Testimonianza Persona Offesa: Quando Basta per la Condanna?
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale nel processo penale: la testimonianza della persona offesa può essere sufficiente, da sola, a fondare una sentenza di condanna. Questa decisione offre spunti cruciali sulla valutazione della prova e sui limiti del ricorso in sede di legittimità. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso di violenza privata e le conclusioni a cui sono giunti i giudici supremi.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da una condanna per il reato di violenza privata, previsto dall’art. 610 del codice penale. La sentenza, emessa dal Tribunale e successivamente confermata dalla Corte d’Appello, riteneva un individuo responsabile di aver costretto altri, con violenza o minaccia, a compiere un’azione contro la loro volontà. L’imputato, non rassegnandosi alla decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a tre distinti motivi di doglianza.
I Motivi del Ricorso e la Credibilità della Testimonianza della Persona Offesa
Il ricorso presentato dall’imputato si articolava su tre punti principali, mirati a smontare l’impianto accusatorio e la decisione dei giudici di merito.
### La Violazione dell’Art. 192 del Codice di Procedura Penale
Il primo e più significativo motivo di ricorso contestava la violazione delle regole sulla valutazione della prova. La difesa sosteneva che la condanna fosse basata unicamente sulle dichiarazioni delle persone offese, senza adeguati riscontri esterni. Secondo l’imputato, i giudici non avrebbero applicato correttamente i criteri di valutazione della testimonianza della persona offesa, ignorando presunte discrepanze e senza una motivazione adeguata sulla sua credibilità.
### La Mancanza della Condizione di Procedibilità
In secondo luogo, il ricorrente lamentava la mancata pronuncia di una sentenza di non doversi procedere a causa dell’assenza di una querela formale da parte di una delle persone offese. Questo vizio procedurale, secondo la difesa, avrebbe dovuto bloccare il processo fin dall’inizio.
### Il Diniego delle Attenuanti Generiche
Infine, l’imputato contestava la decisione della Corte d’Appello di non concedergli le circostanze attenuanti generiche, previste dall’art. 62 bis del codice penale, ritenendo la motivazione del diniego illogica e insufficiente.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha esaminato tutti i motivi del ricorso, dichiarandoli manifestamente infondati e, di conseguenza, il ricorso inammissibile.
I giudici hanno chiarito che il principio secondo cui le regole dell’art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa è consolidato. La testimonianza della persona offesa può costituire l’unica prova a sostegno di una condanna, a condizione che il giudice compia una rigorosa verifica della sua attendibilità. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente motivato, ritenendo le deposizioni delle vittime “chiare e lineari”, pienamente attendibili e corroborate dalla testimonianza di un’altra persona. La versione alternativa dei fatti fornita dall’imputato, invece, era stata giudicata “del tutto illogica e non credibile”.
Anche il secondo motivo è stato respinto. La Cassazione ha evidenziato che dagli atti processuali risultava la presenza di una formale denuncia querela sporta da una delle vittime, un atto sufficiente a soddisfare la condizione di procedibilità richiesta dalla legge.
Infine, il motivo relativo alle attenuanti generiche è stato giudicato generico e non specifico. La Corte ha ribadito che, nel motivare il diniego delle attenuanti, non è necessario che il giudice esamini ogni singolo elemento favorevole o sfavorevole, ma è sufficiente che faccia riferimento agli elementi ritenuti decisivi. La motivazione della Corte d’Appello è stata considerata esente da illogicità.
Le Motivazioni
La Corte Suprema ha fondato la sua decisione su principi giurisprudenziali consolidati. Il cuore della pronuncia risiede nella riaffermazione del valore probatorio della testimonianza della persona offesa. Non si tratta di una prova ‘minore’, ma di un elemento di prova pieno, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito. Tale apprezzamento, se sorretto da una motivazione logica, coerente e priva di vizi palesi, non può essere messo in discussione in sede di legittimità. La Cassazione non è un ‘terzo grado di giudizio’ dove si possono rivalutare i fatti, ma il custode della corretta applicazione della legge e della logicità delle motivazioni. La Corte ha inoltre sottolineato come i motivi di ricorso non possano limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di merito, ma debbano individuare vizi specifici della sentenza impugnata.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che la parola della vittima ha un peso determinante nel processo penale. Tuttavia, ciò non significa che sia una prova ‘a scatola chiusa’. È onere del giudice effettuare un vaglio rigoroso sulla credibilità soggettiva del dichiarante e sull’attendibilità oggettiva del suo racconto, cercando eventuali riscontri. La decisione insegna che un ricorso in Cassazione deve essere tecnicamente ben costruito, concentrandosi su vizi di legittimità o palesi illogicità della motivazione, e non può sperare di ottenere una nuova valutazione delle prove già esaminate e ritenute attendibili dai giudici di merito.
La sola testimonianza della persona offesa è sufficiente per una condanna?
Sì, la Corte di Cassazione ribadisce che le dichiarazioni della persona offesa possono essere poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale, a condizione che il giudice ne verifichi, con una motivazione rigorosa, la credibilità soggettiva e l’attendibilità intrinseca ed estrinseca del racconto.
Cosa succede se per un reato procedibile a querela, solo una delle persone offese la presenta?
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la presenza di una formale denuncia querela presentata da una delle persone offese fosse sufficiente ad escludere la mancanza della condizione di procedibilità, permettendo così al procedimento penale di proseguire validamente.
È possibile ottenere le attenuanti generiche riproponendo in Cassazione gli stessi argomenti già respinti in appello?
No, la Corte ha giudicato tale approccio un motivo di ricorso generico e quindi inammissibile. Per contestare efficacemente il diniego delle attenuanti generiche, è necessario criticare in modo specifico la motivazione della sentenza impugnata, evidenziandone eventuali vizi logici, e non semplicemente riproporre le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice precedente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20851 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20851 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 14/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il 20/03/1969
avverso la sentenza del 31/10/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha confermato la condanna dell’imputato per il reato di violenza privata di cui all’art. 610 cod. pen. (capo B);
Considerato che il primo motivo di ricorso, che lamenta violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e vizio della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità, è manifestamente infondato in quanto, con corretta e non illogica argomentazione di cui a pag. 5 della sentenza impugnata, il giudice di merito, richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca del suo racconto, ha ritenuto pienamente attendibili, chiare e lineari le deposizioni delle persone offese, non rilevando alcuna discrepanza con quanto emerso in fase d’indagine. La ricostruzione dei fatti effettuata da COGNOME e COGNOME trova, inoltre, perfetto riscontro in quanto riportato dalla testimone COGNOME VanessaCOGNOME apparendo invece del tutto illogica e non credibile la versione alternativa proposta dall’imputato;
Rilevato che il secondo motivo di gravame, che denunzia violazione di legge in relazione alla mancata pronuncia di sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela da parte di COGNOME è manifestamente infondato perché lamenta violazione di norme smentita dagli atti processuali, così come risulta dalla presenza di formale denuncia querela da parte di COGNOME Pasquale, resa in data 29/06/2018 e sufficiente ad escludere la mancanza della condizione di procedibilità lamentata dalla difesa;
Ritenuto che il terzo ed ultimo motivo, che contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., è generico, perché fondato su argomenti che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame e, pertanto, non specifici, ed è, inoltre, non consentito in sede di legittimità e manifestamente infondato in presenza (si veda pag. 7 della sentenza impugnata) di una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv.
265826 – 01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364
del 16/06/2010, Giovane e altri, Rv. 248244);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 14 maggio 2025
e est
Il onz
GLYPH
siglie ore
Il Presidente