Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21163 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21163 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/09/2023 del TRIBUNALE di SASSARI
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO. NOME COGNOME per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Sassari, Sezione per il riesame, con ordinanza del 22/9/2023, depositata il 20/10/2023, ha rigettato la richiesta di riesame e per l’effetto ha confermato l’ordinanza con la quale il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Tempio Pausania in data 9/9/2023 ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 56 e 575 e 628 cod. pen.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge In relazione all’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. Nel primo motivo la difesa, richiamato il principio evidenziato nell’informazione provvisoria della sentenza Sez. Un. 27/10/2023, eccepisce la nullità dell’ordinanza impugnata in quanto questa, e quella genetica, sebbene fin
dall’udienza di convalida fosse emerso che l’indagato non comprende l’italiano, non sono state tradotte in lingua nota all’indagato.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 52 cod. pen. quanto al mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa, nonché violazione di legge in ordine alla condotta qualificata come rapina impropria.
2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 56 e 575 cod. pen. con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza circa gli elementi costitutivi del reato di tentato omicidio.
2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza e consistenza delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura cautelare disposta.
In data 16 gennaio 2024 sono pervenute in cancelleria le conclusioni nelle quali il AVV_NOTAIO, evidenziato quanto al primo motivo che la mancata traduzione determina una nullità a regime intermedio che la difesa non ha tempestivamente eccepito e che gli ulteriori motivi sono manifestamente infondati, chiede che il ricorso sia rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
Nel primo motivo la difesa deduce la violazione di legge in relazione all’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. quanto alla mancata traduzione dell’ordinanza genetica e di quella di riesame in lingua nota al ricorrente.
La doglianza è infondata.
2.1. La questione della mancata traduzione dell’ordinanza applicativa della misura cautelare personale è stata di recente affrontata dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Pawel, n.m. che nella motivazione, ripercorso il quadro normativo nazionale e internazionale di riferimento, ha enucleato i principi posti sul punto a garanzia del diritto di difesa e le conseguenze derivanti dalla violazione delle disposizioni previste a tutela dello stesso.
Come evidenziato in tale pronuncia, alla quale si rinvia, il diritto dell’indagato/imputato alloglotta all’interprete e alla traduzione degli atti, è regolato dall’art. 143 cod. proc. pen.
Il secondo comma della norma citata indica gli atti dei quali il giudice deve disporre la traduzione e tra questi, per quanto interessa il caso di specie,
prevede espressamente “i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali”.
L’obbligo di tradurre l’atto processuale, d’altro canto, non insorge per il solo fatto che l’imputato non sia un cittadino italiano, ma necessita della prova che lo stesso non conosca la lingua italiana e, pertanto, si atteggia in modo diverso a seconda del momento in cui tale circostanza viene a conoscenza del giudice che procede, cioè se questa era nota quando è stata adottata la misura ovvero se è emersa in un momento successivo (sul punto sempre Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Pawel, n.m. e, in precedenza, Sez. U, n. 5052 del 24/09/2003, dep. 2004, COGNOME, 226717 – 01; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216259 – 01).
Nel primo caso, quello in cui la mancata conoscenza della lingua italiana era nota all’autorità giudiziaria prima dell’emissione della misura, la mancata traduzione determina la nullità ab origine dell’ordinanza di custodia cautelare personale ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen. (da ultimo Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Pawel, n.m.)
Nel secondo, quando cioè non era in precedenza emerso che l’indagato o l’imputato alloglotta non conosceva la lingua italiana, l’ordinanza di custodia cautelare originariamente non tradotta è valida fino a quando non risulta la mancata conoscenza dell’italiano, momento dal quale sorge l’obbligo di traduzione del provvedimento in un congruo termine, il cui inadempimento comporta la nullità dell’intera sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, compresa l’ordinanza di custodia cautelare (così Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Pawel, n.m.).
2.2. In entrambi i casi la mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta dell’ordinanza in presenza delle condizioni richieste dall’art. 143 cod. proc. pen. integra una nullità generale di tipo intermedio la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza.
Tale violazione, infatti, pure riferibile ai casi di cui all’art. 292 cod. proc pen., non integrando alcuna delle ipotesi tassativamente indicate nell’art. 179 cod. proc. pen. rientra, in assenza di una specifica previsione, tra quelle contemplate dagli artt. 178, lett. c) e 180 cod. proc. pen. (così da ultimo sempre Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, Pawel, n.m. che ha ribadito quanto in precedenza indicato in Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216259′ 01; Sez. 5, Sentenza n. 48102 del 15/09/2023, COGNOME, Rv. 285486 – 02).
2.3. Nel caso di specie la difesa ha dedotto con l’atto di ricorso la questione relativa alla nullità sia dell’ordinanza c.d. genetica che di quella emessa dal Tribunale del riesame, ora impugnata,
La doglianza è infondata con riferimento a entrambi i provvedimenti.
2.3.1. La nullità per la mancata traduzione dell’ordinanza che ha disposto la misura cautelare, provvedimento assunto all’esito dell’udienza di convalida che pure si è svolta con la presenza dell’interprete, è sanata in quanto non è stata tempestivamente eccepita (Sez. 5, n. 20035 del 01/03/2023, Vacariu, Rv. 284515 – 01).
La questione, che avrebbe dovuto essere sollevata nel primo momento immediatamente successivo in cui si è verificata la violazione, da ultimo pertanto con la richiesta di riesame ovvero nel corso dell’udienza, infatti, è stata posta per la prima volta con l’atto di ricorso.
2.3.2. La mancata traduzione dell’ordinanza di riesame, invece, non ne determina la nullità.
L’art. 143, comma 2, cod. proc. pen., non indica tale provvedimento tra quelli tassativamente previsti per i quali si deve senz’altro ritenere obbligatoria la traduzione nella lingua madre dell’imputato.
L’ordinanza del tribunale resa ex art. 309 cod. proc. pen., infatti, non è un provvedimento che dispone ab origine la misura cautelare personale, ma costituisce una conferma processuale del provvedimento attraverso il quale siffatta limitazione venne determinata, sicché appare ragionevole la sua esclusione dal novero degli atti per i quali è obbligatoria la traduzione nella lingua del destinatario (Sez. 1, n. 5856 del 10/01/2024, Sleman, Rv. 285759 01; Sez. 6, n. 50766 del 12/11/2014, Awoh, Rv. 261537 – 01; Sez. 1, n. 17905 del 19/01/2015, Koval, Rv 263318 – 01).
Nei motivi secondo, terzo e quarto la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 52 e 628, comma 2, cod. pen., in ordine agli artt. 56 e 575 cod. pen. con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza circa gli elementi costitutivi del reato di tentato omicidio e quanto alla ritenuta sussistenza e consistenza delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura cautelare disposta.
Le doglianze, anche tese a sollecitare una non consentita rilettura degli elementi emersi, sono comunque manifestamente infondate.
3.1. In materia di provvedimenti de libertate la Corte di cassazione non ha alcun potere né di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure poiché sia nell’uno che nell’altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito.
Il controllo di legittimità rimane pertanto circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato, la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, nelle argomentazion rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. un., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv 21528 – 01; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, COGNOME, Rv 269885 01).
Da quanto sopra discende che: a) in materia di misure cautelari la scelta e la valutazione delle fonti di prova rientra fra i compiti istituzionali del giudice d merito sfuggendo entrambe a censure in sede di legittimità se adeguatamente motivate ed immuni da errori logico giuridici, posto che non può contrapporsi alla decisione del Tribunale, se correttamente giustificata, un diverso criterio di scelta o una diversa interpretazione del materiale probatorio; b) la denuncia di insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, anche con riferimento alla corretta qualificazione giuridica attribuita ai fatti, o di assenza di esigenze cautelari è ammissibile solo se la censura riporta l’indicazione precisa e puntuale di specifiche violazioni di norme di legge, ovvero l’indicazione puntuale di manifeste illogicità della motivazione provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, esulando dal giudizio di legittimità sia le doglianze che attengono alla ricostruzione dei fatti sia quelle che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate e valorizzate dal giudice di merito. (Sez. 3, n. 40873 del 21.10.2010, Merja, Rv 248698 – 01).
Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv 251516 – 01; Sez. 4, n. 22500 del 3/5/2007, COGNOME, Rv 237012 – 01).
In materia cautelare, pertanto, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 4, n. 18807 del
23/3/2017, COGNOME, Rv 269885 – 01; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, NOME, Rv 252178 – 01; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv 241997 – 01).
L’insussistenza (ovvero la sussistenza) dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e delle esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.) è, quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo “all’interno” del provvedimento impugnato ed il controllo di legittimità non può riguardare la ricostruzione dei fatti (cfr. Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, COGNOME, Rv 269885 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv 255460 – 01).
3.2. Il giudice del riesame, con gli specifici riferimenti alle fonti di prova acquisite, costituite dalle specifiche dichiarazioni della persona offesa e delle due persone informate di fatti, ha dato adeguato e coerente conto degli elementi posti a fondamento della ricostruzione di quanto accaduto e, di conseguenza, della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ai reati contestati.
La motivazione resa fornisce puntuale risposta alle censure sollevare dalla difesa, ora reiterate.
La legittima difesa è stata correttamente esclusa con il riferimento al contesto complessivo nel quale si sono svolti i fatti che hanno preso le mosse dalla condotta violenta dell’indagato, che ha aggredito per primo la persona offesa che tentava di recuperare quanto sottratto.
Ad analoghe conclusioni si deve pervenire quanto alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di rapina impropria, che è stato correttamente ritenuto con il riferimento all’azione complessivamente tenuta dal ricorrente per procurarsi l’impunità dopo avere sottratto i beni successivamente rinvenuti in suo possesso.
Del pari corretta risulta la qualificazione attribuita ai fatti quale tentato omicidio. In ordine a tale contestazione, infatti, il provvedimento impugnato -con il riferimento alle coincidenti dichiarazioni rese dalla persona offesa e da NOME COGNOME, che hanno raccontato in termini del tutto sovrapponibili del duplice tentativo del ricorrente di colpire all’addome NOME con un coltello- ha dato conto sia dell’idoneità e univocità degli atti che, escluso che la condotta avesse intenti esclusivamente dimostrativi, della sussistenza, allo stato, dell’elemento psicologico, costituito dal dolo alternativo.
La motivazione resa in merito alla sussistenza e consistenza delle esigenze cautelari, fondata sulla gravità dei fatti e sulla personalità dell’indagato desunta dalla condotta tenuta, è coerente alla conclusione nei termini di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere, unica misura ritenuta in
concreto attuabile, pure per l’assenza della disponibilità del ricorrente di un domicilio.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 2 febbraio 2024
Il ConsiAére estensore
Il Presidente