Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 633 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 633 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a JESI il 29/06/1992
avverso la sentenza del 06/12/2022 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore Avv. NOME COGNOME del foro di ANCONA in difesa di COGNOME NOMECOGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricor o.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Ancona, indicata in epigrafe, con la quale è stata confermata la sentenza pronunciata il 14/10/2020 dal Tribunale di Ancona con condanna dell’imputato per i reati ascritti al capo a) artt. 624 bis e 625 n.2 cod. pen. (commesso in Osimo il 30 luglio 2015) e al capo b) artt. 81, comma 2, cod. pen. e 55, comma 9, d. Igs. 21 novembre 2007, n.231 (commesso in Santa Maria Nuova il 31 luglio 2015).
Con il primo motivo deduce inosservanza di norme processuali per avere la Corte di appello ritenuto ritualmente acquisiti gli elementi probatori relativi all commissione del furto sebbene tali dati fossero stati acquisiti in violazione degli artt. 178, 179, 431, 498, 499, 500, 511 e 514 cod. proc. pen. La Corte di appello non ha censurato le modalità di acquisizione della testimonianza del teste COGNOME da parte del – fribunale, che ha aggirato la disposizione dell’art. 431 cod. proc. pen. ove non è previsto l’ingresso nel fascicolo del dibattimento a fini probatori degli atti di denuncia-querela. Con riguardo alla sede dibattimentale interviene l’art. 493 cod. proc. pen., che al comma 3 dispone che gli atti presenti nel fascicolo del pubblico ministero possono essere acquisiti a quello del dibattimento solo previo consenso delle parti. Tale principio trova conforto nell’art. 511, comma 4, cod. proc. pen., dove si specifica che la lettura e quindi la utilizzabilità dei verbali delle dichiarazioni orali di querela o di istanza son consentite solo ai fini dell’accertamento della condizione di procedibilità. L’ingresso nel fascicolo del dibattimento della denuncia presentata dal signor COGNOME si assume, era superfluo in quanto, essendo avvenuto senza il consenso delle parti con riferimento a un reato perseguibile d’ufficio, non poteva trovare alcuna legittima utilizzazione. IlÌribunale ne ha sollecitato la lettura da parte del testimone-parte offesa prima del suo esame e ne ha chiesto la conferma ritenendo così di poterne utilizzare il contenuto, come effettivamente avvenuto, sebbene il testimone non avesse lamentato alcuna difficoltà di memoria in relazione ai fatti che doveva riferire. Peraltro l’art.499, comma 5, cod. proc. pen. fa riferimento alla consultazione di documenti redatti dal testimone e non certo agli atti per i quali opera il divieto di cui al citato art. 5 cod. proc. pen.. L’esame ha violato il principio del contraddittorio e ha fatto retrocedere la prova alla fase predibattimentale, impedendo il corretto esame dei testi. La Procura generale aveva chiesto la riqualificazione del capo a) come reato di ricettazione, dando implicitamente atto della totale carenza di prova del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
furto, ma la Corte d’appello ha ritenuto comunque provato il reato. Non vi è alcun elemento probatorio a sostegno di tale decisione.
2.1. Con il secondo motivo deduce inosservanza di norme processuali ai sensi dell’art. 606, comma 1 2 Iett. c), cod. proc. pen. laddove la sentenza, con riferimento al capo a) dell’imputazione, ha ritenuto ritualmente acquisito il dato probatorio relativo alla data della commissione del furto, mentre tale dato è stato acquisito in violazione dell’art. 195, commi 1, 2 e 3, cod. proc. pen. provenendo dalla testimonianza dell’ispettore COGNOME che, a sua volta, lo avrebbe appreso dalla persona offesa.
stata ritenuta nella sostanza anche dalla Corte d’appello e dalla Procura generale. Le dichiarazioni del COGNOME sono, si assume, inutilizzabili perché violano il contenuto normativo dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen.; in secondo luogo, perché le modalità di acquisizione di tali elementi probatori sono irrituali e illegittime tanto da non poter essere utilizzate, seppure come riscontro a una testimonianza de relato. L’individuazione dell’orario del furto è elemento essenziale dell’impianto motivazionale della sentenza di appello in quanto solo a seguito di tale dato può essere accertata la contiguità temporale tra il reato di furto e quello di cui all’art. 493 ter cod. pen.; di conseguenza, l’attribuzione del furto al COGNOME
2.3. Con il quarto motivo / deduce manifesta illogicità della motivazione in relazione all’iter logico che ha portato la Corte di appello a ritenere correttamente provato, in relazione al prelievo riscontrato presso le poste di Collina Santa Maria Muova in data 31 luglio 2015, l’utilizzo della carta postannat da parte del COGNOME sul presupposto della contiguità spazio-temporale tra il furto, i prelievi del 30 luglio 2015 presso la Ubi Banca di Santa Maria &lova e il prelievo del 31 luglio 2015 presso le poste di Collina di Santa Maria Nuova; travisamento della prova. Con riferimento al reato di cui all’art. 493 ter cod. pen. commesso il 31 luglio 2015, si era già rilevato in appello come non vi fosse alcun elemento di prova che potesse ricondurlo al COGNOME, non essendo stati riscontrati gli orari del prelievo e non esistendo fotogrammi o riprese video dell’autore del reato. La contiguità tra il furto e i prelievi effettuati non è st motivata correttamente con riguardo ad alcuno dei prelievi. La Corte non si è addentrata a motivare sulla base di quali dati e criteri abbia ritenuto che vi fosse contiguità temporale tra i prelievi del 30 luglio effettuati tra le 18 e le 18:05 quelli del 31 luglio senza accennare alcuna considerazione che possa dare concretezza alla motivazione, che risulta apodittica. Con l’atto di appello era stato ben specificato per quale motivo non potesse essere considerato contiguo dal punto di vista spazio-temporale il prelievo del 31 luglio sia rispetto al furto che rispetto ai prelievi del 30 luglio. In occasione del prelievo del 31 luglio, oltre a non esserci i fotogrammi dell’autore del reato, non vi sono agli atti gli orari in cui avrebbe avuto luogo quest’ultimo prelievo. La Corte non ha spiegato per quale motivo ritenga contigui due prelievi che possono essere stati effettuati addirittura a distanza di 30 ore l’uno rispetto all’altro e non spiega per quale motivo, in un arco temporale di 30 ore, la carta postamat non potesse essere finita nelle mani di un diverso utilizzatore. Sebbene non vi sia obbligo di affrontare tutte le questioni sollevate nelle impugnazioni, tanto avviene quando la questione sia stata assorbita nel contesto generale della motivazione e quindi la tesi dell’appellante risulti in contrasto con la posizione assunta dal giudicante Corte di Cassazione – copia non ufficiale
con la ricostruzione dei fatti da questo accolta; ma, nel caso di specie, la Corte di appello non ha posto motivazioni di ordine giuridico e ricostruzioni in fatto contrastanti con la tesi sostenuta dalla difesa, così che tale tesi non si può ritenere implicitamente rigettata. Risulta illogico sostenere che l’autore dei primi prelievi, di ritorno a Jesi, si fermasse anche alla posta per effettuare l’ultimo prelievo con la postamat senza correre il rischio di doverci ritornare il giorno dopo, percorrendo 30 chilometri con la possibilità che, nel frattempo, il proprietario avesse anche bloccato la carta, dovendosene desumere che si fosse già liberato della carta magnetica. È altrettanto illogico ritenere che per effettuare l’ultimo prelievo il giorno dopo si sia recato nella stessa località ove erano stati effettuati i precedenti prelievi e il furto, quando avrebbe potuto procedere al prelievo in qualsiasi altra località. Chi ha effettuato l’ultimo prelievo non sapeva da dove provenisse la carta e, una volta rinvenutala in Santa Maria Nuova, si è recato alle poste più vicine, in località INDIRIZZO Santa Maria guova per effettuare il prelievo, trattandosi dunque certamente di soggetti diversi. L’unico elemento oggettivo su cui si è basata la motivazione della Corte in relazione alla contiguità spaziale è frutto di un travisamento iin quanto la Corte ha affermato che il prelievo era stato effettuato in località INDIRIZZO Santa Maria ituova mentre risulta pacifico che i prelievi del 30 luglio 2015 siano stati effettuati in Santa Maria rkiova, che è un paese diverso rispetto a Collina di Santa Maria rtuova; non vi è pertanto alcuna analogia sotto tale aspetto tra i prelievi del 30 e del 31 luglio. Le sentenze non adducono alcun elemento a giustificazione del fatto che il COGNOME, il giorno successivo a quello del primo prelievo, sarebbe dovuto tornare in quel paese per effettuarne un altro.
2.4. Con il quinto motivo deduce inosservanza di norme processuali laddove, con riferimento al capo b) dell’imputazione, la sentenza ha ritenuto erroneamente applicabile il reato di cui all’art. 493 ter cod. pen. a fronte del reato di cui all’art. 640 ter cod. pen., che trova il suo presupposto nella mancata disponibilità del Pin delle carte magnetiche oggetto di furto.
2.5. Con il sesto motivo deduce manifesta illogicità della motivazione in relazione all’iter logico che ha portato la Corte di appello e il Tribunale a ritenere provato che, congiuntamente al bancomat della Ubi Banca e alla carta Postamat, fosse stato sottratto anche il pin delle due carte magnetiche; travisamento della prova. Secondo il ricorrente, la Corte di appello, laddove ha ritenuto che il teste COGNOME non avesse escluso che i codici pin delle carte fossero segnati nell’agendina telefonica o nelle altre carte che pure erano contenute nel borsello, ha travisato sia quanto indicato dal Tribunale sia il contenuto della deposizione della persona offesa NOMECOGNOME che in realtà non aveva saputo spiegare come mai l’imputato avesse la disponibilità del pin del bancomat, facendo richiamo a 6
foglietti o altre giustificazioni solo come mere deduzioni, spiegazioni che la persona offesa ha dato per giustificare l’accaduto, ma non è possibile fondare una sentenza di condanna sul presupposto che il codice pin sia stato ricavato per mera fortuna da un’agendina o in altri appunti dove la persona offesa non ricorda di aver appuntato tali numeri. Anche la sentenza di primo grado, nell’attribuire la disponibilità del pin in capo al COGNOME, si era basata sul travisamento del dato probatorio della coerenza dell’orario dei fotogrammi con quelli dei prelievi. Il travisamento nasce dal fatto che, da un lato, appare certo il prelievo del 30 luglio da parte dell’imputato sulla base dell’incrocio degli orari dei prelievi con quelli dei fotogrammi ma, dall’altro, non è affatto possibile riscontrare nei fotogrammi l’utilizzo della carta di pagamento e tantomeno del pin. Mancando la prova che il pin sia stato sottratto insieme alla carta bancomat e non essendovi, in altro modo, evidenza dell’utilizzo del bancomat e del pin, l’iter che ha portato alla condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 493 ter cod. pen. non ha più il sostegno della logica. Nell’atto di appello si era sostenuto che, alla luce del dato fattuale che il pin non fosse contenuto tra i beni sottratti cori il furto, si potesse facilmente addivenire alla sentenza assolutoria ritenendo insufficiente la prova. D’altronde, qualora si fosse ritenuto provato oltre ogni ragionevole dubbio il prelievo del 30 luglio 2015 da parte dell’imputato, la mancata ricostruzione delle modalità del prelievo avrebbe dovuto escludere l’applicazione dell’art. 493 ter cod. pen., la cui condotta tipica è specificamente legata all’utilizzo della carta di pagamento e, inevitabilmente, del pin. Si era, quindi, chiesta la derubricazione del reato contestato in quello previsto dall’art. 640 cod. peri., ma la Corte di appello non ha accolto tale richiesta sul presupposto che l’utilizzo della carta magnetica per un prelievo non autorizzato costituisca la condotta tipica dell’art.493 ter cod. pen. e che una eventuale manipolazione del supporto magnetico avrebbe comunque comportato il concorso con l’art. 640 ter cod. pen., non certo la derubricazione. Ad ogni modo, la difesa osserva che anche l’ipotesi del concorso tra le due fattispecie non sia così scontata sulla base della giurisprudenza di legittimità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.6. Con il settimo motivo deduce erronea applicazione della legge penale laddove la sentenza, con riferimento alla determinazione della pena, ha basato la valutazione solo sulla condotta antecedente reato, tralasciando quelle successive.
2.7. Con l’ottavo motivo / deduce carenza di motivazione in relazione alla mancata valutazione della condotta injejrriputato nell’epoca successiva alla commissione del reato, con riferimento alla quantificazione della pena. Nel terzo motivo di appello, che riguardava la quantificazione della pena, si era osservato che i precedenti penali, oltre che essere di numero contenuto, riguardavano reati
di furto non consumato e che, relativamente al reato consumato, vi era stata condanna a due mesi di reclusione per il furto di una chiavetta USB contenente musica. La stessa Corte di appello ha determinato il quadro temporale della commissione dei reati senza fare alcuna valutazione sui cinque anni che intercorrono dal 2017 al dicembre 2022, quando è stata emessa la sentenza, pur evidenziando la rilevanza della condotta del reo antecedente, contemporanea e susseguente al reato. La sentenza sarebbe carente di motivazione sul punto e il riferimento ai carichi pendenti per valutare la personalità del reo viola l’art. 27 Cost., laddove afferma che la colpevolezza di un soggetto per un determinato fatto si raggiunge solo a seguito di sentenza di condanna definitiva.
All’odierna udienza, all’esito della trattazione orale, le parti hanno rassegnato le conclusioni riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondatamente proposto.
1.1. E’ condivisibile l’assunto dal quale muovono le premesse del ragionamento difensivo, ossia che la querela può essere inserita nel fascicolo per il dibattimento ed è utilizzabile ai soli fini della procedibilità dell’azione penale con la conseguenza che da essa il giudice non può trarre elementi di convincimento al fine della ricostruzione storica della vicenda, tranne che per circostanze o fatti imprevedibili risulti impossibile la testimonianza dell’autore della denuncia-querela (Sez. 5, n.51711 del 06/10/2014, COGNOME, Rv. 261735 01).
1.2. A fronte della censura inerente alle modalità di acquisizione della testimonianza della persona offesa che, secondo quanto emerge dalle trascrizioni dei verbali di udienza del 15/09/2020 e del 14/10/2020 riprodotte nel ricorso, sarebbe avvenuta mediante la mera conferma di quanto verbalizzato all’atto della denuncia, è rimasto inespresso l’iter logico-giuridico che ha condotto la Corte territoriale a trarre asseritannente la prova del reato contestato al capo a), non dall’esame della persona offesa NOME, dalla testimonianza dell’ispettore COGNOME NOME.
1.3. Coniugando quanto dal teste COGNOME riferito sia con riguardo alla denuncia dei fatti, avvenuta il 31 luglio 2015, sia con riguardo all’avviso proveniente dalla banca in merito ai prelievi «avvenuti subito dopo il furto», con la prova documentale dei movimenti del c:/c intestato ad COGNOME NOME trasmessa da UBI Banca, da cui emergeva che il primo prelievo era stato
effettuato mediante bancomat alle ore 18:00 del 30 luglio 2015, la Corte ha ritenuto provato che il furto fosse avvenuto il 30 luglio 2015.
1.4. Osserva, tuttavia, il Collegio che i giudici di merito hanno dichiarato di utilizzare, quali prove che «suppliscono» al contenuto della querela, la testimonianza dell’ispettore COGNOME e la documentazione bancaria, ma hanno poi, contraddittoriamente, utilizzato elementi di prova provenienti da dichiarazioni rese dalla persona offesa COGNOME sia quando hanno riportato la circostanza che i prelievi fossero «avvenuti subito dopo il furto», sia quando hanno fatto propria la descrizione delle circostanze nelle quali NOME NOME era rimasto vittima del furto in Osimo.
1.5. Va, quindi, considerato, per quanto concerne la seconda doglianza, che, allorché con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di una prova in violazione del divieto per la polizia giudiziaria di riferire le dichiarazioni rese d terzi e acquisite ai sensi dell’art.357, comma 2, lett. a) cod. proc. pen., è doveroso procedere, anche in sede di legittimità, alla cosiddetta «prova di resistenza», e cioè verificare la presenza di altre prove che, una volta espunto l’elemento inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convinciment (Sez. 4, n. 48515 del 17/09/2013, COGNOME, Rv. 258093 – 01). E, nel caso in esame, risulta evidente che espungendo ogni riferimento a quanto dichiarato al teste COGNOME dalla persona offesa, la prova del reato risulta priva di dati essenziali quali il luogo, le modalità, l’indicazione dei beni che ne sono oggetto e finanche l’ora, da considerare essenziali ai fini dell’accertamento dei fatti a fondamento di entrambi i reati contestati.
Tali considerazioni rendono ultroneo l’esame degli altri motivi di ricorso e impongono l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia. Al giudice del rinvio è demandato il compito di valutare con congrua motivazione l’utilizzabilità, o di disporre l’eventuale rinnovazione, della testimonianza della persona offesa NOMECOGNOME
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Perugia.
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Così deciso il 29 novembre 2023
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Il Presidente