Testimonianza Persona Offesa: Quando la Parola della Vittima è Prova Sufficiente
L’attendibilità della testimonianza della persona offesa è uno dei temi più dibattuti e cruciali nel processo penale. Può la sola parola della vittima portare a una condanna? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito principi consolidati, respingendo il ricorso di un imputato e confermando come le dichiarazioni della vittima possano, a determinate condizioni, essere la colonna portante dell’accusa.
I Fatti del Processo
Il caso nasce da una condanna per il reato di furto con strappo, confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Torino. L’imputato, ritenuto responsabile del delitto, ha presentato ricorso per Cassazione, tentando di smontare l’impianto accusatorio. Il fulcro della sua difesa si concentrava su un unico motivo: la presunta inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, la cui testimonianza era stata decisiva per la sua condanna.
I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Testimonianza della Persona Offesa
La difesa dell’imputato ha sostenuto che la versione dei fatti fornita dalla vittima non fosse credibile, sollevando un vizio di motivazione e una violazione di legge da parte dei giudici di merito. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere affidabile il racconto della vittima, proponendo una lettura alternativa delle prove dichiarative. In sostanza, si chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti e di giungere a una conclusione diversa sull’affidabilità della prova principale.
Le Motivazioni della Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato per una serie di ragioni chiare e giuridicamente solide.
In primo luogo, i giudici hanno osservato che le censure presentate erano una mera riproposizione di argomenti già esaminati e respinti con motivazioni corrette dalla Corte d’Appello. Inoltre, le argomentazioni si configuravano come ‘doglianze in fatto’, ovvero tentativi di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione delle prove, compito che esula dalle sue competenze.
Il punto centrale della decisione, tuttavia, riguarda proprio il valore della testimonianza della persona offesa. La Corte ha richiamato il suo orientamento più consolidato (richiamando le Sezioni Unite n. 41461/2012), secondo cui le dichiarazioni della vittima di un reato possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della condanna. A differenza delle dichiarazioni di un coimputato, quelle della persona offesa non necessitano obbligatoriamente di riscontri esterni. Il giudice ha però un onere fondamentale: deve compiere una verifica rigorosa, supportata da una motivazione adeguata, sulla credibilità soggettiva del dichiarante (chi è la persona che parla?) e sull’attendibilità intrinseca del suo racconto (il racconto è logico, coerente e privo di contraddizioni?).
Nel caso specifico, la Corte ha sottolineato che i giudici di merito non solo avevano compiuto questa valutazione con esito positivo, ma avevano anche individuato elementi esterni di conferma, come l’identificazione dell’imputato da parte di un testimone che lo conosceva personalmente e si trovava in sua compagnia al momento del fatto. Questo ha reso del tutto infondata anche la censura relativa all’affidabilità dell’individuazione fotografica.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio di capitale importanza nel diritto processuale penale. La parola della vittima ha un peso significativo e può essere sufficiente a fondare una sentenza di condanna. Tuttavia, non si tratta di un’accettazione acritica. Il sistema richiede un vaglio giudiziale approfondito e motivato sulla credibilità del dichiarante e la coerenza del suo racconto. Per gli imputati, ciò significa che non è sufficiente, in sede di legittimità, limitarsi a criticare genericamente l’attendibilità della vittima o a proporre una diversa lettura dei fatti. È necessario dimostrare vizi logici o giuridici manifesti nella motivazione del giudice, un compito che, come dimostra questo caso, è spesso arduo. La decisione si conclude con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
La testimonianza della persona offesa è sufficiente per una condanna penale?
Sì, secondo l’orientamento consolidato della Cassazione, le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale, senza la necessità di elementi di riscontro esterni.
Quali sono i requisiti perché la dichiarazione della persona offesa sia considerata una prova valida?
Il giudice deve effettuare una verifica rigorosa, corredata da idonea motivazione, sulla credibilità soggettiva del dichiarante (valutando la sua persona e le sue motivazioni) e sull’attendibilità intrinseca del suo racconto (analizzandone la coerenza, la logicità e l’assenza di contraddizioni).
È possibile contestare l’attendibilità della persona offesa in Cassazione?
No, non è possibile contestare l’attendibilità in sé, poiché ciò comporterebbe una nuova valutazione dei fatti, preclusa alla Corte di Cassazione. Si può ricorrere solo se si ravvisa un vizio di motivazione (es. motivazione manifestamente illogica o contraddittoria) nel modo in cui il giudice di merito ha valutato tale attendibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2656 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2656 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a NOVARA il 22/06/2000
avverso la sentenza del 09/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputato COGNOME Simone ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, che ne ha confermato la condanna per il delitto di furto con strappo;
Considerato che l’unico motivo di ricorso -che deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta attendibilità della persona offesa presenta concorrenti profili di inammissibilità in quanto:
è meramente riproduttivo di censure già vagliate e disattese dal giudice di merito con corretti argomenti giuridici (pagg. 9 e 10);
si risolve in doglianze in fatto che, come tali, esulano dal novero dei vizi deducibili, e mirano, inoltre, a prospettare una diversa lettura della prova dichiarativa;
è manifestamente infondato, alla luce del consolidato orientamento di legittimità secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214); nella specie, peraltro, il giudice di merito ha individuato plurimi elementi esterni di conferma delle dichiarazioni accusatorie anche nel rispetto del principio dettato dall’art. 6 CEDU (cfr. Sez. U, n. 27918 del 25/11/2010, dep. 2011, D. F., Rv. 250199 – 01);
Ritenuto che la censura sulla affidabilità della individuazione fotografica dell’imputato è manifestamente infondata, in quanto l’identità di NOME COGNOME è stata riferita da un testimone che lo conosceva di persona e che si trovava in sua compagnia al momento del fatto;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condannalo ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18/12/2024