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Traduzione atti imputato: quando non è necessaria

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato straniero che lamentava la mancata traduzione della sentenza di condanna. La decisione si fonda sulla dichiarazione resa dallo stesso imputato in udienza, con cui affermava di parlare e comprendere la lingua italiana. Tale affermazione ha fatto venir meno il presupposto stesso del diritto alla traduzione degli atti per l’imputato, rendendo il ricorso manifestamente infondato nei suoi presupposti di fatto.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Traduzione Atti Imputato: La Dichiarazione in Aula Rende Superflua la Traduzione

Il diritto di difesa è un pilastro fondamentale del nostro ordinamento e include, per l’imputato straniero, il diritto di comprendere le accuse e gli atti del processo. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 7395/2024, offre un importante chiarimento sui limiti di questo diritto, in particolare sulla necessità della traduzione atti imputato quando lo stesso dichiara di conoscere la lingua italiana. Questo principio sottolinea come le dichiarazioni rese in giudizio abbiano un peso decisivo.

I Fatti del Caso: Appello e Ricorso per Mancata Traduzione

Il caso riguarda un cittadino di nazionalità albanese condannato in primo grado per un delitto contro il patrimonio. In Corte d’Appello, la pena veniva rideterminata a seguito di un accordo tra le parti, secondo la procedura prevista dall’art. 599 bis del codice di procedura penale.

Successivamente, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la nullità della sentenza d’appello. Il motivo? La sentenza, redatta in italiano, non gli era stata tradotta, violando così il suo diritto di difesa sancito dall’art. 143 c.p.p. e dall’art. 24 della Costituzione. Secondo la difesa, non essendo emerso dagli atti che l’imputato conoscesse la lingua italiana, la traduzione era un atto dovuto per consentirgli di comprendere le motivazioni della condanna.

La Decisione della Cassazione sulla traduzione atti imputato

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile perché manifestamente infondato nei suoi presupposti di fatto. La Corte ha basato la sua decisione su un elemento cruciale emerso durante l’udienza d’appello.

La Dichiarazione Spontanea dell’Imputato

Dal verbale dell’udienza d’appello risultava che, informato della facoltà di rendere dichiarazioni spontanee, l’imputato aveva testualmente affermato: “parlo e comprendo la lingua italiana e non ho dichiarazioni da rendere”.

Questa dichiarazione, resa personalmente dall’interessato, ha costituito la prova inconfutabile della sua conoscenza della lingua italiana. Di conseguenza, è venuto meno il presupposto stesso che rende necessaria la nomina di un interprete e la traduzione degli atti.

La Manifesta Infondatezza del Ricorso

Il ricorso si fondava sull’assunto che l’imputato non conoscesse l’italiano. Tuttavia, la sua stessa dichiarazione smentiva categoricamente tale presupposto. Pertanto, la Corte di Cassazione ha concluso che il motivo del ricorso era privo di qualsiasi fondamento fattuale, rendendolo così inammissibile.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte sono lineari e si basano su un principio di logica e coerenza processuale. Se l’imputato stesso accerta, con una dichiarazione diretta e non equivocabile, di avere piena padronanza della lingua del processo, non può in un secondo momento lamentare la violazione di un diritto che presuppone l’esatto contrario, ovvero l’ignoranza di quella lingua.
La Corte ha ribadito che la traduzione degli atti non è un automatismo, ma una garanzia attivata da un presupposto specifico: l’incapacità dell’imputato di comprendere la lingua italiana. Una volta che questo presupposto viene a mancare, per ammissione dello stesso interessato, la garanzia non ha più ragione di esistere. La decisione richiama anche l’art. 610, comma 5 bis, c.p.p., che prevede una procedura semplificata (“senza formalità di procedura”) per dichiarare l’inammissibilità di ricorsi contro sentenze emesse ai sensi dell’art. 599 bis c.p.p.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza fornisce un’indicazione pratica di grande rilevanza: le dichiarazioni rese in aula dall’imputato hanno un valore probatorio determinante e possono precludere successive contestazioni. Un imputato che afferma di comprendere la lingua italiana si assume la responsabilità di tale dichiarazione, con tutte le conseguenze processuali che ne derivano. Per la difesa, ciò implica la necessità di una strategia coerente, evitando di sollevare eccezioni basate su presupposti di fatto smentiti dal proprio assistito. La sentenza riafferma che il diritto alla traduzione atti imputato è una garanzia sostanziale, non un mero formalismo da invocare strumentalmente.

Un imputato straniero ha sempre diritto alla traduzione della sentenza?
No. Secondo la Corte, se l’imputato dichiara in udienza di parlare e comprendere la lingua italiana, viene meno il presupposto fattuale che giustifica la necessità della traduzione degli atti e della sentenza.

Cosa succede se un imputato presenta un ricorso basato su una circostanza smentita dagli atti processuali?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. Questo accade quando il motivo di impugnazione si fonda su un presupposto di fatto che, come in questo caso l’ignoranza della lingua, è stato direttamente smentito nel corso del giudizio.

Qual è la conseguenza dell’inammissibilità del ricorso in questo caso?
L’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di 4.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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