Testimonianza Persona Offesa: Quando Basta per la Condanna?
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a pronunciarsi su due temi cruciali del processo penale: il valore della testimonianza della persona offesa e i limiti alla rinnovazione delle prove in appello. La decisione offre importanti chiarimenti su come le dichiarazioni della vittima possano, da sole, fondare un giudizio di colpevolezza e ribadisce il rigore con cui vengono valutate le richieste di riapertura dell’istruttoria.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dai ricorsi presentati da due individui, condannati in appello per reati di rapina e porto abusivo di armi. Il primo ricorrente lamentava la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in particolare la mancata audizione di un testimone che, a suo dire, sarebbe stata decisiva. La seconda ricorrente, invece, contestava la sentenza basandosi su una presunta violazione delle regole di valutazione della prova, sostenendo che la sua condanna si fondasse unicamente sulle dichiarazioni della vittima, ritenute non sufficientemente attendibili.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi, confermando la decisione della Corte d’Appello. La pronuncia si articola nell’analisi distinta dei due motivi di ricorso, fornendo principi di diritto consolidati e di grande rilevanza pratica.
Le Motivazioni della Decisione: Analisi dei Principi
La Corte ha smontato le argomentazioni difensive con un ragionamento logico-giuridico impeccabile, affrontando separatamente le due questioni procedurali e probatorie.
Limiti alla Rinnovazione dell’Istruttoria in Appello
In merito al primo ricorso, la Cassazione ha ricordato che, nell’ambito di un appello contro una sentenza emessa con rito abbreviato, la rinnovazione dell’istruttoria è un evento eccezionale. Può essere concessa solo quando il giudice la ritenga ‘assolutamente necessaria’ ai fini della decisione. Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che la richiesta di sentire un nuovo testimone non era finalizzata a introdurre un elemento di prova decisivo, ma rappresentava piuttosto un tentativo di proporre una ricostruzione alternativa dei fatti, già vagliata e respinta nei gradi di merito. Un’istanza di questo tipo si traduce in una doglianza di ‘mero fatto’, che esula dalle competenze della Corte di Cassazione, la quale giudica solo sulla corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità) e non sul merito dei fatti.
Il Valore della Testimonianza della Persona Offesa
Sul secondo e più rilevante punto, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: la testimonianza della persona offesa può costituire da sola la prova della responsabilità penale dell’imputato. Non si applicano, in questo caso, le regole (previste dall’art. 192, comma 3, c.p.p.) che richiedono riscontri esterni per le dichiarazioni dei coimputati. Tuttavia, questa autosufficienza probatoria non è automatica. È subordinata a una rigorosa verifica da parte del giudice, il quale deve:
1. Valutare la credibilità soggettiva del dichiarante: analizzare la personalità della vittima, le sue condizioni psicologiche, i suoi rapporti con l’imputato e l’eventuale presenza di motivi di rancore o interesse.
2. Verificare l’attendibilità intrinseca ed estrinseca del racconto: controllare la coerenza, la logicità e la precisione della narrazione, confrontandola con altri elementi processuali, se disponibili.
Il giudice deve fornire una motivazione solida e completa che dia conto di questo processo valutativo. Nel caso esaminato, la Corte d’Appello aveva adempiuto a tale onere, come emergeva dalle pagine della sentenza impugnata, rendendo il motivo di ricorso manifestamente infondato.
Conclusioni
L’ordinanza in commento consolida due importanti pilastri del diritto processuale penale. Da un lato, riafferma che la macchina della giustizia non può essere rallentata da richieste di nuove prove in appello che non siano strettamente indispensabili, tutelando così l’efficienza processuale. Dall’altro, conferma l’elevato valore probatorio attribuito alla parola della vittima di un reato, purché sottoposta a un vaglio critico e approfondito da parte del giudice. Questa decisione sottolinea come la credibilità e l’attendibilità, supportate da una motivazione adeguata, siano le chiavi per trasformare una dichiarazione in una prova sufficiente per una sentenza di condanna.
È possibile chiedere di sentire nuovi testimoni durante il processo d’appello?
Sì, ma solo in casi eccezionali. L’ordinanza specifica che la rinnovazione dell’istruttoria in appello, specialmente a seguito di un giudizio abbreviato, è ammessa solo se il giudice la ritiene ‘assolutamente necessaria’ e potenzialmente decisiva per la valutazione complessiva delle prove.
La sola testimonianza della persona offesa è sufficiente per una condanna penale?
Sì. Secondo la Corte, le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste da sole a fondamento di una condanna, a condizione che il giudice compia una verifica attenta e motivata della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità del suo racconto.
Perché il ricorso che critica la valutazione delle prove viene considerato inammissibile in Cassazione?
La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare i fatti o le prove, ma solo verificare che la legge e le procedure siano state applicate correttamente. Un ricorso che chiede una nuova valutazione del materiale probatorio è, quindi, al di fuori delle sue competenze e viene dichiarato inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24047 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24047 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 06/03/2000 NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 01/06/1991
avverso la sentenza del 05/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME NOMECOGNOME
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso di NOME COGNOME che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità per i reati di cui agli artt. 628 cod. pen. e 4 I. n. 110/1975 per mancata rinnovazione istruttoria così come richiesta dal ricorrente nel giudizio abbreviato, non è consentito perché, oltre a denunciare vizi non emergenti dal testo del provvedimento impugnato, è altresì fondato su censure che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito, dovendosi considerare le stesse non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
Premesso che nel giudizio di appello avverso la sentenza resa in abbreviato è ammessa la rinnovazione istruttoria solo nel caso in cui il giudice ritenga l’assunzione assolutamente necessaria, perché potenzialmente idonea a incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti, dalla lettura della sentenza impugnata si ricava che il giudizio sull’assenza di decisività dell’esame della teste COGNOME NOME si fonda sulla complessa ricostruzione dei fatti dalla quale si evince l’esistenza di una frattura interferenziale tra il fatto sui cui dovrebb riferire la teste, quale oggetto della prova rinnovata, e gli specifici accadimenti imputativi ai danni della persona offesa NOME, ritenuti susseguenti e per la dimostrazione dei quali sufficienti gli esiti istruttori conseguiti attraverso il abbreviato (sul punto, si vedano pagg. 5-6 della sentenza impugnata);
che pertanto, la rinnovata richiesta finisce per fondarsi su una alternativa prospettata ricostruzione dei fatti e, dunque, finisce per sottoporre alla corte di legittimità, al fine dello scrutinio del vizio denunciato, una doglianza di mero fatto
Considerato che l’unico motivo di ricorso di NOME COGNOME NOMECOGNOME che denuncia violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, oltre a non essere consentito in questa sede perché tendente ad una rivalutazione del materiale probatorio acquisito, è altresì non deducibile, in quanto le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca del suo racconto;
che manifestamente infondato, alla stregua della corretta e non illogica argomentazione di cui a pagg. 6-10 della sentenza impugnata, è anche il denunciato vizio di motivazione;
i giudici di merito, infatti, hanno correttamente valorizzato le dichiarazioni della persona offesa, la quale, con un racconto lineare e coerente con le risultanze
probatorie – si vedano le deposizioni dei testi che riferiscono di aver visto due persone darsi alla fuga, nonché la camicia strappata alla vittima a seguito
dell’aggressione degli imputati – ha dimostrato piena attendibilità, non risultando nessun motivo di astio o risentimento verso gli odierni ricorrenti che, in senso
opposto, non hanno fornito una giustificazione plausibile sui fatti oggetto di giudizio;
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili con
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2025
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