Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19310 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19310 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in Cina il 17/09/1980
avverso la sentenza del 20/10/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; lette le conclusioni del difensore delle parti civili COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, Avv. NOME COGNOME il quale ha chiesto di dichiarare inammissibile o, in subordine, di rigettare il ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado di giudizio.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 24 ottobre 2024, confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato previsto dall’art. 648 cod. pen.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando che era stato indicato un teste a difesa, che avrebbe dovuto riferire sia le modalità del contatto tra l’imputato e la ditta acquirente RAGIONE_SOCIALE ma soprattutto che la richiesta di produzione dei manufatti era pervenuta dalla RAGIONE_SOCIALE, per il tramite
del teste, circostanze che avrebbero escluso il reato di ricettazione; eccepisce che erroneamente i giudici di merito avevano escluso il teste in quanto non rinvenuto all’indirizzo di residenza .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Relativamente all’unico motivo di ricorso, si deve ribadire che ‘i l giudice, ai sensi dell’art. 495, comma 4, cod. proc. pen., può revocare una prova testimoniale già ammessa non solo quando essa, rispetto al materiale probatorio già assunto nel contraddittorio tra le parti, non appaia più decisiva ma anche quando non sia più utile, perché incompatibile con il principio di ragionevole durata del processo ‘ (Sez. 5, n. 8422 del 14/01/2020, COGNOME, Rv. 278794, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la revoca dell’ammissione di un teste che, per l’intera durata del processo, aveva tenuto una condotta sintomatica della volontà di sottrarsi all’esame dibattimentale, non ottemperando alle citazioni ed impedendo l’esecuzione del provvedimento di accompagnamento coattivo ed infine, nell’ultima udienza, dando assicurazione telefonica di una generica disponibilità a comparire in una prossima udienza, elemento che, alla luce del suo pregresso comportamento, era apparso un modo per procrastinare la definizione del processo; vedi anche Sez. 3, n. 20851 del 11/03/2015, COGNOME, Rv. 263774).
1.2. Nel caso in esame, la Corte di appello ha osservato che la citazione di un teste irreperibile avrebbe procrastinato sine die il processo, applicando correttamente la giurisprudenza sopra riportata. Del resto, l’attestazione del postino secondo la quale il teste era sconosciuto all’indirizzo di residenza è un atto proveniente da pubblico ufficiale (tale essendo la sua qualifica, come precisato Sez. 5, n. 4562 del 13/02/1985, COGNOME, Rv. 169145), e sul punto il motivo di ricorso si limita a produrre un certificato di residenza intendendo così sconfessare quella risultanza, mentre tale attestazione avrebbe potuto essere superata solo tramite querela di falso.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità -al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Non può, infine, essere accolta la richiesta delle parti civili di liquidazione delle spese sostenute nel grado.
Invero, come efficacemente argomentato nella sentenza delle Sezioni unite penali n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886, non massimata sul punto, nel procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 cod. proc. pen., ovvero con rito camerale c.d. “non partecipato”, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, ne va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, purché, in sede di legittimità, la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi.
Nel caso in esame, in applicazione di tale condiviso principio di diritto, costantemente enunciato in riferimento a tutte le forme di giudizio camerale non partecipato, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in favore della parte civile non è dovuta, perché essa non ha fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, od il suo rigetto, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta la richiesta di liquidazione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili.
Così deciso il 06/05/2025