Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3057 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3057 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a AGRI (TURCHIA) il DATA_NASCITA COGNOME nato a KONYA (TURCHIA) il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato a NATO (TURCHIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/01/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi(Mau tS ,;9ktp, GLYPH Z,5 1)L.
letta la nota del difensore di COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
letta la nota del difensore di NOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
letta la nota del difensore di NOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 27 settembre 2022 il Tribunale di Crotone, in rito abbreviato, ha condannato NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di 10 anni di reclusione e 2.200.000 euro di multa per il delitto dell’art. 12, comma 3, 3-bis,3-ter, d.lgs. 25 luglio 1998 n 286, perché, in concorso tra loro e con altri rimasti ignoti, ponendosi alla guida di un’imbarcazione proveniente dalle coste della Turchia, organizzavano il trasporto nel territorio dello Stato di 105 cittadini extracomunitari privi di titolo d’ingresso, fatto avvenuto il 26 dicembre 2021.
Con sentenza del 27 gennaio 2023 la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta agli imputati in 4 anni di reclusione e 1.400.000 euro di multa, e confermato per il resto la sentenza di primo grado.
In particolare, era accaduto che la sera del 24 dicembre 2021 una unità della RAGIONE_SOCIALE era stata attivata per soccorrere una barca a vela in procinto di affondare con più di 100 migranti a bordo; una volta giunto sul posto, il personale di polizia assumeva il controllo dell’imbarcazione ed individuava tre persone come possibili scafisti, atteso che queste tre persone facevano gruppo tra loro, non comunicavano con gli altri migranti e non ne parlavano la lingua (i tre imputati sono turchi, e quindi parlano il turco; i 105 migranti sono egiziani e siriani, quindi di lingua araba).
Le sommarie informazioni rese nell’immediatezza da alcuni dei migranti confermavano l’ipotesi formulata dal personale di polizia; uno di essi (NOME COGNOME) li indicava esplicitamente come coloro che guidavano lo scafo, un altro (NOME COGNOME) riferiva di averli visti alla guida nel momento finale della chiamata del soccorso, altri due riferivano di non averli mai visti né in Turchia durante il trasferimento nel punto in cui dovevano imbarcarsi nè durante l’imbarco o durante la navigazione sotto coperta.
Avverso il predetto provvedimento han proposto ricorso gli imputati, per il tramite dei rispettivi difensori.
2.1. Ricorso NOME
Con unico motivo deduce violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 111, commi 4 e 5, Cost. e vizio di motivazione, perchè la scelta del rito abbreviato non comporta che l’imputato debba accettare la violazione del diritto a che il giudice nel valutare le prove si attenga ai principi della Carta costituzionale, nel
caso in esame è stato applicato erroneamente l’art. 512, comma 1, cod. proc. pen. perché il giudice di primo grado ha ritenuto di valorizzare nella decisione i verbali delle dichiarazioni nei migranti nonostante l’opposizione della difesa degli imputati per la loro insita contraddittorietà; inoltre, è stato violato l’art. 192 cod. proc. pen con riferimento alla valutazione del narrato dei quattro migranti che contiene in più punti forzature manifestamente illogiche ed errata lettura dei dati storici; in particolare, il riconoscimento fotografico effettuato dai quattro migranti è stato condizionato da elementi di suggestione, perché gli operanti della RAGIONE_SOCIALE di finanza avevano isolato i tre imputati sull’imbarcazione già al momento della abbordaggio, e poi anche sulla banchina del molo del porto di Crotone; inoltre, vi sono delle contraddizioni tra le dichiarazioni dei quattro migranti, atteso che NOME riferisce di aver pagato per il viaggio la somma di 14.000 euro, che è sproporzionata rispetto alla disponibilità di un migrante, poi lo stesso NOME riferisce di aver visto i tre imputati alla guida dell’imbarcazione perché era vicino alle scale però in realtà non aveva nessuna necessità di star vicino alle scale per poter vedere chi conducesse l’imbarcazione perché egli stesso riferisce che gli imputati durante la navigazione più volte avevano detto ai migranti che li avrebbero trattati bene, peraltro non si capisce in che lingua, visto che erano tre turchi mentre tutti gli altri erano egiziani e siriani; inoltre, queste dichiarazio sono in contrasto con quella del migrante NOME NOME riferisce che solo allo sbarco in Italia si era accorto di tre persone che parlavano il turco che non aveva mai visto né prima né durante l’imbarco a bordo, dichiarazione in contraddizione con quelle di NOME che aveva dichiarato che gli imputati avevano parlato con i migranti durante il viaggio per rassicurarli che li avrebbero trattati bene; lo stesso contrasto esiste tra le dichiarazioni di NOME e quelle del migrante NOME, che sostiene di non aver mai visto prima i tre imputati né prima né durante l’imbarco e nemmeno sottocoperta; lo stesso contrasto vi è tra le dichiarazioni di NOME e quelle del migrante NOME perché anche questi riferiva di non aver mai visto a bordo i tre imputati né prima né durante l’imbarco e nemmeno sottocoperta. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Ricorso COGNOME
Con unico motivo deduce violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 111, commi 4 e 5, Cost. e vizio di motivazione; il ricorso è sovrapponibile a quello dell’imputato COGNOME.
2.3. Ricorso NOME
Con unico motivo deduce violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 111, commi 4 e 5, Cost. e vizio di motivazione; il ricorso è sovrapponibile a quello dell’imputato COGNOME.
Con requisitoria scritta il Procuratore generale, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Con note scritte di conclusioni i difensori degli imputati hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
Considerato in diritto
I ricorsi, che possono essere valutati congiuntamente, in quanto del tutto sovrapponibili, sono manifestamente infondati.
Nell’unico motivo, che ciascuno di essi sviluppa, essi deducono anzitutto che sia stato applicato erroneamente l’art. 512, comma 1, cod. proc. pen. perché il giudice di primo grado ha ritenuto di valorizzare nella decisione i verbali delle dichiarazioni nei migranti nonostante l’opposizione della difesa degli imputati per la loro insita contraddittorietà.
L’argomento è manifestamente infondato, perché l’art. 512 cod. proc. pen. opera sotto il profilo dell’acquisizione della prova mentre il parametro della contraddittorietà riguarda la valutazione della prova; esso, pertanto, non spiega alcun effetto quando viene acquisita la prova, venendo in rilievo soltanto in un momento successivo allorchè si tratta di valutarla.
Peraltro, nel caso in esame l’art. 512 cod. proc. pen. è anche invocato erroneamente, perché esso regola l’acquisizione, mediante lettura, delle dichiarazioni rese in indagini preliminari da persone che non sia stato possibile sentire in giudizio, ma nel caso in esame il processo è stato definito con rito abbreviato, e quindi tali dichiarazioni sono entrate nel patrimonio conoscitivo del giudice, e quindi nella decisione, per effetto della scelta del rito, e non per opera della norma dell’art. 512 cod. proc. pen.
I ricorsi deducono anche che il riconoscimento fotografico effettuato dai quattro migranti sarebbe stato condizionato da elementi di suggestione, perché gli operanti della RAGIONE_SOCIALE di finanza avevano isolato i tre imputati già sull’imbarcazione al momento dell’abbordaggio e poi anche sulla banchina del molo del porto di Crotone, talchè i migranti sarebbero stati indirizzati a riconoscere queste tre persone.
L’argomento è manifestamente infondato.
La pronuncia d’appello aveva risposto a questa deduzione degli imputati a pag. 5 della sentenza evidenziando che le dichiarazioni dei migranti sono convergenti e che il riconoscimento è soltanto uno degli elementi di prova a carico degli imputati, che si salda con gli altri evidenziati in motivazione.
Si tratta di risposta logica e coerente con il sistema processuale. E’ lo stesso legislatore che nell’art. 213, comma 1, secondo periodo, cod. proc. pen. (nel caso in esame, il riconoscimento è avvenuto in indagini preliminari ed è quindi regolato dall’art. 361 cod. proc. pen., ma i principi sono comuni alla ricognizione che è il corrispondente mezzo di prova a disposizione del giudice) ha espressamente previsto e nornnato l’ipotesi che la persona chiamata ad effettuare il riconoscimento possa aver già visto in precedenza la persona da riconoscere.
D’altronde, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che finanche “la pubblicazione su un quotidiano locale della fotografia dell’indagato non è circostanza di per sé sola in grado di pregiudicare la validità probatoria della successiva individuazione fotografica effettuata nel corso delle indagini preliminari, spettando sempre al giudice, nell’ambito dell’esame della credibilità del teste, la verifica sull’eventuale condizionamento derivatone in capo alla persona che procede all’incombente” (Sez. 4, Sentenza n. 7287 del 09/12/2020, dep. 2021, Reinhard, Rv. 280598), giudizio di credibilità che il giudice di appello ha effettuato mediante il riferimento, sopra riportato, alla convergenza tra le dichiarazioni dei migrati ed il riscontro ad esse fornito dagli ulteriori elementi di prova a carico.
I ricorsi deducono anche che sarebbe stato violato l’art. 192 cod. proc. pen. nella valutazione delle narrazioni dei quattro migranti, che conterrebbero alcune contraddizioni; in particolare, i ricorsi sottopongono all’esame della Corte di legittimità tre asserite contraddizioni, due interne alle dichiarazioni di NOME, ed una tra le dichiarazioni di NOME e quelle degli altri tre.
La prima asserita contraddizione interna alle dichiarazioni di NOME è il prezzo che questi dichiara di aver pagato per il viaggio (14.000 euro), che, a giudizio dei ricorsi, è una disponibilità sproporzionata a quella di un migrante.
L’argomento è manifestamente infondato, in quanto, in realtà, non consta quale sia la disponibilità economica di questa persona, nessuno sa cosa facesse nella vita e da che tipo di famiglia provenisse, talchè la circostanza che si tratti di una disponibilità sproporzionata è una mera congettura, in quanto tale inidonea a viziare il percorso logico della sentenza, in quanto il motivo formulato su elementi meramente ipotetici o congetturali è inidoneo a determinare una manifesta illogicità della motivazione (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237).
La seconda asserita contraddizione interna alle dichiarazioni di NOME è la circostanza che questi riferisca di aver avuto la possibilità di vedere i tre imputati alla guida dell’imbarcazione grazie alla circostanza che egli si trovava vicino alle scale, e però al tempo stesso riferisca anche che gli imputati durante la navigazione più volte avevano detto ai migranti che li avrebbero trattati bene.
L’argomento è manifestamente infondato, in quanto non vi è alcuna illogicità nella decisione del giudice di appello di non ritenere contraddittorie tali dichiarazioni, perché con la seconda frase il dichiarante attribuisce un ruolo di organizzatori agli imputati per averli visti rassicurare i trasportati, con la prima frase il dichiarante attribuisce ad essi un ruolo ancora più specifico, ovvero quello di aver guidato l’imbarcazione, comportamento che ne individua in modo ancora più preciso le responsabilità, e che rende quindi importante la posizione che il dichiarante NOME aveva mantenuto durante il viaggio che gli ha permesso di guardare cosa succedeva all’esterno.
La contraddizione dedotta in ricorso tra le dichiarazioni di NOME e quelle degli altri tre migranti consisterebbe, invece, nella circostanza che NOME è l’unico tra i quattro migranti sentiti ad aver riferito che i tre imputati durante il viaggi avevano rassicurato i trasportati che li avrebbero trattati bene.
La pronuncia di secondo grado affronta questo argomento ed osserva, a pag. 5 della sentenza impugnata, che “non pare alla Corte quindi che le dichiarazioni abbiano elementi di sospetto risultando distinte chiaramente due diverse posizioni, quella di chi da sottocoperta aveva potuto vedere le persone che si occupavano della guida del mezzo e quelle di chi, non avendo potuto fare altrettanto, ha escluso che i tre odierni imputati facessero parte del gruppo che era stato fatto attendere alcune notti all’addiaccio in un bosco prima di essere condotti sulla barca”.
La risposta del giudice di appello non presenta vizi logici, perché è coerente con la nozione di comune esperienza, che può essere legittimamente assunta come parametro di valutazione della prova dichiarativa, che non tutti i dichiaranti sono portatori necessariamente dello stesso sapere, per cui l’esistenza di contraddizioni tra le dichiarazioni di due diversi testimoni, che possono inficiare il giudizio di attendibilità di uno di essi o di entrambi (Sez. 6, Sentenza n. 3041 del 03/10/2017, dep. 2018, P.C. in proc. Giro, Rv. 272152), si verifica soltanto quando la prima dichiarazione non può essere vera senza che la seconda sia necessariamente falsa.
Nel caso in esame, la diversa posizione con cui NOME ha affrontato la navigazione, che gli permetteva, stando sulle scale, di avere più accesso a quanto succedeva all’esterno della imbarcazione, può anche avergli logicamente permesso di ascoltare quali parole o gesti hanno rivolto i tre imputati ai migranti nel momento in cui si sono avvicinati al locale sottocoperta dove questi erano tenuti, possibilità che sul piano logico potrebbero non aver avuto coloro che si trovavano in una posizione più lontana dello scafo.
In definitiva, i ricorsi sono nel complesso manifestamente infondati.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14 dicembre 2023
Il consigliere estensore
GLYPHI tesidenJe