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Traduzione atti imputato: quando non è un obbligo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore straniero che lamentava la mancata traduzione atti imputato. La Corte ha chiarito che il diritto alla traduzione non è automatico ma sorge solo su richiesta esplicita o se emerge un’effettiva difficoltà linguistica, assente in questo caso.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Traduzione Atti Imputato Straniero: Quando è Davvero un Diritto?

Il diritto di difesa è uno dei pilastri fondamentali del nostro ordinamento giuridico e presuppone che l’imputato sia in grado di comprendere pienamente le accuse a suo carico. Ma cosa succede quando l’imputato non parla italiano? La traduzione atti imputato è sempre obbligatoria? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto cruciale, stabilendo che tale diritto non è automatico, ma va attivato dall’interessato.

Il Caso: La Condanna e il Ricorso per Mancata Traduzione

Un imprenditore di origine straniera veniva condannato in primo e secondo grado per un reato previsto dal D.Lgs. n. 74/2000. Attraverso il suo difensore di fiducia, l’imputato presentava ricorso in Cassazione, sollevando un unico motivo: la violazione del suo diritto di difesa.

Secondo la tesi difensiva, i giudici di merito avrebbero dovuto disporre la traduzione di tutti gli atti processuali, incluse le sentenze di condanna. La mancata traduzione avrebbe impedito all’imputato, in quanto alloglotta, di comprendere appieno le accuse e le decisioni, violando così gli articoli 3 e 24 della Costituzione. La difesa sosteneva che la nomina di un avvocato di fiducia non fosse sufficiente a superare questa lacuna.

La Decisione della Cassazione sulla Traduzione Atti Imputato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici supremi hanno confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendola logica, coerente e giuridicamente ineccepibile.

Un Diritto da Richiedere, non Automatico

Il punto centrale della decisione è che il diritto all’assistenza di un interprete e alla traduzione degli atti fondamentali, previsto dall’articolo 143 del codice di procedura penale, non scatta automaticamente per il solo fatto che l’imputato sia straniero. Si tratta di una garanzia che deve essere attivata.

L’attivazione può avvenire in due modi:
1. Su richiesta esplicita dell’imputato: L’interessato deve dichiarare di non conoscere o non comprendere la lingua italiana.
2. D’ufficio dal giudice: Qualora emergano elementi concreti e oggettivi che dimostrino l’effettiva incapacità dell’imputato di comprendere la lingua.

La Condotta Processuale dell’Imputato

Nel caso specifico, la Corte ha sottolineato come l’imputato non avesse mai, in nessun momento dei due gradi di giudizio, manifestato alcuna difficoltà linguistica. Anzi, aveva nominato un difensore di fiducia e aveva eletto domicilio presso il suo studio, comportamenti che non facevano emergere alcuna apparente barriera di comprensione.

Le Motivazioni della Corte

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione basandosi su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Il ragionamento dei giudici si fonda su principi chiari che bilanciano il diritto di difesa con le esigenze di efficienza processuale.

L’onere della Prova della Difficoltà Linguistica

Il fulcro della motivazione risiede nel fatto che, in assenza di una specifica dichiarazione o di evidenti difficoltà, non sussiste alcun obbligo per l’autorità giudiziaria di disporre d’ufficio la traduzione. La condizione di straniero, di per sé, non equivale a un’incapacità di comprendere l’italiano. Spetta all’imputato o al suo difensore sollevare la questione, se sussiste. Il ricorso, al contrario, si limitava a una doglianza astratta e generica, senza indicare specifici momenti o atti in cui la mancata comprensione sarebbe emersa.

La Differenza con la Giurisprudenza Precedente

La Corte ha inoltre chiarito che le sentenze citate dalla difesa non erano pertinenti al caso di specie. Tali precedenti si riferivano a situazioni in cui l’obbligo di traduzione era già sorto, perché l’incapacità dell’imputato di comprendere la lingua era stata accertata o dichiarata. Nel caso in esame, invece, mancava proprio questo presupposto fondamentale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa

Questa ordinanza ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica: la difesa tecnica di un imputato straniero deve assumere un ruolo proattivo. Non è possibile rimanere inerti durante l’intero processo per poi lamentare in Cassazione la mancata traduzione. È essenziale che, fin dalle prime fasi, l’imputato che non comprende la lingua italiana lo dichiari formalmente a verbale. In mancanza di questa esplicita richiesta, e in assenza di altri indicatori oggettivi, il diritto alla traduzione atti imputato rischia di non essere riconosciuto, con la conseguenza che il ricorso basato su tale motivo verrà quasi certamente dichiarato inammissibile.

Un imputato straniero ha sempre diritto alla traduzione degli atti processuali?
No, il diritto alla traduzione non è automatico. Sorge solo se l’imputato dichiara esplicitamente di non comprendere la lingua italiana o se la sua incapacità linguistica emerge in modo evidente e comprovato durante il procedimento.

Cosa deve fare un imputato che non comprende l’italiano per ottenere la traduzione?
Deve fare una richiesta esplicita, dichiarando di non conoscere o non comprendere la lingua italiana. Questa dichiarazione è il presupposto fondamentale per l’attivazione delle garanzie previste dall’art. 143 c.p.p.

La nomina di un avvocato di fiducia esonera il giudice dall’obbligo di disporre la traduzione?
Sebbene la nomina di un avvocato di fiducia sia un elemento valutato dal giudice, non esonera di per sé dall’obbligo. Tuttavia, la Cassazione ha sottolineato che in assenza di una qualsiasi manifestazione di difficoltà linguistica da parte dell’imputato o del suo difensore durante tutto il processo, si presume che non vi sia necessità di traduzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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