Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7983 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2   Num. 7983  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, nato a Montevarchi il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte d’appello de L’Aquila del 27.6.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
La Corte d’appello de L’Aquila ha confermato la sentenza con cui, in data 1.6.2021, il Tribunale di Teramo aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile del delitto di truffa e, con la contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena finale di anni 1 di reclusione ed euro 600 di multa oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali;
ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce:
2.1 violazione o falsa applicazione dell’art. 640 cod. pen.: rileva che, come evidenziato nell’atto di appello, la responsabilità del COGNOME si fonda esclusivamente sulla titolarità della carta Postepay su cui la persona offesa aveva accreditato la somma di 460 euro, elemento inidoneo, di per sé, a dar conto della riconducibilità degli artifizi e dei raggiri ad esso ricorrente;
2.2 violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.: segnala che la sentenza della Corte d’appello non è stata in grado di superare le carenze di quella di primo grado finendo per ancorare la responsabilità dell’imputato ad un dato meramente indiziario ed inidoneo a fondare la affermazione di responsabilità;
2.3 violazione di legge in relazione all’art. 131-bis cod. proc. pen.: rileva che la valutazione operata dalla Corte d’appello sulla offensività del fatto illecito risulta slegata da una considerazione complessiva da operarsi in una prospettiva improntata al favor rei;
2.4 violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 62-bis cod. pen. ed alla recidiva: segnala che la Corte d’appello non ha motivato in termini adeguati sulla sollecitazione difensiva concernente le circostanze attenuanti generiche difettando ogni argomentazione anche sul superamento dal minimo edittale che sulla recidiva;
la Procura AVV_NOTAIO ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso: premessa la necessità, trattandosi di una “doppia conforme”, di considerare entrambe le sentenze di merito, rileva come il primo ed il secondo motivo tendano a sollecitare una diversa valutazione RAGIONE_SOCIALE prove mentre la sentenza di secondo grado risulta adeguatamente motivata quanto al trattamento sanzionatorio ed alla ritenuta impossibilità di applicare la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bi cod. pen.. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate o non consentite in questa sede.
Con il primo ed il secondo motivo la difesa deduce, infatti, violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione della penale responsabilità del ricorrente quanto al delitto di truffa per il quale era stato tratto a giudizio giudicato colpevole nei due gradi di merito.
1.1 È appena il caso di rilevare che, lungi dal prospettare un vizio di legittimità, il ricorso finisce per contestare il giudizio di responsabilità, ovvero risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado che, con valutazione per la maggior parte dei casi conforme RAGIONE_SOCIALE medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere l’ipotesi accusatoria riscontrata nell ricostruzione della concreta vicenda processuale.
Vale la pena, allora, ribadire che il vizio di violazione di legge va dedotto contestando la riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale: operazione, questa, che è, invece, propria del giudizio di merito.
Con riguardo, poi, al vizio di motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non è inutile sottolineare che il sindacato di legittimità sull motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione RAGIONE_SOCIALE regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. Longo, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, Casula, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, Agati, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua
manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valen probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 – , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
In particolare, le doglianze articolate in termini di violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. riguardanti l’attendibilità dei testimoni dell’accusa, non essendo l’inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (cfr., Cass. Pen., 1, 20.10.2016 n. 42.207, COGNOME; conf., Cass. Pen., 3, 17.10.2012 n. 44.901, F.; conf., da ultimo, Cass. SS.UU., 16.7.2020 n. 29.541, COGNOME).
1.2 Tanto premesso, rileva il collegio che il Tribunale aveva ricostruito la vicenda sulla scorta RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni della persona offesa che aveva riferito di aver concluso un contratto on line con l’RAGIONE_SOCIALE assicurativa RAGIONE_SOCIALE versando la somma di euro 460 su una carta prepagata Postepay intestata a NOME COGNOME ed avendo ricevuto copia del contratto e del tagliando assicurativo della compagnia Helvetia che erano tuttavia risultati totalmente falsi; il COGNOME, nonostante le ripetute richieste, si era res irreperibile.
Il Tribunale e la Corte d’appello, perciò, hanno potuto concludere nel senso dell’esistenza di tutti gli elementi costitutivi della truffa poiché la persona offes era stata indotta in errore attraverso la pubblicizzazione di una RAGIONE_SOCIALE di assicurazioni inesistente (RAGIONE_SOCIALE), l’offerta di polizze assicurative a basso costo e la indicazione RAGIONE_SOCIALE modalità di pagamento attraverso il versamento dei relativi importi su una carta postepay.
La difesa lamenta, in questa sede, che il giudizio di responsabilità è stato formulato sulla base di un unico dato fattuale, rappresentato dalla titolarità della
carta postepay su cui alla persona offesa era stata data indicazione di accreditare la somma richiesta per il pagamento della polizza.
Il dato è incontroverso in quanto mai il ricorrente ha sentito l’esigenza di spiegare il perché l’accredito di tale somma fosse avvenuto proprio su una carta di cui egli era titolare: è allora il caso di ribadire che nell’ordinamento processuale penale, a fronte dell’onere probatorio assolto dalla pubblica accusa, anche sulla base di presunzioni o massime di esperienza, spetta all’imputato allegare il contrario sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, poiché è l’imputato che, in considerazione del principio della c.d. “vicinanza della prova”, può acquisire o quanto meno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (cfr., Sez. 2 – , Sentenza n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese Virginia, Rv. 278373 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 20171 del 07/02/2013, Weng ed altro, Rv. 255916 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 7484 del 21/01/2014, PG e PC in proc. Baroni, Rv. 259245 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 32937 del 19/05/2014, Stanciu Rv. 261657 – 01; Sez. 4, Sentenza n. 12099 del 12/12/2018, Fiumefreddo, Rv. 275284 – 01).
Correttamente, pertanto, le due sentenze di merito hanno attribuito un rilievo decisivo a tale circostanza poiché, anche laddove egli non si fosse reso protagonista di alcuna condotta decettiva, in ipotesi ascrivibile ad altri, avrebbe tuttavia comunque fornito un contributo essenziale alla realizzazione della truffa in danno della persona offesa.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la struttura unitaria del reato concorsuale implica la combinazione di diverse volontà finalizzate alla produzione dello stesso evento, sicché ciascun compartecipe è chiamato a rispondere sia degli atti compiuti personalmente, sia di quelli compiuti dai correi nei limiti della concordata impresa criminosa per cui, quando l’attività del compartecipe si sia estrinsecata e inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell’evento, fondendosi indissolubilmente con quella degli altri, l’evento verificatosi è da considerare come l’effetto dell’azione combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che non hanno posto in essere l’azione tipica del reato. detto reato, deve essere considerato l’effetto della condotta combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che ne hanno posto in essere una parte priva dei requisiti di tipicità (cfr., Sez. 2 – , Sentenza n. 51174 del 01;10/2019, Rv. 278012, COGNOME; Sez. 5, Sentenza n. 40449 del 10/07/2009, Rv. 244916, COGNOME).
2. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato: la Corte d’appello, infatti, evadendo la sollecitazione difensiva, ha motivato congruamente sul punto spiegando che “… il danno patrimoniale arrecato alla p.o. non è esiguo, il fatto è comunque grave perché ha indotto la vittima a ritenere la propria auto coperta da assicurazione ed a circolare in una situazione di grave pericolo per i
terzi ed infine il prevenuto è gravato da precedenti, anche specifici” (cfr., pag. 3 della sentenza).
Si tratta di una valutazione che non è né censurabile sotto il profilo della violazione di legge né del vizio di motivazione atteso che, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato, come avvenuto nel caso di specie, con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., pur non essendo necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (cfr., tra le altre, Sez. 6 – , n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647 – 01).
3. Il terzo motivo è a sua volta manifestamente infondato ma, ancor prima, precluso.
Vero che la Corte territoriale non ha argomentato sulla recidiva: vero anche che, sul punto, l’appello era del tutto laconico essendosi la difesa (cfr., pagg. 6-8 dell’atto di gravame) limitata a sostenere, per un verso, che la recidiva qualificata suppone necessariamente una precedente dichiarazione di recidiva intervenuta con sentenza passata in giudicato e, in secondo luogo, invocando la giurisprudenza in punto di onere motivazionale circa i relativi presupposti senza, tuttavia, minimamente evidenziare l’errore in cui sarebbe incorso il primo giudice nel dare rilievo alla carriera criminale dell’imputato.
Quanto al primo profilo, allora, è sufficiente richiamare il recente arresto RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite di questa Corte che, componendo un risalente contrasto, hanno definitivamente ribadito che, in tema di recidiva reiterata, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice (cfr., Sez. U – , n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878 – 01).
Sul piano sostanziale, poi, fermo restando che, ai fini della determinazione del complessivo trattamento sanzionatorio il giudice può tenere conto più volte del medesimo dato di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del “ne bis in idem” (cfr., tra le tante, Sez. 3 – , n. 17054 del 13/12/2018 Ud. (dep. 18/04/2019), M., Rv. 275904 03; Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264378 – 01; Sez. 2, n. 933 del 11/10/2013, COGNOME, Rv. 258011 – 01), il motivo, a ben
guardare, è precluso – ai sensi del combinato disposto degli artt. 606, comma terzo e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – dalla sostanziale assenza di doglianze articolate, sul punto, nell’atto di appello (cfr., pag. 3 della sentenza impugnata) e su cui, pertanto, la Corte territoriale non aveva alcun obbligo di motivare; è pacifico, infatti, che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (cfr., Sez. 5 – , n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 13/03/2015, COGNOME, Rv. 262700 – 01).
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, in assenza di elementi idonei a giustificarne l’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in Roma, il 25.1.2024