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Titolare carta prepagata: la responsabilità penale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per truffa. La Corte ha stabilito che la responsabilità penale sussiste per il titolare carta prepagata su cui è confluito l’accredito illecito, poiché fornire i dati della carta per il pagamento costituisce un ruolo essenziale nella consumazione del reato, integrando una forma di concorso. È stata inoltre respinta la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a causa dei precedenti penali e dell’entità del danno.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Titolare Carta Prepagata e Truffa: Quando la Sola Titolarità Comporta Responsabilità Penale

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di truffe online e uso di strumenti di pagamento elettronici. Essere il titolare carta prepagata utilizzata per ricevere i proventi di un’attività illecita non è una circostanza neutra, ma un elemento decisivo che può fondare una condanna per concorso in truffa. Analizziamo questa importante decisione per capire le sue implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di truffa, previsto dall’art. 640 del codice penale. L’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione, contestando la sua responsabilità. La sua difesa si basava su due argomenti principali:

1. Sosteneva che la mera titolarità della carta prepagata, sulla quale era stata accreditata la somma proveniente dalla truffa, non fosse un elemento sufficiente a dimostrare la sua colpevolezza.
2. In subordine, chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.

L’Analisi della Corte e la Responsabilità del Titolare Carta Prepagata

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni difensive. Innanzitutto, ha qualificato il primo motivo di ricorso come generico e ripetitivo. I giudici hanno sottolineato che l’imputato si era limitato a riproporre le stesse questioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza muovere una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata. Questo vizio procedurale, previsto dall’art. 591 c.p.p., è stato sufficiente per dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

Nel merito, la Corte ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui mettere a disposizione la propria carta prepagata per ricevere il profitto di una truffa integra una forma di concorso nel reato. L’atto di comunicare all’acquirente i dati identificativi dello strumento di pagamento è considerato un “ruolo essenziale nella consumazione dell’illecito”. Non si tratta, quindi, di una condotta passiva, ma di un contributo attivo e decisivo per la riuscita del piano criminoso.

Il Rigetto della Causa di Non Punibilità

Anche il secondo motivo, relativo all’applicazione dell’art. 131-bis c.p., è stato giudicato infondato. La Corte d’Appello aveva già escluso questa possibilità con una motivazione ritenuta adeguata e logica. I fattori che hanno portato all’esclusione sono stati:

* Le modalità articolate della condotta: Il crimine non è stato frutto di un’azione estemporanea, ma di un piano strutturato.
* Il danno non trascurabile: Il pregiudizio economico subito dalla vittima non è stato di lieve entità.
* La non occasionalità della condotta: L’imputato aveva numerosi precedenti penali per reati della stessa indole, dimostrando una tendenza a delinquere e non un episodio isolato.

Di fronte a questa puntuale motivazione, la difesa si era limitata a reiterare la richiesta senza criticare specificamente le ragioni del diniego.

Le Motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri. Il primo è di natura processuale: un ricorso è inammissibile se non si confronta criticamente con la decisione impugnata, ma si limita a ripetere argomenti già disattesi. Il secondo è di natura sostanziale e di grande rilevanza pratica: chi incamera il profitto di una truffa su una carta a sé intestata fornisce un contributo causale essenziale al reato. Questo comportamento non è un mero dettaglio, ma un tassello fondamentale del meccanismo fraudolento, che configura il concorso di persone nel reato ai sensi dell’art. 110 c.p. In altre parole, il titolare carta prepagata che la rende disponibile per l’accredito illecito è considerato un complice a tutti gli effetti.

Le Conclusioni

Questa ordinanza invia un messaggio chiaro: la titolarità di uno strumento di pagamento non è mai un fatto privo di conseguenze legali. Chiunque accetti di ricevere denaro di provenienza sospetta sulla propria carta prepagata si espone a una grave responsabilità penale. La giurisprudenza considera tale condotta come un supporto attivo al disegno criminoso, sufficiente a fondare una condanna per concorso in truffa. La sentenza rafforza la tutela delle vittime di frodi online e serve da monito sulla necessità di utilizzare gli strumenti di pagamento elettronici con la massima diligenza e legalità.

La semplice titolarità di una carta prepagata su cui viene accreditato il profitto di una truffa è sufficiente per essere considerati responsabili?
Sì. Secondo la Corte, l’incameramento del profitto su una carta intestata al ricorrente, i cui estremi sono stati comunicati all’acquirente per il pagamento, è un elemento di decisiva rilevanza che impone di attribuire all’imputato un ruolo essenziale nella consumazione del reato, integrando una forma di concorso.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le censure proposte erano una mera reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese, senza un effettivo confronto critico con le ragioni della decisione impugnata, risultando quindi non specifiche come richiesto dall’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale.

Perché non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Non è stata applicata perché la Corte ha valorizzato le modalità articolate della condotta criminosa, il danno di entità non trascurabile causato alla vittima e la non occasionalità della condotta, desunta dai plurimi precedenti penali dell’imputato per reati della stessa indole.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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