Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23293 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23293 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOMECOGNOME
V.G.
2.
V.C.
3.
S. D.
nato a
omissis
COGNOME ‘nato al
I nata a I
omissis
omissis
avverso la sentenza del 13/07/2023 della CORTE di ASSISE di APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME,
che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibili i ricorsi di
COGNOME
e
S.D. COGNOME e di annullare con rinvio la sentenza impugnata rispetto alla
posizione di
[
uditi i difensori delle parti civili, AVV_NOTAIO per N.G.
e AVV_NOTAIO
NOME COGNOME per COGNOME N.M. COGNOME I. che hanno concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi, hanno depositato conclusioni scritte e nota spese;
uditi i difensori degli imputati, avvocati NOME COGNOME e NOME
COGNOME per
V. G.
e
V. C.
e AVV_NOTAIO COGNOME per
S. D.
, che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
V.C.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di appello di Lecce, in parziale riforma della pronuncia della Corte di Assise di Brindisi, ha confermato, anche agli V.G. V.C. effetti civili, la condanna di e S.D. per l’omicidio di COGNOME N.COGNOME. COGNOME I, qualificando, però, il fatto – originariamente contestato e ritenuto ai sensi degli artt. 61 n. 5, 110, 575 cod. pen.- come omicidio preterintenzionale; la medesima Corte ha proceduto alla conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, nella tarda serata del 21 dicembre 2020 del primo E V.G. , il figlio di questi NOME e la convivente a un S.D. sottoponevano la tossicodipendente NOMECOGNOME. violento pestaggio-afferrandola e colpendola in varie parti del corpo, sbattendole la testa in terra e determinando, con “almeno” un calcio e un altro colpo verosimilmente sferrato con un martello da carpentiere, la rottura della milza per “spappolamento” – così da provocarne la morte, verificatasi, dopo un infruttuoso intervento chirurgico di asportazione della milza e un varie trasfusioni, alle ore 13.28 del 22 dicembre 2020 a causa di “una insufficienza cardio-respiratoria terminale secondaria a shock traumatico a larga componente emorragica da rottura della milza”.
Avverso la pronuncia ricorrono gli imputati, tramite i rispettivi difensori.
articola tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione. V.C.
3.1. Con il primo denuncia vizio di motivazione in punto di responsabilità.
Dopo aver trascritto i motivi di appello (pagg. 2-14), il ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe gravemente carente in punto dì: attendibilità della testimonianza di NOME , figlio della vittima, nonostante le comprovate ripetute menzogne dello stesso; affidabilità delle dichiarazioni di NOMECOGNOME ; incoerente e contraddittoria valutazione del contenuto della chat tra NOME e la fidanzata, dalla quale emergerebbe l’estraneità dell’imputato alla aggressione; incongrua confutazione dell’alibi dell’imputato, facendo leva su pretese inesattezze orarie, da ritenersi però comprensibili in base al medesimo canone valutativo impiegato nel vaglio di analoghe inesattezze in cui sarebbero incorsi i testimoni di accusa.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio.
Evidenzia la mancata indicazione degli elementi valorizzati nella determinazione di una pena in misura superiore al minimo edittale.
Eccepisce, inoltre, la violazione del divieto di reformatio in peius da ravvisarsi nella circostanza che, a differenza di quanto compiuto dal giudice di primo grado, quello di secondo grado avrebbe applicato, per le circostanze attenuanti generiche, una riduzione inferiore alla misura massima consentita.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione in ordine alla assegnazione e quantificazione della provvisionale in favore della parte civile, soprattutto a fronte della intervenuta riqualificazione del fatto.
NOMECOGNOME propone tre motivi.
4.1. Il primo motivo attiene al punto della responsabilità e si sviluppa seguendo le medesime scansioni dell’omologo motivo di ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE.
: trascrizione dell’atto di appello, contestazione della attendibilità di
N.G.
F.O.
Si deduce l’assenza di logica argomentazione nella parte diretta a confutare le dichiarazioni dell’imputato, “unico testimone oculare escusso” (pag. 2), volte ad escludere la propria partecipazione all’aggressione, che sarebbero riscontrate da quanto riferito da V.C.
Si evidenzia come la Corte territoriale non sarebbe stata in grado neppure di determinare il ruolo assunto dagli imputati nella aggressione.
4.2. Il secondo motivo è imperniato sul vizio di motivazione in punto di determinazione della pena, fissata, senza esplicitarne le ragioni, in termini di particolare afflizione rispetto alla cornice edittale del nuovo reato come ritenuto in sentenza.
4.3. Il terzo motivo contesta le statuizioni civili in termini analoghi a quelli di V.C
S.D. COGNOME sviluppa sei motivi.
5.1. Con il primo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso dell’imputata nel reato di omicidio.
La censura si incentra sul travisamento della prova in cui sarebbe incorso il giudice di merito, il quale, da un lato, non terrebbe conto che NOMECOGNOMENOME , nel riferire le parole della propria madre, si sarebbe limitato a chiamare in causa solo
V COGNOME padre e figlio e, dall’altro lato, assegnerebbe rilievo al contenuto di una chat tra COGNOME INDIRIZZO e la propria fidanzata il cui contenuto sarebbe, però, stato smentito dallo stesso COGNOME V.C.
tra V.C. 5.2. Con il secondo motivo la ricorrente eccepisce l’inutilizzabilità della chat e la sua fidanzata per inosservanza degli artt. 192 e 234 cod. proc. pen..
La prova della chat consisterebbe esclusivamente nelle fotografie dello scambio di messaggi scattate da un ufficiale di polizia giudiziaria, mentre non sarebbe stato acquisito l’apparecchio cellulare, né sarebbe stato esaminato il relativo supporto informatico.
Lo scambio di messaggi non sarebbe stato confermato da alcuno, peraltro le azioni attribuite, in quella chat, alla S.D. sarebbero smentite dalle risultanze delle consulenze medico- legali in atti, che escludono l’esistenza di fratture nella zona toracica e di ecchimosi in regione fronto-parietale della vittima.
5.3. Il terzo e il quarto motivo si imperniano sul diniego delle circostanze attenuanti generiche e sull’entità della pena.
5.4. Il quinto e il sesto contestano la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen. e la misura dell’aumento di pena applicato a tale titolo.
Si è proceduto a discussione orale su richiesta dei difensori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Secondo la ricostruzione fornita, sulla scorta del materiale probatorio raccolto (dichiarazioni testimoniali, esame imputati, intercettazioni telefoniche, sequestri, consulenze medico legali, prove documentali) dalle sentenze di primo e secondo grado, che si integrano reciprocamente, la vicenda si è sviluppata nei termini di seguito sinteticamente ripercorsi.
La sera del 21 dicembre 2020 COGNOME S.N. COGNOME -tossicodipendente in terapia con metadone e in cura presso il Sert, affetta da HIV ed epatopatia da HCV, con cirrosi di tipo macronodulare – esce di casa e si reca presso l’abitazione ove vivono INDIRIZZO
, il figlio di questi COGNOME NOME.C. RAGIONE_SOCIALE all’epoca diciannovenne, e la compagna del primo COGNOME COGNOME.D. RAGIONE_SOCIALE . I tre svolgono attività di spaccio di stupefacente (come risulta dai numerosi elementi racconti in tal senso e ripercorsi alle pagine 6-8 della sentenza di primo grado), cedendo droga ai consumatori della zona, tra cui la S.N.
Quest’ultima versa in precarie condizioni economiche, per acquistare cocaina fa ricorso alla pensione del padre e ai prestiti del fidanzato NOME , che la soccorre anche per saldare debiti relativi a pregressi acquisti.
L’insolvenza della RAGIONE_SOCIALE è causa di attrito con i tre spacciatori, tanto che tra l’estate e il dicembre del 2020 la donna viene ripetutamente minacciata sia dalla
S.D.
sia dal COGNOME
NOMECOGNOME
l, il quale agita al suo indirizzo, in un’occasione, una mazzuola e, in altra occasione, un martello ( V.G. , per sua stessa ammissione, è un patito dei martelli, li colleziona, ha come soprannome omissis e ha un’immagine di questo strumento tatuata sul braccio, cfr. pag. 16 sentenza di primo grado).
La sera del 21 dicembre 2020 i tre spacciatori negano la dose alla S.N. che reagisce spintonando il giovane V.C. COGNOME insorge un litigio che sfocia in una aggressione violentissima dalle conseguenze letali per la donna.
La COGNOME torna a casa, confida al figlio
I N.G.
, di essere stata picchiata da
COGNOME
NOMECOGNOME
(che la teneva ferma), da l
RAGIONE_SOCIALE
le COGNOME
S.D.
COGNOME
(che la colpivano); uno dei tre, che non sa indicare, le ha sbattuto la testa in terra.
La donna va a dormire, ma durante la notte si evidenzia un grosso ematoma a livello dell’addome (dovuto, come si scoprirà alla rottura della milza); il figlio chiede l’intervento del 118.
Sia al 118 sia al medico del pronto soccorso, la RAGIONE_SOCIALE riferisce di aver subito una aggressione ad opera di tre soggetti “non conosciuti”.
Sottoposta a intervento chirurgico di urgenza, con asportazione della milza, la S.N. decede alle ore 13,28 del 22 dicembre 2020 a causa delle lesioni riportate da cui e derivata “una insufficienza cardio-respiratoria terminale secondaria a shock traumatico a larga componente emorragica da rottura della milza”.
Dalla consulenza effettuata su incarico del pubblico ministero, per la gran parte convergente e, comunque, non smentita dal consulente della difesa, risulta, oltre la causa della morte, che la vittima ha subito un violento pestaggio (pagg. 814 sentenza di primo grado).
In particolare sul corpo della S.N. sono stati riscontrati: ematomi e escoriazioni a livello del volto, del padiglione auricolare destro e del collo, tipiche dell’afferramento anche ad opera di più persone; una lesione alla testa prodotta dallo schiacciamento del cranio contro una superfice piana rigida (muro o asfalto); due lesioni, quelle eziologicamente più rilevanti, consistenti, la prima, in «un’impronta ecchimotica a stampo con morfologia irregolarmente quadrangolare, delle dimensioni di circa 4×3 cm, posta sulla superficie anteriore sinistra dell’addome, a livello del fianco» riconducibile verosimilmente all’impiego di un martello o una mazzuola e compatibile, per la forma a stampo, con uno degli
attrezzi sequestrati a COGNOME NOME.COGNOME. COGNOME (reperto B); la seconda in una «ampia area ecchimotica di colore violaceo, a morfologia irregolarmente ovolare, a carico del fianco sinistro, a circa 4 cm al disotto dell’impronta ecchimotica a stampo, delle dimensioni di cm 20×15 circa» compatibile, per dimensioni ed entità, con l’impronta di (almeno) un calcio, sferrato in maniera talmente violenta da determinare, assieme alla prima lesione, la rottura della milza in due tempi e di conseguenza il decesso a seguito di shock traumatico emorragico.
2.2. In base a queste risultanze e sulla scorta di un ragionamento immune da cadute logiche, non specificamente criticato dai ricorrenti, i giudici di merito pervengono alla conclusione che la S.N. è deceduta a causa delle lesioni riportate nel pestaggio subito la notte del 21 dicembre 2020, quando, recatasi presso S.D. l’abitazione di INDIRIZZO.G. e , è stata aggredita.
2.3. Fermo ciò, il punto nodale, su cui si imperniano i ricorsi con diversità di prospettiva, concerne l’attribuzione di responsabilità ai tre imputati: V. padre e figlio, anche con le dichiarazioni rese nel corso del processo, mirano a far ricadere interamente la colpa sulla S.D. ; l’impugnazione di quest’ultima, invece, è tesa a protestare l’assenza di prove a proprio carico e a sostenere, anche in base a quanto la vittima avrebbe riferito al figlio, il coinvolgimento soltanto dei due uomini.
Si tratta allora di vagliare la tenuta della struttura argomentativa della sentenza impugnata che, compenetrandosi con quella di primo grado, addebita l’omicidio a un’azione congiunta dei tre imputati.
La principale fonte di accusa è rappresentata dalla testimonianza indiretta resa da COGNOME N.G.
3.1. Il racconto della vittima dell’omicidio – non ascoltata neppure dagli inquirenti perché deceduta a distanza di poche ore dal fatto-fa ingresso nel materiale probatorio attraverso la testimonianza del figlio, COGNOME COGNOMENOME all’epoca diciassettenne.
La voce della persona offesa trova un’eco anche nel referto sanitario e nelle dichiarazioni dei medici che, però, restituiscono la traccia solo di una aggressione patita ad opera di tre persone sconosciute.
3.2. Lo scrutinio sulla tenuta dell’impianto motivazionale posto a base della pronuncia di condanna deve muovere da sintetiche considerazioni sui caratteri della testimonianza indiretta, precedute da una considerazione di carattere preliminare.
3.2.1. Occorre dare conto della centralità del procedimento probatorio demandato al giudice nel processo penale e del necessario approccio relativistico
che deve accompagnare l’accertamento della verità, cui tende tale processo, e che trova il suo terreno privilegiato nel campo della prova.
Il processo penale non fa applicazione di regole gnoseologiche idonee a proporre conclusioni necessarie, quali quelle logico-formali che, utilizzando soprattutto argomentazioni tautologiche, offrono conseguenze già implicite nelle premesse; o quelle fisico-matematiche, che fanno uso di leggi universali, che asseriscono nella successione di determinati eventi invariabili regolarità senza eccezioni; o anche di leggi statistiche riferite a un fatto naturale destinato a ripetersi inalterato, in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa, a parità di condizioni.
Le argomentazioni essenzialmente informative e logico-argomentative della decisione giudiziale sono, invece, finalizzate alla conoscenza nuova di un fatto specifico, che attiene a un fatto umano (il reato), legato a variabili non necessariamente razionali o non completamente intelligibili, e la cui verifica processuale passa attraverso il ragionamento probatorio, che consente di passare dall’elemento di prova al risultato di prova in vista del conseguimento della certezza di natura processuale.
È il ragionamento probatorio che, con riguardo alla prova rappresentativa o storica consente di rilevare che il fatto narrato dal testimone possa dirsi dimostrato e processualmente certo all’esito della valutazione critica dell’attendibilità del medesimo e della sua deposizione, o che il fatto ammesso attraverso la confessione possa assumersi come processualmente acquisito una volta sciolto il nodo della credibilità del confitente che, fondata su regole di esperienza (come quella secondo cui nessuno si accusa di reati che non ha commesso, tenuto conto delle pene previste) suscettibili di eccezione (come la possibile interferenza della volontà di scagionare altri), potrebbe non risultare incontrovertibile, o che il risultato di prova conseguito all’applicazione di leggi o metodiche di natura scientifica abbia superato positivamente la verifica giudiziale circa l’affidabilità delle stesse e la sua attendibilità e valenza dimostrativa.
3.2.2. Sul piano della prova testimoniale, una particolare posizione viene assegnata alla testimonianza indiretta che ricorre quando il testimone si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone (come, appunto, COGNOME COGNOMENOME rispetto al racconto della propria madre).
Il codice di rito circonda la testimonianza indiretta di alcune garanzie precauzionali sul fronte della utilizzabilità (art. 195 cod. proc. pen.), ma non fissa una specifica regola valutativa (come ad esempio fa per la prova indiziaria o la chiamata in correità), vale quindi il principio generale del libero convincimento del giudice; tuttavia le peculiarità di questa prova impongono alcune cautele
nell’apprezzamento del suo risultato probatorio (Sez. 2, n. 4976 del 17/01/1997, Accardo, Rv. 207843 – 01; Sez. 3, n. 2001 del 13/11/2007, dep. 2008, P., Rv. 238849 – 01; Sez. 2, n. 46332 del 11/10/2016, Rv. 268525 – 01).
Il testimone indiretto riferisce il dato storico della rivelazione quale fatto primario (incontro con il dichiarante e fatto storico dell’avvenuta pronuncia, da parte di costui, di determinate asserzioni) e, quindi, sotto tale profilo egli è percettore diretto di un fatto storico, mentre ha una conoscenza mediata del contenuto della rivelazione rispetto alla cui verità non assume responsabilità.
La persona che riferisce in giudizio il racconto altrui offre una attestazione non originale del fatto, con l’effetto che la valutazione delle corrispondenti dichiarazioni deve ispirarsi a criteri di particolare rigore involgenti la posizione non solo del soggetto dichiarante -in modo da tenere nel debito conto anche il pericolo di difetto di percezione, di errore nell’interpretare il percepito, di travisamento mnemonico o equivoco nella descrizione dovuto all’uso errato del mezzo espressivo – ma anche della persona di riferimento.
Un vaglio penetrante è ancor più necessario nel caso in cui il testimone diretto non sia stato ascoltato (nei casi previsti dalla legge, ad esempio perché deceduto, come accaduto nella specie) dato che il racconto del fatto storico da provare rimane “cristallizzato” nelle parole riferite al testimone indiretto, senza possibilità di sottoporle alla verifica del contraddittorio, di chiedere spiegazioni, integrazioni, precisazioni, sicché, soprattutto in tale ambito e in relazione alla minore o maggiore forza probatoria assunta (in base alla credibilità soggettiva, all’affidabilità intrinseca e consistenza della narrazione), può essere opportuno reperire ulteriori elementi esterni di conferma, pur senza automatismi, in un’ottica prudenziale non dissimile da quella richiesta dalle Sezioni Unite Bell’Arte (n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214 – 01) per il caso di dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile.
3.3 Concettualmente diversa è l’ipotesi in cui il testimone riferisca, legittimamente, confidenze ricevute da un imputato, non ostandovi il divieto di cui all’art. 62 cod. proc. pen., norma che, pur rubricata «divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato», si riferisce alle sole dichiarazioni rese in un contesto procedi mentale.
3.3.1. Nel presente processo è riconducibile a questa figura la deposizione di lì dove riferisce la “confessione” appresa dalla voce di
NOME.O. COGNOME
S.D.
la mattina successiva all’aggressione, quando ancora non si conosceva la sorte infausta della vittima: ” NOME.O.
COGNOME
I
ricordava che la mattina del
22.12.2020, giunto a casa dei COGNOME per lavorare, apprendeva dalla
S.D.
che
la sera prima aveva litigato con laIN.S.1 e che le aveva sbattuto la testa a terra durante il litigio” (pag. 26 sentenza impugnata).
3.3.2. In tale evenienza, il disposto dell’art. 195 cod. proc. pen. non impone l’escussione della fonte diretta, che, identificandosi con l’imputato, non può essere chiamata a rendere dichiarazioni in grado di pregiudicare la sua posizione (Sez. 5, n. 21562 del 3/02/2015, Rv. 263705; Sez. 5, n. 29821 del 25/11/2014, Rv. 265298) e che, ai sensi dell’art. 494 cod. proc. pen., ha la facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, interloquendo sulle propalazioni della fonte indiretta che la chiamino in causa al fine di controbatterle.
Le confidenze autoaccusatorie dell’imputato a un testimone, il quale ne abbia successivamente riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria.
Occorre però anche in questo caso, in analogia con la testimonianza de relato, sia effettuare un vaglio di credibilità e attendibilità della deposizione testimoniale sia sottoporre le dichiarazioni confessorie riferite dal testimone a un vaglio scrupoloso che ne apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da poter escludere costrizioni esterne o eventuali intenti autocalunniatori (Sez. 1, n. 9891 del 04/06/2019, dep. 2020, Campana, Rv. 278503).
La motivazione offerta dai giudici di merito è soddisfacente in punto di attendibilità del racconto vuoi del “testimone indiretto” COGNOME NOMECOGNOME (che ha riportato il racconto del fatto ricevuto dalla vittima), vuoi di) COGNOME NOME COGNOME NOME (che ha riferito della confessione raccolta dai COGNOME S. D.
4.1. Pertanto sono prive di fondamento le censure formulate dai ricorrenti sul punto, giacché tutte le doglianze (riproposte anche in questa sede) hanno già ricevuto – contrariamente a quanto si sostiene – risposta adeguata.
Le dichiarazioni di NOMECOGNOMENOME sono attentamente vagliate (pagg. 23 e 24 sentenza di primo grado, pagg. 22-24 sentenza di appello) e viene chiarito come l’iniziale ritrosia a riferire i nomi dei responsabili (riferitigli dalla madre) non possa invalidare l’affidabilità del successivo racconto, la cui genuinità viene restituita anche dai risultati delle intercettazioni telefoniche.
La deposizione di COGNOME NOME COGNOME è adeguatamente apprezzata in termini di coerenza e costanza (pagg. 23 e 24 sentenza di primo grado), e il positivo giudizio espresso non è intaccato dalle obiezioni dei ricorrenti che si esauriscono in questioni su una inammissibile rivalutazione della prova.
4.2. Nel tessuto argomentativo si produce, invece, una smagliatura sul versante della consistenza delle accuse mosse a prova carico di questi. V.C. e quindi della
4.2.1. Il narrato di COGNOME NOME.COGNOMENOME COGNOME al proprio figlio è stringato, sincopato, poche parole sui tratti ritenuti essenziali della patita aggressione attribuita ai tre imputati: NOMECOGNOMENOME la teneva ferma, gli altri due la colpivano; uno degli aggressori (da lei non identificato) le aveva sbattuto la testa in terra (pag. 26 sentenza di primo grado).
A fronte di tanto, per le considerazioni esposte al paragrafo 3), si rendeva necessario trovare elementi di supporto esterno al racconto della vittima (riferito de relato dal figlio) idonei a corroborarlo non sul fatto materiale, conclamato, ma sulle specifiche condotte tenute dai tre “aggressori”.
riferito dal figlio, ma avvalorato da ulteriori
Ebbene, elementi di conferma sono stati valorizzati per le posizioni di V.G.
V.C. e di S.D. , ma non per Al riguardo risulta ampiamente motivata l’attribuzione di valenza probatoria ai messaggi che, nella immediatezza del fatto, COGNOME V.C. COGNOME si è scambiato con la propria fidanzata, raccontando, in modo spontaneo e genuino, l’accaduto (sulla manifesta infondatezza della eccezione di inutilizzabilità cfr. infra paragrafo 7.2):
NOME. ha dato mazzate a NOME “; “perché mi ha toccato mi ha spinto”; “la sbattuta a terra e li sbatteva la testa sull’asfalto – i calci nelle costole”; ” alzava la posta Li diceva più forte e cose così” (pag. 25 sentenza impugnata).
Si presenta esente da vizi di logicità anche l’apparato argomentativo posto a sostegno sia della ritenuta presenza di NOME.C. sul luogo del fatto (con la confutazione dell’alibi fornito dalla nonna, pag. 28) e del reale significato attribuito da NOME. alle parole “alzava la posta”, dato che lui stesso, nel corso dei messaggi, lo spiega alla fidanzata: “diceva più forte e cose così” (il che smentisce
la diversa spiegazione tentata in dibattimento).
4.2.2. I giudici di merito àncorano l’affermazione di responsabilità di S.D.
al racconto di
COGNOME
RAGIONE_SOCIALE
elementi perfettamente collimanti tra loro: i messaggi di NOME (“l’ha sbattuta per terra, le sbatteva la testa sull’asfalto – i calci nelle costole”); la confessione della S.D. raccolta e riferita in dibattimento da NOME (aveva
preso la N.S. e l’aveva sbattuta a terra con la testa); gli esiti della consulenza medico legale che hanno accertato la presenza sulla vittima sia di lesioni compatibili con lo sbattimento del cranio a terra sia della rottura milza provocata da “almeno” un calcio.
Si tratta di un argomentare che si pone in consonanza con i rigorosi criteri valutativi in premessa tracciati e che rivela l’importante ruolo svolto dall’imputata nel violentissimo pestaggio che ha portato alla morte della vittima.
NOME Lo stesso può dirsi per la posizione di responsabile sulla scorta delle dichiarazioni di , che viene ritenuto NOMECOGNOME , riferite de relato dal figlio, e del conforto fornito dal contenuto dei messaggi di COGNOME NOME (” alzava la posta diceva più forte e cose così”).
V.G. In base a questa dinamica, ha quantomeno incitato la S.D. a colpire la vittima “più forte”, così rafforzandone il proposito criminoso. Condotta certamente inscrivibile nell’alveo di punibilità dell’art. 110 cod. pen..
A diversa conclusione si perviene, invece, nei confronti di NOME a carico del quale i giudici di merito pongono unicamente il narrato della vittima, riportato in dibattimento dal figlio.
E, se è vero che i messaggi dell’imputato alla fidanzata non possono considerarsi prova liberatoria, perché, come osserva la Corte di appello, il ragazzo potrebbe aver taciuto il proprio coinvolgimento, è del pari vero che nulla (se non la presenza ai fatti) può trarsi da quella conversazione a carico di NOME V.C. e non risultano individuati dalle sentenze di merito ulteriori elementi a sostegno delle accuse di un suo generico coinvolgimento riferite dalla vittima al figlio.
5. Il ricorso di COGNOME V.C. COGNOME è fondato.
Il primo motivo, inerente al punto della responsabilità, è fondato nei termini sopra precisati.
In sintesi l’impianto argomentativo rivela una frattura nel punto in cui poggia l’affermazione di responsabilità esclusivamente sul racconto della vittima, riferito de relato dal figlio, senza in preoccuparsi di indicare un elemento idoneo a confortare, dall’esterno, il dato, fornito da NOMECOGNOME , attraverso le dichiarazioni del proprio figlio, che COGNOME V.C. COGNOME I oltre ad essere presente alla aggressione, ha fornito un contributo effettivo, rilevante ex art. 110 cod. pen., all’azione criminosa commessa dai coimputati.
Il secondo e il terzo motivo sono assorbiti.
6. Il ricorso di [
COGNOME
V.G.
COGNOME
è
infondato.
6.1. Il primo motivo di ricorso è infondato per le ragioni esposte ai paragrafi 3 e 4.
Va solo aggiunto che la censura che deduce l’omessa individuazione della effettiva condotta ascritta all’imputato non ha presa, in quanto, ai fini dell’accertamento del concorso di persone nel reato in un contesto aggressivo unitario, il giudice di merito non è tenuto a specificare le singole azioni commesse da ciascuno dei concorrenti materiali, essendo sufficiente l’indicazione, con adeguata e logica motivazione, delle prove sulle quali ha fondato il libero
convincimento dell’esistenza di un consapevole e volontario contributo fornito dall’agente alla realizzazione del reato (cfr. Sez. 1, n. 12309 del 18/02/2020, Mazzara, Rv. 278628 – 01; Sez. 5, n. 43781 del 17/10/2023, S., Rv, 285775).
6.2. Il secondo motivo, che contesta l’entità della pena, è manifestamente infondato, poiché la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che, nel caso di specie, ne ha giustificato l’esercizio in maniera adeguata (cfr. pagg. 40 e 41).
6.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Invero il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una provvisionale non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (cfr. per tutte Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli, Rv. 186722 – 01).
7. Il ricorso di COGNOME S.D. COGNOME è infondato.
7.1. Il primo motivo è infondato per le ragioni esposte ai paragrafi 3 e 4.
Merita puntualizzare che la deduzione di travisamento della prova difetta del carattere di autosufficienza.
La ricorrente allega al ricorso solo alcuni parziali passaggi delle prove asseritamente travisate, omettendo di produrre proprio quelle parti che parlano della responsabilità dell’imputata (parti riportate, invece, testualmente nella sentenza di primo grado, pagg. 2-4).
7.2. Il secondo motivo, che eccepisce l’inutilizzabilità dei messaggi tra e la fidanzata, è manifestamente infondato.
A differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente, il telefono di NOME è stato sequestrato e ne è stata estrapolata una copia forense (pag. 15 sentenza impugnata); quindi la prova fornita da quei messaggi fa parte delle acquisizioni dibattimentali, a disposizione della difesa e del giudice, dato che le cose in sequestro entrano a formare il fascicolo del dibattimento ex art. 431 cod. proc. pen., senza necessità di formale acquisizione.
7.3. Il terzo e il quarto motivo, che si appuntano sul diniego delle circostanze attenuanti generiche e sulla eccessiva severità del trattamento sanzionatorio, sono manifestamente infondati, poiché la Corte di appello ha fornito adeguata motivazione sulle ragioni delle discrezionali determinazioni assunte (cfr. pagg. 40 e 41).
7.4. Analoga sorte seguono il quinto e il sesto motivo, che involgono la sussistenza della circostanza aggravante della “minorata difesa” e la misura dell’aumento di pena applicato a tale titolo.
7.4.1. Sul tema della circostanza aggravante della “minorata difesa” sono intervenute le Sezioni Unite Cardellini (sentenza n. 40275 del 15/07/2021, Rv. 282095) stabilendo che: «la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa”, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto».
Nella specie la sentenza impugnata valuta la sussistenza in concreto di condizioni che hanno agevolato la consumazione del reato, ravvisandole nel fatto commesso in orario notturno, in periodo invernale, in un contesto isolato (pag. 40).
Ciò è sufficiente ad assolvere l’onere motivazionale richiesto, tanto più che la ricorrente non ha dedotto circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare l’indicato effetto agevolativo.
7.4.2. Circa la pena applicata per l’aggravante in rassegna è sufficiente osservare che si tratta di un aumento (anni 1 e mesi 8) da considerarsi minimale, quindi adeguatamente motivato con il mero riferimento all’art. 133 cod. pen., se confrontato con quello consentito “fino a un terzo” della pena base: anni quindici di reclusione, quindi “fino” a cinque anni.
8. Discende che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOMECOGNOME con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Assise appello di Taranto.
V. G . Dal rigetto dei ricorsi di e di S . D . discende la condanna di tali ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Inoltre COGNOME V. G . COGNOME e COGNOME S. D . RAGIONE_SOCIALE devono essere condannati, in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile N . G . ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di appello di Lecce con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Gli stessi ricorrenti dovranno altresì provvedere, in solido tra loro, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile COGNOME NOME . NOME COGNOME che si liquidano in
complessivi euro 4.000,00 oltre accessori di legge, somma da distrarsi a favore del difensore, AVV_NOTAIO, che si è dichiarato antistatario.
Il riferimento a COGNOME l, minorenne all’epoca dei fatti, impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, COGNOME V.G. e j COGNOME S.D. COGNOME in solido alla rifusione Annulla la sentenza impugnata nei confronti di nuovo giudizio alla Corte di Assise appello di Taranto. V.C. con rinvio per Rigetta i ricorsi di COGNOME V.G. COGNOME e di COGNOME.D. e condanna tali ricorrenti delle spese dì rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile N.G. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di Assise di appello di Lecce con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato; e li condanna in solido altresì al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile COGNOME N.M. COGNOME che liquida in euro 4000 oltre accessori di legge, somma da distrarsi a favore del difensore antistatario, AVV_NOTAIO
NOME.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso il 10/05/2024