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Testimonianza polizia: quando è valida la prova de relato?

Un imprenditore, prosciolto per la particolare tenuità del fatto in relazione all’impiego di una lavoratrice irregolare, ricorre in Cassazione contestando la validità della testimonianza della polizia. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, chiarendo che la testimonianza di un agente su fatti appresi da colleghi dello stesso corpo non viola il divieto di testimonianza indiretta, confermando così la validità della prova.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Testimonianza Polizia: la Cassazione sui limiti della prova ‘de relato’

La validità della testimonianza della polizia è un pilastro del processo penale, ma presenta confini precisi, soprattutto quando un agente riferisce fatti appresi da colleghi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: l’applicabilità del divieto di testimonianza indiretta tra membri dello stesso corpo di polizia. La decisione analizza il caso di un datore di lavoro che contestava la prova della condizione di irregolarità di una sua dipendente, basata proprio su una testimonianza di questo tipo.

I Fatti del Caso

Il caso nasce dal ricorso di un imprenditore avverso una sentenza della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva confermato la decisione di primo grado, che lo aveva prosciolto per la particolare tenuità del fatto dal reato di impiego di manodopera straniera priva di permesso di soggiorno. Nonostante l’esito favorevole, l’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, puntando a un’assoluzione nel merito e contestando le modalità con cui era stata provata la condizione di irregolarità della lavoratrice.

I Motivi del Ricorso e la questione sulla testimonianza della polizia

Il ricorrente basava la sua difesa su due motivi principali, entrambi focalizzati sulla presunta illegittimità della prova raccolta.

Il primo motivo contestava la violazione dell’articolo 195, comma 7, del codice di procedura penale. Questa norma vieta la testimonianza degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria sul contenuto di dichiarazioni acquisite da testimoni. Secondo il ricorrente, la testimonianza dell’agente che aveva riferito in dibattimento sulla condizione di irregolarità della lavoratrice era da considerarsi ‘de relato’ (indiretta), in quanto l’accertamento non era stato effettuato da lui direttamente, ma da un altro corpo di polizia.

Il secondo motivo, strettamente collegato al primo, sosteneva che, esclusa la testimonianza, non vi fosse prova sufficiente dello stato di clandestinità della lavoratrice.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto entrambe le argomentazioni, dichiarando il ricorso inammissibile.

Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno chiarito che il divieto di testimonianza indiretta previsto dall’art. 195 c.p.p. non è applicabile al caso di specie. Il testimone, infatti, apparteneva allo stesso corpo dei Carabinieri che aveva proceduto al fotosegnalamento della lavoratrice. La Corte ha specificato che la ratio della norma è quella di evitare che nel processo entrino, attraverso la testimonianza dell’agente, dichiarazioni di terzi che potrebbero essere sentiti direttamente. Questo rischio non sussiste quando l’informazione viene scambiata tra agenti dello stesso corpo nel corso della medesima attività di indagine. Inoltre, è stato sottolineato come il testimone fosse l’operante che aveva effettuato l’accesso presso la ditta, trovando la donna priva di documenti.

Di conseguenza, anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha stabilito che lo stato di irregolarità della lavoratrice era ampiamente provato dagli esiti del fotosegnalamento, un atto di polizia giudiziaria i cui risultati costituiscono prova documentale pienamente valida.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di prova penale: la testimonianza della polizia su fatti appresi da colleghi dello stesso corpo durante un’operazione congiunta è pienamente ammissibile e non viola il divieto di testimonianza indiretta. La decisione consolida l’affidabilità delle prove raccolte attraverso la sinergia operativa tra agenti e chiarisce che gli esiti di procedure di identificazione come il fotosegnalamento costituiscono una prova solida e sufficiente a dimostrare lo status di un soggetto. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia conferma l’importanza di analizzare il contesto operativo in cui una prova viene acquisita prima di poterne contestare la validità.

Quando è valida la testimonianza di un poliziotto su fatti riferiti da un collega?
Secondo la Corte di Cassazione, la testimonianza è valida e non costituisce prova indiretta vietata quando l’agente testimone e il collega da cui ha appreso il fatto appartengono allo stesso corpo di polizia e l’informazione è stata scambiata nel medesimo contesto investigativo.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile nonostante l’imputato fosse stato prosciolto?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano manifestamente infondati. L’imputato mirava a un’assoluzione piena, ma la Corte ha confermato la piena validità sia della testimonianza contestata sia delle prove che dimostravano l’irregolarità della lavoratrice.

Quale prova è stata considerata decisiva per dimostrare lo stato di irregolarità della lavoratrice?
La prova decisiva è stata l’esito del fotosegnalamento, ovvero la procedura di identificazione tramite fotografie e impronte digitali. La Corte ha affermato che i risultati di tale procedura comprovavano in modo sufficiente lo stato di irregolarità della persona.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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