Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23908 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23908 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nata il 11/12/1979 in BULGARIA avverso la sentenza in data 02/07/2024 della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co. 8 dl. N.137/2020 e successivo art 8 d.l. 198/2022.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 02/07/2024 della Corte di appello di Bologna, che ha confermato la sentenza in data 19/02/2024, che l’aveva condannata per il reato di rapina aggravata.
Con l’unico motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza di appello, in quanto non tradotta in una lingua conosciuta dalla cittadina straniera alloglotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo d’impugnazione si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la corte di merito disposto la traduzione della sentenza di appello nei confronti dell’imputata.
Secondo la difesa della ricorrente, la corte di appello non ha considerato che l’imputata era alloglotta, per come dimostrato dalla traduzione della decisione di primo grado in una lingua conosciuta dal ricorrente il provvedimento censurato.
Sulla base di ciò, deduce la nullità della sentenza impugnata, perché non è stata tradotta in una lingua conosciuta dall’imputata.
Su questa materia, in tempi recenti, sono intervenute le Sezioni Unite penali che, con la sentenza Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023 (dep. 2024, COGNOME, Rv. 286356 – 01), hanno sottoposto a una rivisitazione complessiva la questione della traduzione dei provvedimenti giurisdizionali nei confronti di un imputato o di un indagato alloglotta. In questa cornice, occorre evidenziare che il soggetto alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per effetto della mancata traduzione del provvedimento adottato nei suoi confronti e della sequenza procedimentale che da tale atto trae origine, non si può semplicemente limitare «a dolersi dell’omissione, ma, in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che, nella specie, vengono in rilievo, ha l’onere di indicare l’esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificab non rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale» (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, COGNOME, cit.).
L’interesse a dedurre una tale patologia processuale, infatti, sussiste soltanto se e in quanto il soggetto alloglotta abbia allegato di avere subito, in conseguenza della mancata traduzione del provvedimento di cui si controverte, tenuto conto della sequenza procedimentale nel quale si inserisce, un pregiudizio illegittimo.
Sul punto, è opportuno richiamare la sentenza n. 13291 del 19/11/1998 (Sez. 1, Senneca, Rv. 211870 – 01), espressamente citata nella motivazione della sentenza delle sezioni unite COGNOME, secondo cui non si può prefigurare alcuna nullità dell’atto, laddove «sia solo l’imputato a dolersene, senza indicare un suo concreto e attuale interesse al riguardo, non avendo alcun valore la semplice allegazione di un pregiudizio del tutto astratto». Si tratta, a ben vedere, di una conclusione imposta dalla giurisprudenza consolidata in tema di interesse a impugnare, risalente a Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011 (dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693 – 01), secondo cui tale nozione deve essere ricostruita «in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo».
Sulla base di quanto esposto, va ribadito che «in tema di traduzione degli atti, l’imputato alloglotto che si dolga dell’omessa traduzione della sentenza ha l’onere, in coerenza con la natura generale a regime intermedio della nullità che nella specie viene in rilievo, di indicare l’esistenza di un interesse a ricorrere concreto, attuale e verificabile, non essendo sufficiente la mera allegazione di un pregiudizio astratto o potenziale. (Fattispecie relativa a ricorso per cassazione ritualmente presentato dal difensore di fiducia di imputato alloglotto, nella quale la Corte ha ritenut inammissibile il motivo con il quale si deduceva l’omessa traduzione della sentenza di appello, non avendo il ricorrente dimostrato se e in che misura la mancata tempestiva conoscenza personale della sentenza impugnata aveva influito sulle sue strategie difensive)» (Sez. 1, n. 44251 del 16/10/2024, PLLUMAJ, Rv. 287282 – 01).
Ne discende che l’imputata, avendo già avuto conoscenza del procedimento che la riguardava, atteso che le era stata tradotta la sentenza di primo grado e partecipava al giudizio attraverso un difensore di fiducia, (L’Avvocato NOME COGNOME) avrebbe dovuto dimostrare se e in che misura la mancata tempestiva conoscenza personale della sentenza impugnata avrebbe influito sulle proprie strategie difensive; dimostrazione che non è stata fornita tramite il difensore di fiducia, atteso che con il ricorso si enuncia genericamente l’omessa traduzione della sentenza di appello, senza indicare quale pregiudizio concreto subito a causa di tale omissione.
Da ciò l’inammissibilità del ricorso.
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi
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profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della
Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 04/03/2025.