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Tossicodipendenza e reato continuato: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava l’applicazione del reato continuato a tutte le condanne di un imputato. La decisione è stata motivata dal fatto che il giudice di merito aveva completamente ignorato la documentazione relativa allo stato di tossicodipendenza dell’imputato, un elemento cruciale per la valutazione dell’unicità del disegno criminoso. Pertanto, la valutazione della tossicodipendenza e reato continuato è un obbligo per il giudice. Inoltre, l’ordinanza non si era pronunciata su una richiesta di rideterminazione della pena per estorsione, alla luce di una nuova sentenza della Corte Costituzionale.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Tossicodipendenza e reato continuato: il giudice deve valutare

Con la sentenza n. 45891 del 2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di esecuzione penale: quando si valuta la sussistenza di un unico disegno criminoso, la condizione di tossicodipendenza e reato continuato sono elementi che non possono essere ignorati. La Corte ha annullato l’ordinanza di un giudice dell’esecuzione che aveva omesso di considerare la documentazione prodotta dalla difesa, sottolineando come tale omissione vizi la motivazione del provvedimento.

I Fatti del Caso

Un condannato aveva presentato un’istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato a quattro diverse sentenze definitive. L’obiettivo era unificare le pene, riconoscendo che i vari reati erano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva accolto parzialmente la richiesta, ma l’aveva rigettata per i reati oggetto di una delle sentenze, relativi a estorsione, lesioni e minacce commessi in carcere.

Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando principalmente due vizi:
1. La totale omissione, da parte del giudice, della valutazione della documentazione che attestava il suo stato di tossicodipendenza, elemento che secondo la difesa era indicativo dell’unicità del disegno criminoso.
2. La mancata pronuncia sulla richiesta di rideterminare la pena per il reato di estorsione, alla luce di una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 120/2023) che aveva introdotto un’attenuante per i fatti di lieve entità.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando gli atti alla Corte d’Appello per un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno ritenuto fondate entrambe le censure, evidenziando le gravi omissioni del giudice dell’esecuzione.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Cassazione si concentrano su due aspetti cruciali del diritto dell’esecuzione penale.

L’obbligo di valutazione della tossicodipendenza e reato continuato

La Corte ha affermato che lo stato di tossicodipendenza, se debitamente documentato, è uno degli elementi che il giudice deve prendere in considerazione per verificare l’esistenza di un unico disegno criminoso. Sebbene la tossicodipendenza non comporti automaticamente il riconoscimento della continuazione, essa può giustificarla per i reati che sono ad essa collegati, come quelli commessi per procurarsi i mezzi per acquistare sostanze stupefacenti. Ignorare completamente la documentazione prodotta dalla difesa (certificazioni del SERD, relazioni carcerarie, ecc.) costituisce una violazione dell’obbligo di motivazione. Il giudice deve esaminare specificamente tale fattore e spiegare perché lo ritiene rilevante o meno ai fini della decisione. L’omissione totale di questa analisi rende il provvedimento illegittimo.

L’omessa pronuncia sulla richiesta di rideterminazione della pena

Il secondo punto di censura riguarda il silenzio del giudice sulla richiesta di applicare la sentenza della Corte Costituzionale n. 120/2023, che ha introdotto l’attenuante della ‘lieve entità’ per il reato di estorsione. La Cassazione ha ricordato che il procedimento di esecuzione non è soggetto al principio devolutivo tipico delle impugnazioni. Ciò significa che il giudice ha il dovere di pronunciarsi su tutte le questioni sollevate, anche se presentate in corso di procedimento tramite memorie. La declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma penale ha effetti retroattivi e incide anche sulle pene in corso di esecuzione. Pertanto, il condannato ha il diritto di chiedere una rideterminazione della pena, e il giudice ha l’obbligo di rispondere a tale richiesta. L’averla ignorata completamente costituisce un vizio di motivazione che impone l’annullamento della decisione.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza due importanti garanzie per il condannato in fase esecutiva. In primo luogo, stabilisce che tutti gli elementi rilevanti, come la tossicodipendenza e reato continuato, devono essere oggetto di un esame approfondito e motivato da parte del giudice. Non è sufficiente una valutazione sommaria o, peggio, un’omissione totale. In secondo luogo, riafferma il dovere del giudice dell’esecuzione di garantire la legalità della pena in ogni momento, anche adeguandola a sopravvenute pronunce di incostituzionalità. In pratica, la decisione sottolinea che la fase esecutiva non è una mera applicazione burocratica di una condanna, ma un momento giurisdizionale pieno in cui i diritti del condannato devono trovare concreta tutela.

Lo stato di tossicodipendenza del condannato deve essere sempre considerato dal giudice quando si chiede il reato continuato?
Sì. Secondo la sentenza, se lo stato di tossicodipendenza è specificamente dedotto e supportato da idonea documentazione, il giudice dell’esecuzione ha l’obbligo di prenderlo in considerazione e di motivare specificamente sulla sua rilevanza o meno ai fini del riconoscimento dell’unicità del disegno criminoso.

Se il giudice dell’esecuzione non risponde a una richiesta presentata in una memoria difensiva, la sua decisione è valida?
No, la decisione è viziata. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice dell’esecuzione ha il dovere di decidere anche su domande nuove formulate in corso di procedimento, come quelle contenute in una memoria. L’omissione totale di pronuncia su una richiesta specifica rende l’ordinanza mancante di motivazione e, quindi, annullabile.

Una sentenza della Corte Costituzionale che introduce un’attenuante può essere applicata a condanne già definitive?
Sì. La declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma sanzionatoria si applica anche ai rapporti non ancora esauriti, come una pena in corso di esecuzione. Il condannato può quindi chiedere al giudice dell’esecuzione di rideterminare la pena inflitta per renderla conforme alla legalità costituzionale sopravvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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