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Termini indagini preliminari: quando è lecita?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato in custodia cautelare per spaccio. La Corte ha chiarito che l’emersione di nuovi fatti criminosi giustifica una nuova iscrizione nel registro degli indagati, facendo decorrere nuovi termini indagini preliminari. Di conseguenza, le prove raccolte sono state ritenute utilizzabili e la misura cautelare confermata, data la gravità degli indizi e il pericolo di reiterazione del reato.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termini Indagini Preliminari: La Cassazione Chiarisce la Nuova Iscrizione

La gestione dei termini indagini preliminari rappresenta un pilastro del diritto processuale penale, garantendo che l’indagato non resti in una condizione di incertezza a tempo indeterminato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 37745 del 2025, offre un’importante delucidazione su una questione cruciale: è possibile ‘aggirare’ la scadenza dei termini iscrivendo una nuova notizia di reato per fatti simili? La risposta della Corte è netta e si basa sulla distinzione tra la prosecuzione di una stessa indagine e l’emersione di fatti delittuosi nuovi e autonomi. Analizziamo insieme questo caso complesso per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: Spaccio Continuato e l’Ordinanza di Custodia

Il caso ha origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP presso il Tribunale di Cosenza nei confronti di un individuo, accusato di un’estesa attività di spaccio di sostanze stupefacenti. L’attività illecita, secondo le indagini, si sarebbe protratta per un lungo arco temporale, dal 2016 al 2024. Il Tribunale di Catanzaro, in sede di riesame, confermava la misura restrittiva. La difesa dell’indagato, tuttavia, decideva di presentare ricorso per Cassazione, basando la propria strategia su tre motivi principali.

Il Primo Motivo: La Questione dei Termini Indagini Preliminari

Il fulcro del ricorso verteva su una presunta violazione procedurale. La difesa sosteneva che gran parte delle prove raccolte fossero inutilizzabili. Il motivo? Erano state acquisite dopo la scadenza del termine di 18 mesi delle indagini preliminari, avviate con una prima iscrizione della notizia di reato nel marzo 2020. Secondo i legali, il Pubblico Ministero, di fronte alla scadenza imminente, avrebbe effettuato una seconda iscrizione nel 2024 per la medesima fattispecie di reato, al solo scopo di continuare un’attività investigativa che si sarebbe dovuta concludere. Questo, secondo la difesa, costituiva un espediente illegittimo per aggirare i termini indagini preliminari stabiliti dalla legge.

La Tesi sulla Gravità degli Indizi e la Qualificazione del Reato

In secondo luogo, la difesa contestava la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Le dichiarazioni degli acquirenti, a loro dire, erano generiche e non sufficienti a delineare un quadro di spaccio continuato e professionale. Si chiedeva, pertanto, di riqualificare il fatto come ‘reato di lieve entità’ (previsto dal comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/90), una fattispecie meno grave che tiene conto della quantità e qualità della sostanza, dei mezzi e delle modalità della condotta.

La Proporzionalità della Misura Cautelare

Infine, il ricorso lamentava la sproporzione della custodia in carcere. La difesa sottolineava che l’indagato era sostanzialmente incensurato, poiché un precedente del 2013 doveva considerarsi estinto, e aveva un lavoro stabile. Di conseguenza, una misura così afflittiva non sarebbe stata giustificata né adeguatamente motivata, violando i principi di adeguatezza e proporzionalità delle esigenze cautelari.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in ogni sua parte, ritenendo i motivi infondati o inammissibili. Sul punto cruciale dei termini indagini preliminari, la Corte ha fornito una spiegazione chiara e dirimente. Ha stabilito che, qualora nel corso di un’indagine emergano elementi relativi a ulteriori fatti che costituiscono reato, anche se della stessa natura, il Pubblico Ministero ha il dovere di procedere a una nuova e autonoma iscrizione nel registro delle notizie di reato.

Ogni nuova iscrizione fa decorrere un nuovo e indipendente termine per le indagini. Nel caso di specie, le informative della polizia giudiziaria avevano fatto emergere reati commessi in periodi diversi rispetto a quelli originariamente contestati. Non si trattava, quindi, di un artificio per prolungare le indagini, ma di una corretta applicazione della procedura di fronte a nuove notizie di reato. Di conseguenza, tutte le prove raccolte sono state considerate pienamente utilizzabili.

Riguardo alla sussistenza dei gravi indizi e alla qualificazione del reato, la Corte ha giudicato il motivo di ricorso generico. Il Tribunale del riesame aveva adeguatamente motivato la propria decisione, basandosi su un compendio probatorio solido: le dichiarazioni dettagliate di circa 35 acquirenti, riconoscimenti fotografici e intercettazioni. Questi elementi delineavano un’attività di spaccio continuativa, professionale e protratta per otto anni, che coinvolgeva sia droghe leggere che pesanti. Tale quadro, secondo la Corte, esclude logicamente la possibilità di qualificare il fatto come di lieve entità. La reiterazione sistematica delle cessioni, anche se di modiche quantità, dimostra una capacità dell’autore di diffondere sostanze in modo non occasionale, giustificando la contestazione più grave.

Infine, anche il terzo motivo sulle esigenze cautelari è stato ritenuto inammissibile. La Corte ha confermato la validità della motivazione del Tribunale, che aveva sottolineato la gravità del precedente specifico dell’indagato (non formalmente estinto) e la continuità dell’attività illecita fino a tempi recentissimi. Questa pervicacia nel delinquere, sintomatica di una vera e propria professionalità criminale, rendeva la custodia in carcere l’unica misura idonea a fronteggiare il concreto e attuale pericolo di reiterazione del reato.

Le Conclusioni della Sentenza

La sentenza n. 37745 del 2025 ribadisce principi fondamentali in materia di procedura penale. In primo luogo, chiarisce che la scadenza dei termini indagini preliminari non impedisce al Pubblico Ministero di avviare un nuovo procedimento se emergono fatti-reato distinti e autonomi, anche se commessi dalla stessa persona e della stessa tipologia. Ogni nuova iscrizione apre un nuovo capitolo investigativo con propri termini. In secondo luogo, conferma che la qualificazione di un reato di spaccio come ‘lieve’ non dipende solo dalla quantità della singola cessione, ma da una valutazione complessiva che include la continuità, la professionalità e l’ampiezza dell’attività illecita. Una condotta sistematica e prolungata nel tempo, come nel caso esaminato, è incompatibile con l’ipotesi di lieve entità. Questa decisione, dunque, fornisce un’importante guida interpretativa per difensori e magistrati, tracciando una linea netta tra la corretta gestione delle indagini e gli abusi procedurali.

È legittimo avviare nuove indagini se i termini per quelle precedenti sono scaduti?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che se durante un’indagine emergono fatti nuovi che costituiscono reato, anche se della stessa natura, il Pubblico Ministero deve procedere a una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato. Questa nuova iscrizione fa decorrere un termine per le indagini preliminari del tutto autonomo e indipendente dal precedente.

Quando lo spaccio di droga non può essere considerato un ‘fatto di lieve entità’?
Secondo la sentenza, non si può parlare di ‘fatto di lieve entità’ quando l’attività di spaccio è continuativa, sistematica e si protrae per un lungo periodo. Anche se le singole cessioni riguardano quantità modiche, la reiterazione nel tempo e la professionalità dimostrata dall’indagato indicano una capacità di diffondere la droga in modo non occasionale, escludendo così la fattispecie meno grave.

Un vecchio precedente penale è sempre irrilevante per la valutazione delle misure cautelari?
No. La Corte ha chiarito che un precedente penale, specialmente se specifico e non formalmente estinto, è un elemento rilevante per valutare il pericolo di reiterazione del reato. Nel caso di specie, il precedente, unito alla continuità dell’attività illecita, ha contribuito a giustificare la misura della custodia in carcere come l’unica adeguata a prevenire la commissione di nuovi reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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