Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21005 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21005 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PATTI il 31/03/1992
avverso la sentenza del 22/11/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso
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RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Appello di Messina ha confermato la sentenza emessa dal giudice di primo grado il 10.11.2023, con cui NOME COGNOME è stato condannato, in continuazione, alla pena di mesi sette di reclusione ed euro 500 di multa per il reato di furto aggravato (dalla destrezza) di due borse, contenenti il telefono cellulare, il portafoglio con danaro ed altri effetti personali, sottratte a due ospiti di una discoteca, nonché per il reato di ricettazione di un telefono cellulare, riqualificata tale fattispecie ai sensi del secondo comma dell’art. 648 cod. pen.
Avverso la citata sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo sette motivi diversi.
2.1. La prima ragione di censura denuncia violazione di legge e mancanza di motivazione della sentenza impugnata, che ha condannato il ricorrente sulla base di testimonianze “de relato”, senza dare luogo all’esame della testimone di riferimento, unica ad avere visto direttamente l’imputato mentre si appropriava dei beni contestati come sottratti; tale mancato esame determina l’inutilizzabilità delle dichiarazioni e l’assenza di prova del reato, sicchè si chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna.
La risposta della Corte d’Appello all’analoga eccezione proposta dalla difesa con l’impugnazione di merito – vale a dire la decadenza della difesa dall’eccezione di inutilizzabilità delle prove testimoniali – sarebbe incoerente rispetto all’odierna fattispecie processuale, poiché nella giurisprudenza citata dalla sentenza impugnata l’esame del teste di riferimento era stato richiesto dalla difesa, mentre nel caso del ricorrente il giudice aveva disposto l’esame su sollecitazione della difesa, ma a norma dell’art. 195, comma 2, cod. proc. pen. e d’ufficio. Orbene, dal momento che l’onere della prova spetta all’accusa, era il pubblico ministero a doversi attivare per eccepire la mancata audizione in dibattimento del teste di riferimento, sicchè la mancata eccezione della difesa non serve a sanare l’inutilizzabilità delle testimonianze de relato.
2.2. La seconda censura eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valutazione della prova testimoniale indiretta, poiché il riscontro alle dichiarazioni delle testimoni, rappresentato dal ritrovamento della refurtiva presso l’abitazione dell’imputato, poche ore dopo i fatti e nel corso di una perquisizione domiciliare, non prova che egli sia l’autore dei furti, ma soltanto, al più, l’autore di delitti di ricettazione.
2.3. La terza argomentazione difensiva attinge la coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, che si denuncia contraddittoria e manifestamente illogica quanto alla condanna per la ricettazione di cui al capo B.
La sentenza d’appello ha ritenuto che il ricorrente sia l’autore dei furti, sostenendo che sia altamente improbabile che egli, in quell’orario notturno in cui si sono verificati i reati, abbia ricevuto da altri esattamente tutti i beni sottra poche ore prima e ritrovati nella sua abitazione; ma tale affermazione contrasta con la ritenuta colpevolezza per il delitto di ricettazione di un telefono cellulare pure ritrovato nella sua disponibilità.
2.4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione mancante in relazione alla richiesta di riqualificazione del reato di ricettazione di cui al capo B, nella contravvenzione prevista dall’art. 712 cod. pen.
La circostanza che l’imputato non abbia riferito come sia venuto in possesso del telefono cellulare provento del reato non può essere considerata una prova della sua responsabilità per il delitto di ricettazione, soprattutto quanto all’elemento soggettivo. Manca la prova della consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto.
2.5. La quinta ragione di censura eccepisce vizio di violazione di legge e di motivazione mancante in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato sulla gravità delle condotte, realizzate in un medesimo contesto temporale, con sottovalutazione delle modalità di commissione dei furti e dell’intensità del dolo, addotti dalla difesa come elementi favorevoli.
Si è violata, pertanto, la ratio che sta alla base della previsione di cui all’art 62-bis cod. pen., da ravvisarsi nell’esigenza di adeguare la pena al caso concreto, per mitigarne gli effetti.
2.6. La sesta ragione difensiva ruota intorno alla denuncia di violazione di legge e vizio di carenza di motivazione quanto alla dosimetria sanzionatoria, tenuta in misura molto superiore al minimo edittale, senza adeguata argomentazione giustificativa e senza richiamo ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen.
2.7. Un ultimo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di carenza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., di cui richiama invece la sussistenza delle condizioni per l’applicazione.
Il Sostituto Procuratore Generale della Corte di cassazione ha chiesto con requisitoria scritta l’inammissibilità del ricorso.
3.1. La difesa dell’indagato ha depositato memoria e conclusioni in vista dell’udienza con le quali insiste nell’accoglimento del ricorso, ribadendone le
ragioni ed opponendosi agli argomenti del Procuratore Generale, proposti nella requsitoria scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato e generico.
Il ricorrente eccepisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni testimoniali che hanno condotto alla sua individuazione come autore del furto in discoteca al centro dell’imputazione, perché non è stata esaminata la teste di riferimento, trattandosi di dichiarazioni de relato provenienti da due delle persone presenti, le quali hanno raccontato di aver avuto i dettagli utili da una terza ragazza, non escussa.
La sentenza impugnata ha correttamente rilevato come la difesa, una volta che le testimonianze indirette erano state assunte, non abbia contestato la mancata assunzione della testimone diretta, ammessa e revocata nel corso del dibattimento, neppure in sede di conclusioni, così mostrando di non opporsi all’utilizzazione delle sue dichiarazioni.
L’osservazione difensiva secondo cui la giurisprudenza richiamata dalla Corte d’Appello si riferisce ad una fattispecie in cui la testimone diretta era stata ammessa su richiesta della difesa, mentre nel caso di specie la scelta sia avvenuta ai sensi del secondo comma dell’art. 195 cod. proc. pen., da parte del giudice, su sollecitazione pur sempre della difesa, oltre a non rivestere alcun rilievo, appare anche inesatta.
Le ipotesi del primo e del secondo comma dell’art. 195 cod. proc. pen. differiscono tra loro proprio perché la prima manifesta la specifica possibilità, per le parti processuali, di sollecitare il giudice all’esercizio dei suoi poteri istrutt mentre la seconda stabilisce che, a prescindere da tale sollecitazione, il giudice possa esercitare il potere di esame del teste diretto perché si convinca autonomamente di tale necessità. Ma nessuna differenza è rinvenibile nel procedimento attuativo di tali facoltà, che è sempre demandato al potere istruttorio integrativo del giudice.
Nel caso di specie, pertanto, dalla stessa prospettazione difensiva emerge che il giudice abbia agito ex art. 195, comma 1, cod. proc. pen. quando ha deciso l’esame della testimone diretta.
Ad ogni modo, La pronuncia evocata dalla sentenza d’appello, Sez. 5, n. 8434 del 21/1/2020, Catania, Rv. 278390, esprime il precipitato di principi ermeneutici generali, già contenuti in altre sentenze e rispetto ad una variegata casistica (cfr. Sez. 3, n. 2001 del 13/11/2007, dep. 2008, R., Rv. 238848, in una fattispecie di
espressa rinuncia al teste diretto; Sez. 6, n. 12982 del 20/2/2020, L., Rv. 279259, in fattispecie di rinuncia implicita; vedi anche Sez. 5, n. 50346 del 22/10/2014, Palau, Rv. 261316).
La regola generale è che la testimonianza indiretta è utilizzabile qualora nessuna parte abbia chiesto che il teste di riferimento fosse chiamato a deporre, posto che il divieto di utilizzazione è preveduto solo nel caso in cui il giudice, richiesto da una parte, non abbia disposto l’assunzione della testimonianza, o nel caso in cui il testimone indiretto non abbia voluto o potuto indicare la persona da cui aveva appreso la notizia (cfr., tra le molte, Sez. F, n. 38076 del 31/07/2008, COGNOME, Rv. 241440 – 01).
Tale utilizzabilità sussiste anche quando il teste sia stato, comunque, ammesso e poi venga revocato, senza che la difesa dell’imputato o le parti si oppongano, così implicitamente adeguandosi alla scelta del giudice.
Ed infatti, le disposizioni dei commi 3 e 7 dell’art. 195 cod. proc. pen. vietano la utilizzazione delle testimonianze indirette solo nei casi tassativi evidenziati: vale a dire quando il giudice, richiesto da una delle parti, non abbia disposto l’assunzione della testimonianza diretta (comma 3) o nel caso in cui il testimone indiretto non abbia voluto o potuto indicare la persona da cui aveva appreso la notizia (comma 7).
Il legislatore non ha esteso l’inutilizzabilità della testimonianza indiretta a ipotesi diverse da quelle espressamente previste, mentre vige il principio della generale ammissibilità della prova testimoniale, desumibile dall’art. 194 cod. proc. pen., sicchè, a norma dell’art. 14 delle preleggi, le stesse disposizioni non possono applicarsi oltri i casi in esse considerati.
Del resto, anche la Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di rito precisava che “resta salva, invece, la legittimità della testimonianza indiretta quando manchi la richiesta di parte e il giudice ritenga di non attingere alla fonte diretta delle informazioni” (in tema, cfr. anche la sentenza della Corte costituzionale n. 24/1992, sull’art. 111, comma 5, Cost. e la formazione della prova senza contraddittorio delle parti che può aver luogo quando vi sia il consenso dell’imputato).
Nel caso di specie, la mancata opposizione della difesa dell’imputato alla revoca del teste di riferimento, di cui si era, dunque, adeguatamente chiarita l’identità, equivale a mancato interesse a proseguire nella richiesta di esame inizialmente proposta e come consenso alla utilizzabilità delle risultanze delle testimonianze indirette, in quanto implicita rinuncia a sentire il teste diretto sotto il controllo dibattimentale incrociato.
L’obiezione difensiva, peraltro, si rivela generica là dove non tiene conto della doppia ratio utilizzata dalla Corte d’Appello nel rispondere all’eccezione sollevata,
vale a dire il riferimento alla sufficienza, al fine della prova del reato, dell inequivoche risultanze delle indagini svolte a casa del ricorrente, ove sono stati ritrovati, poco dopo il furto, tutti gli oggetti trafugati.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché assertivo e generico, posto che si imita ad opporsi alla valutazione, ampiamente logica, dei giudici d’appello, i quali hanno evidenziato come il ritrovamento, in casa dell’imputato, esattamente di tutti i beni sottratti pochissimo tempo prima alle persone offese appare un indizio assorbente la prova ed autoevidente della sua chiarezza.
Il terzo e il quarto argomento difensivo sono anch’essi inammissibili poiché generici, imprecisi e manifestamente infondati.
Correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che, in relazione al ritrovamento del telefono cellulare di NOME COGNOME a casa del ricorrente, dovesse essere configurato il reato ricettazione di cui al capo B, dal momento che tale telefono (come risulta dalla sentenza di primo grado e dalla denuncia di furto) era stato sottratto settimane prima e non era, quindi, ricompreso tra i beni rubati in discoteca, poco prima della perquisizione, alle altre due persone offese, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Inoltre, è priva di pregio la critica relativa alla mancata riqualificazione del delitto di ricettazione di cui al capo B nella contravvenzione prevista dall’art. 712 cod. pen., sulla base delle puntuali osservazioni contenute nella sentenza impugnata, che esclude tale possibilità avuto riguardo alle caratteristiche dell’oggetto acquisito, che, privo di confezionamento e accessori, non poteva essere valutato, in buona fede, come di provenienza lecita.
Del resto, giurisprudenza costante di questa Corte ritiene che le modalità di presentazione degli oggetti possano costituire elementi utili alla valutazione di consapevolezza dell’illecita provenienza di un bene, quantomeno a titolo di dolo eventuale (Sez. 2, n. 25439 del 21/4/2017, Sarr., Rv. 270179 – 01)
Il reato di ricettazione, nondimeno, può essere configurato anche con dolo eventuale, quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (Sez. 2, n. 41002 del 20/9/2013, COGNOME, Rv. 257237 – 01, nonché Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246324 – 01).
Infine, devono ritenersi inammissibili anche i restanti motivi inerenti al trattamento sanzionatorio, con riferimento al giudizio di equivalenza delle
attenuanti generiche, alla dosimetria della pena ed all’applicazione dell’art. 131- cod. pen., che investono valutazioni di merito, le quali, ove congruamente
bis motivate, come nel caso di specie, non sono sindacabili in sede di legittimità.
In particolare, i giudici hanno espressamente chiarito come le circostanze delle plurime azioni furtive perpetrate nei riguardi di più persone offese non
lasciassero ritenere configurabile la causa di esclusione della punibiltà per particolare tenuità del fatto, mentre del tutto adegato è stato ritenuto
complessivamente il trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/3/2025.