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Terzo in buona fede: acquisto sospetto e sequestro

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un acquirente di un’autovettura, la cui istanza di revoca del sequestro preventivo era stata rigettata. Il ricorrente sosteneva di essere un terzo in buona fede, ma i giudici hanno ritenuto l’operazione di acquisto anomala e inserita in un contesto criminale di riciclaggio di veicoli, non ritenendo provata la buona fede dell’acquirente, professionista del settore.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Terzo in buona fede: quando l’acquisto di un bene non basta a salvarlo dal sequestro

L’acquisto di un bene, come un’automobile, da un soggetto poi risultato coinvolto in attività criminali, pone un problema delicato: l’acquirente può perdere il bene anche se si dichiara un terzo in buona fede? Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce che la sola affermazione di buona fede non è sufficiente, specialmente quando le circostanze dell’acquisto appaiono sospette. È necessario fornire prove concrete che dimostrino la propria estraneità ai fatti illeciti.

I Fatti: L’Operazione di Acquisto Sospetta

Il caso riguarda il sequestro preventivo di un’autovettura di lusso, avvenuto nell’ambito di un’indagine su un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico e al riciclaggio di veicoli di provenienza illecita. L’organizzazione criminale utilizzava una società di autoveicoli, formalmente amministrata da un prestanome, per “ripulire” auto rubate o di origine criminosa attraverso fittizi passaggi di proprietà.

L’autovettura in questione era stata acquistata da un soggetto, titolare di una ditta di autoricambi, che ne rivendicava la proprietà come terzo in buona fede. Tuttavia, la ricostruzione dei passaggi di proprietà ha rivelato diverse anomalie:

1. Il veicolo, del valore di 41.000 euro, era stato inizialmente acquistato in Germania per conto di un primo acquirente.
2. Quest’ultimo aveva poi deciso di rivenderlo a causa di “criticità” riscontrate, individuando come nuovo acquirente il ricorrente.
3. L’auto era stata intestata al prestanome dell’organizzazione criminale e poi rivenduta al ricorrente con scrittura privata per soli 11.000 euro, un prezzo notevolmente inferiore al suo valore.
4. Il ricorrente, un professionista del settore, aveva accettato di acquistare un’auto non marciante e con problemi al motore, accollendosi i costi di riparazione stimati in circa 26.000 euro.

Il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro, ritenendo l’intera operazione incongrua e la spiegazione fornita poco credibile, concludendo che la presunta buona fede fosse meramente asserita e non supportata da prove idonee.

La Decisione dei Giudici: il ricorso e il ruolo del terzo in buona fede

La difesa dell’acquirente ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge penale. Secondo il ricorrente, il Tribunale non avrebbe correttamente valutato le prove a dimostrazione della sua buona fede, arrestandosi alla mera titolarità formale del bene senza considerare che la presunzione di illecita accumulazione non si applica al terzo in buona fede.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato: il ricorso contro ordinanze in materia di misure cautelari reali è ammesso solo per violazione di legge. Non è possibile contestare la valutazione dei fatti o la logicità della motivazione, a meno che questa non sia totalmente assente o così contraddittoria da risultare incomprensibile.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha stabilito che, nel caso specifico, la motivazione del Tribunale del riesame non era né assente né manifestamente illogica. Al contrario, i giudici di merito avevano chiaramente spiegato le ragioni per cui l’operazione commerciale era da considerarsi sospetta e perché la buona fede dell’acquirente non poteva ritenersi provata. L’incongruità del prezzo di acquisto (11.000 euro contro un valore di 41.000), la professionalità dell’acquirente (che avrebbe dovuto essere più cauto) e l’inserimento della compravendita in un contesto criminale accertato (confermato anche da un collaboratore di giustizia) erano tutti elementi che minavano la credibilità della sua versione. Pertanto, le censure del ricorrente miravano a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza un importante principio: per essere tutelato, il terzo in buona fede non può limitarsi a una semplice dichiarazione. Deve essere in grado di dimostrare, con elementi concreti e credibili, di aver agito con la dovuta diligenza e di essere completamente estraneo al contesto illecito da cui proviene il bene. Quando un’operazione commerciale presenta palesi anomalie, come un prezzo eccessivamente basso o passaggi di proprietà opachi, l’onere di dimostrare la propria buona fede diventa ancora più stringente, specialmente per chi opera professionalmente nel settore.

Perché il ricorso dell’acquirente è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché in sede di Cassazione, per le misure cautelari reali, si può contestare solo la violazione di legge e non la valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, a meno che la motivazione non sia completamente assente o manifestamente illogica, cosa che in questo caso è stata esclusa.

Quali elementi hanno reso sospetto l’acquisto dell’auto secondo i giudici?
I giudici hanno ritenuto l’operazione sospetta a causa di diversi elementi: il prezzo di vendita di 11.000 euro, notevolmente sproporzionato rispetto al valore reale del veicolo (41.000 euro); il fatto che l’acquirente fosse un professionista del settore e avesse comprato un’auto non marciante con ingenti costi di riparazione; e l’inserimento della compravendita in un contesto criminale noto di riciclaggio di veicoli.

Cosa deve dimostrare un acquirente per essere considerato un terzo in buona fede in casi simili?
L’acquirente deve fornire elementi di prova concreti e idonei a supportare la sua affermazione di buona fede. Non basta la mera titolarità formale del bene. Deve dimostrare di aver agito con diligenza e di essere estraneo al contesto illecito, soprattutto quando le circostanze della transazione, come un prezzo incongruo, suggeriscono il contrario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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