mancata conoscenza della lingua italiana; c) l’insussistenza della gravità indiziaria; d) il difetto di motivazione in ordine alle esigenze cautelari; e) l’erronea scelta della misura disposta.
Il Tribunale, in ordine ai primi due motivi, ha rilevato che – in sede di interrogatorio di garanzia – l’indagato aveva risposto alle domande alla presenza di un interprete di lingua araba e che il GIP aveva disposto la traduzione dell’ordinanza cautelare, poi successivamente notificata all’indagato il 22/11/2024; ha dedotto che, sulla base degli atti di indagine, appariva dubbio che l’indagato non fosse a effettiva conoscenza della lingua italiana ma che, in ogni caso, la predetta presenza dell’interprete e l’avvenuta traduzione dell’ordinanza, intervenuta in termine congruo, fossero elementi idonei a ritenere infondate le predette eccezioni.
Nel merito, ha ritenuto sussistenti i presupposti della gravità indiziaria e delle esigenze
cautelari, ritenendo adeguata e proporzionata la misura di massimo rigore.
Avverso tale ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione, trattati congiuntamente, con i quali ha dedotto: 1) la violazione dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen., per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 306, 143, 292 e 51 bis , disp.att., cod.proc.pen., dell’art.24 Cost. e dell’art.6 della CEDU, per violazione del diritto di difesa dell’indagato; 2) la violazione dell’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen., per inosservanza degli artt. 306, 143, 292 e 51 bis, disp.att., cod.proc.pen. e 178, comma 1, lett.c), cod.proc.pen. rispetto all’art.24 Cost. e all’art.6 della CEDU; 3) la violazione dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dalla documentazione in atti.
Premessa l’esposizione della vicenda processuale, ha argomentato che il dato della mancata conoscenza della lingua italiana era deducibile già dagli atti e, in particolare, dal verbale di identificazione redatto ai sensi degli artt. 349 e 161 cod.proc.pen., dal quale era risultato che l’indagato conosceva ‘poco’ la lingua italiana, risultando del tutto neutro il dato – pure evidenziato dal Tribunale – attinente all’interlocuzione nella nostra lingua avvenuta con gli agenti operanti così come quello della sottoscrizione di un modulo di prima identificazione redatto in italiano; ha altresì dedotto che il Tribunale nulla aveva motivato in ordine al rilievo inerente alla mancata assegnazione di un termine in sede di conferimento dell’incarico di traduzione dell’ordinanza applicativa, dovendosi ritenere solo apparente il giudizio di congruità del periodo di sedici giorni seguenti all’esecuzione, successivo alla decorrenza del termine per proporre richiesta di riesame.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
In ordine al punto di doglianza attinente alla – dedotta – intempestiva traduzione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare nei confronti di destinatario alloglotta, deve essere fatto riferimento ai principi dettati da Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286356, in base ai quali l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di un imputato o indagato alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, Ł affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen..
Mentre ove, invece, non sia già emerso che l’indagato o imputato alloglotta non conosca la lingua italiana, l’ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi confronti Ł valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di detta lingua, che comporta l’obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine, la cui violazione determina la nullità dell’intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa l’ordinanza di custodia cautelare.
Sul punto, la sentenza delle Sezioni Unite si Ł posta in linea di continuità con precedente giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 226717, con indirizzo successivamente ribadito da altre pronunce; tra le altre, Sez. 4, n. 33802 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270610; Sez. 3, n. 14990 del 18/02/2015, COGNOME, Rv. 263236; Sez. 3, n. 26846 del 29/04/2004, COGNOME, Rv. 229295), secondo la quale la mancata traduzione dell’ordinanza cautelare – qualora fosse già emersa la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’indagato – Ł idonea a determinare una nullità a regime intermedio.
Mentre, nel caso in cui il dato della mancata conoscenza sia emerso successivamente, Ł onere dell’autorità procedente disporre la traduzione dell’ordinanza in lingua nota all’indagato entro un
termine che, ai sensi dell’art.143, comma 2, cod.proc.pen., deve essere ‘congruo’; giudizio di congruità in ordine al quale, come già specificato dalla giurisprudenza anteriore rispetto alla modifica dell’art.143 cod.proc.pen. intervenuta per effetto del d.lgs. 4 marzo 2014, n.32, occorre, tra l’altro, tenere «conto dei tempi tecnici richiesti per il reperimento dell’interprete e l’effettuazione della traduzione, con la conseguenza che nessuna nullità sussiste quando tali tempi siano contenuti nell’arco di pochi giorni» (Sez. 6, n. 48469 del 04/12/2008, COGNOME, Rv. 242147; in senso conforme, si veda anche Sez. 6, n. 9041 del 15/02/2006, COGNOME, Rv. 233916).
Dovendosi, sul punto, fare riferimento alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, secondo la quale, in relazione all’art.6, par.3, lett.a), la traduzione di un atto processuale deve avvenire, ovviamente compatibilmente con quanto già sottolineato sopra, “nel piø breve tempo possibile”, con la conseguenza che, acquisita la conoscenza dell’ignoranza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, l’autorità giudiziaria deve individuare senza ritardo un interprete che conosca la lingua dell’imputato o dell’indagato alloglotta, per consentirgli di esercitare il suo diritto di difesa (tra le altre, Corte EDU, COGNOME c. Islanda, 15/03/2022, n. 30965/17; Corte EDU, 08/03/2002, Tonkov c. Belgio, n. 41115/14; Corte EDU, 18/12/2018, Murtazaliyeva c. Russia, n. 36658/05; Corte EDU, 09/11/2018, Beuze c. Belgio, n. 71409/10; Corte EDU, 27/11/2011, COGNOME c. Francia e Belgio, n. 25303/08).
Applicando tali principi al caso di specie, deve ritenersi che l’allegazione difensiva in base alla quale la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’indagato fosse nota al GIP sin dal momento dell’emissione della misura Ł del tutto aspecifica, essendo la relativa conclusione stata dedotta sulla base di elementi assolutamente neutri (se non inconferenti) quali la presenza di un’unica segnalazione di polizia e di precedenti soggiorni irregolari, di data recente, nel territorio dell’Unione Europea.
Tale deduzione deve comunque ritenersi attinente a un profilo di mero fatto il quale Ł oggetto di valutazione riservata al giudice di merito che – se fondata, come nel caso di specie, su considerazioni intrinsecamente logiche – sfugge al sindacato di legittimità.
Quanto alla deduzione afferente al mancato rispetto della congruità del termine, la stessa Ł manifestamente infondata, atteso che appare del tutto rispettoso dei predetti principi il deposito della traduzione avvenuto dopo sedici giorni dall’incarico, in presenza di un provvedimento articolato su 43 pagine; rimanendo del tutto neutro il dato in base al quale la traduzione sia stata depositata dopo la scadenza del termine per proporre riesame, proprio in considerazione della conclusione – che non appare smentita dal tenore complessivo della pronuncia delle Sezioni Unite – in base alla quale, in caso di traduzione disposta in sede di interrogatorio di garanzia, il termine per proporre l’impugnazione ai sensi dell’art.309 cod.proc.pen. deve intendersi decorrente dal deposito della traduzione (cfr. Sez. 6, n. 50766 del 12/11/2014, Awoh, Rv. 261537; Sez. 5, n. 10993 del 05/12/2019, dep. 2020, Chanaa, Rv. 278883; Sez. 6, n. 27103 del 02/05/2024 n. 6530, L. Rv. 286797); conseguendone che, nel caso di specie, l’indagato ha proposto istanza di riesame nell’esercizio di un’autonoma scelta difensiva e pure non essendo astrattamente iniziato il termine per la presentazione del gravame.
Va comunque sottolineato che, sulla base del percorso argomentativo del citato arresto delle Sezioni Unite, anche la questione attinente alla effettiva congruità del termine per il deposito della traduzione dell’ordinanza costituisce elemento di fatto che se – come nel caso di specie – sia stata oggetto di congrua motivazione, sfugge al sindacato di legittimità (cfr.par.8 del ‘considerato in diritto’).
Rilevando altresì, in riferimento ad altra specifica doglianza del ricorrente, che in nessun punto della pronuncia delle Sezioni Unite viene stabilita la necessità – in conformità, peraltro, con il quadro
normativo – che il giudice procedente fissi all’interprete un termine fisso per il deposito della traduzione.
D’altra parte, al dato della intervenuta presentazione della richiesta di riesame, si riconnette quello inerente a un ulteriore profilo di inammissibilità della doglianza.
Difatti, le Sezioni Unite hanno ribadito che il soggetto alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti, non può semplicemente limitarsi a dolersi dell’omissione ma, in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che, nella specie, vengono in rilievo, ha l’onere di indicare l’esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale (tra le altre, Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 285186, nonchØ, successivamente, Sez. 1, Sentenza n. 44251 del 16/10/2024, COGNOME, Rv. 287282; Sez. 6, n. 2714 del 04/12/2024, dep. 2025, Medina).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha allegato alcun effettivo pregiudizio difensivo derivante dall’omessa traduzione dell’ordinanza, pregiudizio che appare anzi smentito proprio dal dato della presentazione di un’istanza di riesame non limitata ai predetti profili processuali ma estesa anche al merito con contestazione analitica dei profili inerenti alla gravità indiziaria.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Va disposta la trasmissione degli atti alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così Ł deciso, 06/03/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME