La Testimonianza della Vittima nel Processo Penale: Quando Basta per la Condanna?
La testimonianza della vittima assume un ruolo centrale in molti processi penali, ma può da sola essere sufficiente a sostenere una sentenza di condanna? Con la recente ordinanza n. 31985/2024, la Corte di Cassazione torna su questo tema cruciale, delineando i confini e i criteri per la valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, anche quando questa si costituisce parte civile. Questo provvedimento offre spunti fondamentali per comprendere il delicato equilibrio tra la tutela della vittima e il diritto di difesa dell’imputato.
I Fatti del Caso: Un Ricorso contro la Condanna
Il caso in esame riguarda un ricorso presentato da un imputato, condannato in Corte d’Appello per il reato di estorsione. La difesa lamentava una violazione dell’articolo 192 del codice di procedura penale, sostenendo che la motivazione della sentenza di condanna fosse viziata. Il fulcro della contestazione era la presunta errata valutazione della testimonianza della vittima, ritenuta dalla difesa non sufficientemente supportata da altri elementi di prova.
La Decisione della Corte di Cassazione e il Valore della Testimonianza della Vittima
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la solidità della decisione dei giudici di merito. I giudici di legittimità hanno chiarito un principio consolidato: le regole probatorie standard, in particolare quelle dettate dall’articolo 192, comma 3, del codice di procedura penale, non si applicano in modo diretto alle dichiarazioni della persona offesa.
Questo significa che la testimonianza della vittima, anche se è l’unica prova a carico dell’imputato, può essere legittimamente posta a fondamento di una sentenza di condanna. Non è quindi necessario cercare riscontri esterni a ogni costo, come invece accade per le dichiarazioni di un co-imputato.
Il Rigoroso Vaglio di Credibilità
Se da un lato la testimonianza della persona offesa ha un valore probatorio autonomo, dall’altro la Corte sottolinea che essa deve essere sottoposta a un esame particolarmente scrupoloso. Il giudice ha il dovere di effettuare una verifica più penetrante e rigorosa rispetto a quella riservata a un qualsiasi altro testimone.
Questo controllo si articola su due livelli:
1. Credibilità Soggettiva: Analisi della persona del dichiarante, della sua moralità, dei suoi rapporti con l’imputato e di eventuali motivi di astio o interesse personale che potrebbero inquinarne la deposizione.
2. Attendibilità Intrinseca: Valutazione della coerenza, logicità e precisione del racconto, verificando l’assenza di contraddizioni interne.
Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse svolto correttamente questo compito, motivando in modo logico e non contraddittorio la propria decisione. I giudici di merito avevano infatti individuato plurimi elementi di conferma, anche esterni e individualizzanti, che corroboravano il racconto della persona offesa, la cui attendibilità era stata vagliata sia intrinsecamente che estrinsecamente.
Le Motivazioni
La motivazione dell’ordinanza si fonda sul principio, già espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 41461/2012), secondo cui la deposizione della persona offesa non può essere equiparata a quella di un testimone ‘terzo’ e disinteressato. La sua posizione peculiare di portatrice dell’interesse leso dal reato impone al giudice un onere di motivazione rafforzato. Non basta una generica affermazione di attendibilità; è necessario che il giudice dia conto, nel provvedimento, del percorso logico che lo ha portato a ritenere credibile il racconto della vittima, superando ogni ragionevole dubbio. Il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato proprio perché la sentenza impugnata aveva rispettato pienamente questo standard, fornendo una giustificazione corretta e non illogica della valutazione probatoria effettuata.
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento ribadisce la centralità e il valore della testimonianza della vittima nel sistema processuale penale. Essa costituisce uno strumento di prova fondamentale, capace di sostenere da solo una condanna. Tuttavia, questa pronuncia serve anche da monito: il valore probatorio non è automatico. La credibilità della persona offesa deve superare un vaglio giudiziale severo e approfondito, la cui correttezza deve emergere chiaramente dalla motivazione della sentenza. In assenza di una verifica così rigorosa, la condanna basata sulle sole dichiarazioni della vittima rischierebbe di essere viziata e annullabile.
La testimonianza della vittima di un reato può essere l’unica prova per una condanna?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che le dichiarazioni della persona offesa possono essere sufficienti da sole a fondare una sentenza di condanna, anche se la vittima si è costituita parte civile nel processo.
Quali controlli deve fare il giudice sulla testimonianza della vittima?
Il giudice deve compiere una verifica più penetrante e rigorosa rispetto a quella di un normale testimone, analizzando sia la credibilità soggettiva del dichiarante (la sua persona e i suoi potenziali interessi) sia l’attendibilità intrinseca del suo racconto (coerenza, logicità e assenza di contraddizioni).
Cosa succede se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la decisione impugnata diventa definitiva. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31985 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31985 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SHKODER( ALBANIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME, ritenuto che il primo motivo di ricorso che denuncia vizio di violazione legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione base della condanna per il reato di cui all’art. 629 cod. pen. in relazione 628, comma 3, n. 1 cod. pen. non è deducibile, in quanto le regole det dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni persona offesa, anche se costituita parte civile, le quali possono legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di pena responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivaz della credibilità soggettiva del/della dichiarante e dell’attendibilità intr suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rig rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi test (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214);
che il denunciato vizio di motivazione è pertanto manifestamente infondato alla stregua della corretta e non illogica argomentazione di cui a pagg. della sentenza impugnata, ove la Corte d’appello indica plurimi elementi conferma anche individualizzanti ed esterni al propalato della persona offes cui attendibilità risulta essere stata – intrinsecamente e estrinseca vagliata;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremil favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2024
Il Consigliere Estensore
Il Presic li lZ