Titolare Carta Prepagata e Truffa: Quando la Sola Titolarità Comporta Responsabilità Penale
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di truffe online e uso di strumenti di pagamento elettronici. Essere il titolare carta prepagata utilizzata per ricevere i proventi di un’attività illecita non è una circostanza neutra, ma un elemento decisivo che può fondare una condanna per concorso in truffa. Analizziamo questa importante decisione per capire le sue implicazioni pratiche.
I Fatti di Causa
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato di truffa, previsto dall’art. 640 del codice penale. L’imputato aveva proposto ricorso in Cassazione, contestando la sua responsabilità. La sua difesa si basava su due argomenti principali:
1. Sosteneva che la mera titolarità della carta prepagata, sulla quale era stata accreditata la somma proveniente dalla truffa, non fosse un elemento sufficiente a dimostrare la sua colpevolezza.
2. In subordine, chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.
L’Analisi della Corte e la Responsabilità del Titolare Carta Prepagata
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le argomentazioni difensive. Innanzitutto, ha qualificato il primo motivo di ricorso come generico e ripetitivo. I giudici hanno sottolineato che l’imputato si era limitato a riproporre le stesse questioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza muovere una critica specifica e argomentata contro la motivazione della sentenza impugnata. Questo vizio procedurale, previsto dall’art. 591 c.p.p., è stato sufficiente per dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
Nel merito, la Corte ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui mettere a disposizione la propria carta prepagata per ricevere il profitto di una truffa integra una forma di concorso nel reato. L’atto di comunicare all’acquirente i dati identificativi dello strumento di pagamento è considerato un “ruolo essenziale nella consumazione dell’illecito”. Non si tratta, quindi, di una condotta passiva, ma di un contributo attivo e decisivo per la riuscita del piano criminoso.
Il Rigetto della Causa di Non Punibilità
Anche il secondo motivo, relativo all’applicazione dell’art. 131-bis c.p., è stato giudicato infondato. La Corte d’Appello aveva già escluso questa possibilità con una motivazione ritenuta adeguata e logica. I fattori che hanno portato all’esclusione sono stati:
* Le modalità articolate della condotta: Il crimine non è stato frutto di un’azione estemporanea, ma di un piano strutturato.
* Il danno non trascurabile: Il pregiudizio economico subito dalla vittima non è stato di lieve entità.
* La non occasionalità della condotta: L’imputato aveva numerosi precedenti penali per reati della stessa indole, dimostrando una tendenza a delinquere e non un episodio isolato.
Di fronte a questa puntuale motivazione, la difesa si era limitata a reiterare la richiesta senza criticare specificamente le ragioni del diniego.
Le Motivazioni
La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri. Il primo è di natura processuale: un ricorso è inammissibile se non si confronta criticamente con la decisione impugnata, ma si limita a ripetere argomenti già disattesi. Il secondo è di natura sostanziale e di grande rilevanza pratica: chi incamera il profitto di una truffa su una carta a sé intestata fornisce un contributo causale essenziale al reato. Questo comportamento non è un mero dettaglio, ma un tassello fondamentale del meccanismo fraudolento, che configura il concorso di persone nel reato ai sensi dell’art. 110 c.p. In altre parole, il titolare carta prepagata che la rende disponibile per l’accredito illecito è considerato un complice a tutti gli effetti.
Le Conclusioni
Questa ordinanza invia un messaggio chiaro: la titolarità di uno strumento di pagamento non è mai un fatto privo di conseguenze legali. Chiunque accetti di ricevere denaro di provenienza sospetta sulla propria carta prepagata si espone a una grave responsabilità penale. La giurisprudenza considera tale condotta come un supporto attivo al disegno criminoso, sufficiente a fondare una condanna per concorso in truffa. La sentenza rafforza la tutela delle vittime di frodi online e serve da monito sulla necessità di utilizzare gli strumenti di pagamento elettronici con la massima diligenza e legalità.
La semplice titolarità di una carta prepagata su cui viene accreditato il profitto di una truffa è sufficiente per essere considerati responsabili?
Sì. Secondo la Corte, l’incameramento del profitto su una carta intestata al ricorrente, i cui estremi sono stati comunicati all’acquirente per il pagamento, è un elemento di decisiva rilevanza che impone di attribuire all’imputato un ruolo essenziale nella consumazione del reato, integrando una forma di concorso.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le censure proposte erano una mera reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese, senza un effettivo confronto critico con le ragioni della decisione impugnata, risultando quindi non specifiche come richiesto dall’art. 591, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale.
Perché non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Non è stata applicata perché la Corte ha valorizzato le modalità articolate della condotta criminosa, il danno di entità non trascurabile causato alla vittima e la non occasionalità della condotta, desunta dai plurimi precedenti penali dell’imputato per reati della stessa indole.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23277 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23277 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a SANTA NOME CAPUA VETERE il 08/11/1975
avverso la sentenza del 13/12/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che deduce il difetto della motivazion posta a base dell’affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. pen., lamentando, in particolare, l’inidoneità della mera titolarità della postepay su cui è confluito l’accredito indebito a fondare il giudiz responsabilità, non è consentito poiché non risulta connotato dai requisiti, ric a pena di inammissibilità del ricorso, dall’ art. 591, comma 1, lett. c), cod pen., essendo fondato su profili di censura che si risolvono nella reiterazio quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di me dovendosi gli stessi considerare non caratterizzati da un effettivo confronto co ragioni poste a base della decisione, e dunque non specifici ma soltanto apparen omettendo di assolvere la tipica funzione di una concreta critica argomenta avverso la sentenza oggetto di ricorso (si veda pag. 4 della sentenza impugnata che il giudice di appello ha correttamente ritenuto idonea a fondare il giudi di responsabilità la titolarità in capo all’odierno ricorrente della carta post cui avveniva l’accredito, integrando certamente una forma di concorso rilevante sensi dell’art. 110 cod. pen., applicando adeguatamente i principi affermati d consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui «l’incameramento del profitt confluito su una carta intestata al ricorrente costituisce, pertanto, un elemen decisiva rilevanza al fine della responsabilità del beneficiario per il delitto di trattandosi di strumento i cui estremi identificativi furono comunicati all’acqui per il pagamento del prezzo al momento della vendita, circostanza che impone di ascrivere al prevenuto un ruolo essenziale nella consumazione dell’illecito» (S 7, ord. n. 24562 del 18/4/2023, Montebello);
considerato che il secondo motivo – con cui ci si duole della mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. consentito, in quanto è aspecifico, non confrontandosi con la motivazione d provvedimento impugnato, che, ai fini dell’esclusione della causa di non punibil di cui si discute, ha valorizzato le modalità articolate della condotta crimino danno di entità non trascurabile cagionato alla persona offesa e la occasionalità della condotta, desunta dai plurimi precedenti penali della st indole del reato per cui si procede; che, a fronte di siffatta puntuale motiva il difensore si limita a reiterare le doglianze proposte ai giudici di appello criticare in maniera argomentata la decisione impugnata;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del
ammende.
Così deciso, il 23 maggio 2025.