Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18719 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18719 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a Ceccano il 17/11/1991 avverso la sentenza del 28/10/2024 della Corte di Appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME NOMECOGNOME a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 28 ottobre 2024 con la quale la Corte di Appello di Roma, ha confermato la sentenza emessa, in data 26 gennaio 2024, con cui il Tribunale di Frosinone, lo ha condannato alla pena di anni 4, mesi 6 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa in relazione al reato di rapina.
Con il primo motivo di impugnazione si eccepisce violazione dell’art. 23 del dl. 149/2020 conseguente al mancato rispetto dei termini previsti per la trasmissione alle parti delle conclusioni della Procura Generale.
La memoria è stata tramessa via PEC al difensore in data 23 ottobre 2024 e, quindi, solo cinque giorni prima del giudizio di appello con conseguente mancato rispetto del termine di quindici giorni previsto dall’art. 598-bis cod. proc. pen.
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce vizio di motivazione in ordine alla penale responsabilità dell’imputato.
La Corte territoriale avrebbe fondato la condanna esclusivamente sulle dichiarazioni rese da NOME COGNOME senza tenere conto dei risultati delle indagini difensive svolte ai sensi dell’art 327-bis cod. proc. pen. (sommarie informazioni rese al difensore da NOME COGNOME ed NOME COGNOME dichiarazione sottoscritta dall’imputato nonché documenti raccolti nel fascicolo difensivo).
I giudici di merito avrebbero fondato la condanna sulle dichiarazioni della persona offesa e, quindi, sul narrato di un soggetto, non escusso nel corso del dibattimento ed indebolito “dai segni ingravescenti dell’età” (vedi pag. 3 del ricorso) e sulle dichiarazioni di NOME COGNOME nonostante quest’ultima non abbia assistito alla vicenda e si sia più volte sottratta all’esame dibattimentale.
La Corte distrettuale, senza procedere al necessario vaglio dell’attendibilità della persona offesa e della teste NOME COGNOME avrebbe sminuito gli elementi probatori favorevoli all’imputato senza una valida giustificazione “benché fossero inconciliabili con quelli di segno opposto e almeno altrettanto degni di fede” (vedi pag. 4 del ricorso).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
Il primo motivo di ricorso è generico.
L’accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova che:
le conclusioni del Procuratore generale sono state tardivamente notificate al difensore dell’imputato in data 23 ottobre 2024;
in data 24 ottobre 2024 è stata prodotta memoria conclusiva nell’interesse del ricorrente;
L’udienza del 28 ottobre 2024 si è svolta con le forme del rito cartolare.
Nel caso in esame, pur essendosi verificata indubbiamente una irregolarità, in ragione del mancato rispetto della sequenza procedimentale prescritta dalla legge, deve essere ribadito il principio di diritto secondo cui il ricorrente, in caso di giudizio cartolare, non può limitarsi lamentare un generico pregiudizio del proprio diritto di difesa conseguente al mancato rispetto del termine perentorio previsto per il deposito delle conclusioni del Procuratore generale, dovendo dedurre un’effettiva incidenza delle conclusioni intempestive rispetto all’esito del giudizio, come – a titolo esemplificativo – la necessità di approfondimenti per la complessità delle tesi avversarie (Sez. 2, n. 34914 del 07/09/2021, Rv. 281941-01, Sez. 5, n. 27419 del 17/02/2023, R., Rv. 285874-01; Sez. 6, n. 22919 del 24/04/2024, P., Rv. 286664 – 01).
Tale onere non è stato adempiuto dal ricorrente che non ha specificato nel ricorso quale concreto pregiudizio per le ragioni della difesa è derivato dalla trasmissione in ritardo delle conclusioni del pubblico ministero con conseguente genericità della doglianza.
Peraltro, la tardività del deposito può rilevare nei limiti in cui risulti che le conclusioni no siano consistite, come nel caso oggetto di analisi, in una generica richiesta di conferma della
sentenza impugnata, bensì abbiano assunto un contenuto ulteriore e tale da condizionare l’esito del giudizio di appello.
Deve essere, infine, evidenziato che la difesa ha depositato, prima dell’udienza di appello, una memoria conclusiva senza eccepire il mancato rispetto del termine previsto dall’art. 23 del dl. 149/2020.
3. Il secondo motivo di ricorso è articolato esclusivamente in fatto e, quindi, proposto al di fuori dei limiti del giudizio di legittimità, restando estranei ai poteri della Corte di cassazion quello di una rilettura degli elementi probatori posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
Il motivo è, al contempo, aspecifico in quanto reiterativo di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale.
3.1. Ciò premesso deve essere rimarcato che entrambe le sentenze hanno dato adeguatamente conto delle ragioni che hanno indotto i giudici di merito ad affermare che il ricorrente abbia commesso il reato di rapina aggravata a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle prove.
I giudici di appello, con motivazione esaustiva e conforme alle risultanze processuali, che riprende le argomentazioni del giudice di primo grado come è fisiologico in presenza di una doppia conforme, hanno indicato la pluralità di elementi idonei a dimostrare la penale responsabilità del ricorrente in relazione al reato di rapina (vedi pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata), tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
Deve essere, in particolare, evidenziato che la versione dei fatti offerta dalla persona offesa in sede di querela risulta essere stata valutata dalla Corte distrettuale in maniera logica, congrua e lineare, anche in considerazione della portata dei rimanenti elementi di prova che non hanno evidenziato alcun profilo di contrasto significativo con le dichiarazioni rese dal COGNOME né alcun interesse all’accusa da parte del querelante.
Peraltro, i giudici di appello, quanto alla genuinità del racconto, hanno affermato, con percorso argomentativo privo di illogicità manifeste, come le modalità di emersione dei fatti non siano riconducibili a intenti calunniatori o di etero-induzione, in considerazione della carenza di elementi da cui desumere che la persona offesa abbia alterato il narrato al fine di sostenere un’accusa di natura calunniatoria (vedi pag. 6 della sentenza oggetto di ricorso).
3.2. Deve essere, inoltre, ribadito che le Sezioni Unite hanno affermato che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni» (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609-01), circostanza, quest’ultima, non ravvisabile nel caso di specie in quanto il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale non presenta
contraddizioni manifeste ed è stato effettuato con argomentazioni coerenti e prive di vizi logico-giuridici.
La testimonianza della persona offesa, al pari di qualsiasi altra testimonianza, è sorretta da una presunzione di veridicità secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne
criticamente il contenuto, verificandone l’attendibilità, non può assumere come base del proprio convincimento l’ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che
sussistano specifici elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente
quanto a sua effettiva conoscenza (vedi Sez. 6, n. 3041 del 03/10/2017, Giro, Rv. 272152 –
01), elementi non ravvisabili nel caso in esame.
3.3. Il ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra l
diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dalla
Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di
merito con conseguente aspecificità del motivo di ricorso.
L’errore di impostazione nel quale cade il ricorrente è quello di far leva su elementi di prova ipotetici e “negativi” (quali l’età avanzata della persona offesa ed i dissidi preesistenti
tra le figlie della persona offesa), su considerazioni, cioè, generiche ed astratte; abbandonando il piano dell’esperienza fenomenica per privilegiare ipotesi alternative e ciò all’evidente scopo di tacciare di illogicità manifesta il governo dei fatti positivamente accertati e sollecitare una diversa interpretazione e valutazione del compendio probatorio.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
DEPOSITATO IN CANCELLARIA