Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33045 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33045 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a LAMEZIA TERME il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/10/2023 del TRIB. per il riesame di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sulle conclusioni del AVV_NOTAIO.G. NOME COGNOME che conclude per il rigetto del ricorso.
udito il Difensore:
è presente l’AVV_NOTAIO, del Foro di CATANZARO, in difesa di NOME COGNOME, che chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 Tribunale per il riesame di Catanzaro, decidendo ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., con ordinanza del 26 ottobre 2023 – 11 gennaio 2024 ha rigettato l’appello proposto da NOME avverso il provvedimento con cui il Tribunale di Catanzaro il 22 giugno 2023 ha disatteso la richiesta di revoca o di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere che era stata disposta dal G.i.p. 1’8 febbraio 2023 nei confronti di NOME, indagato per la violazione dell’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ricorre per la cassazione dell’ordinanza NOME AVV_NOTAIO, tramite Difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
Per la migliore intelligenza del ricorso, si premette che i tre motivi riguardano altrettante questioni che la Difesa dell’indagato ha sottoposto al G.i.p. con istanza ex art. 299 cod. proc. pen. del 19 giugno 2023, disattesa con provvedimento del 22 giugno 2023, impugnato, sotto i tre profili in questione, innanzi al Tribunale per il riesame in sede di appello.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 407 cod. proc. pen. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui viene rigettata l’eccezione di inutilizzabilità delle risultanze del intercettazioni di cui ai RIT nn. 750/2019 e 938/2019.
Premesso che la Difesa aveva posto nell’istanza rivolta al G.i.p. (pp. 1-10), che la ha disattesa (p. 1), la questione della inutilizzabilità dei risultati d intercettazioni in questione, siccome i decreti autorizzativi sarebbero stati emessi dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari, e che il Tribunale per il riesame di Catanzaro ha disatteso la questione (pp. 1-3 dell’ordinanza impugnata), il ricorrente osserva quanto segue (pp. 1-11 dell’impugnazione).
I fatti di droga emersi dalle intercettazioni nell’ambito delle indagini svolte dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Lamezia Terme dal 2016, a seguito dell’arresto di NOME COGNOME per reati in materia di armi e di stupefacenti, sarebbero gli stessi per cui successivamente ha proceduto la Procura del Tribunale distrettuale di Catanzaro, anche sotto il profilo della identità soggettiva degli indagati.
Infatti, già nelle richieste di intercettazioni del P.M. di Lamezia Terme, accolte dal G.i.p. tra agosto e dicembre 2016, si legge che le investigazioni sono orientate verso «una banda di delinquenti», «un’organizzazione dedita al traffico ed allo spaccio di stupefacente», «una cosca», mentre il G.i.p. fa riferimento, a
titolo esemplificativo, ad una «nuova cosca» (decreti richiamati ed allegati all’impugnazione).
In conseguenza, la Procura di Lamezia Terme avrebbe illegittimamente omesso di iscrivere a carico degli indagati l’ipotesi di cui all’art. 74 del d.P.R. 309 del 1990, limitandosi ad iscrivere singoli reati ex art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, senza trasmettere gli atti, come invece sarebbe stato doveroso, alla Procura distrettuale e ciò sino alla scadenza del termine massimo di due anni, infine, ma soltanto dopo il deposito della informativa finale della polizia giudiziaria del 19 settembre 2018, iscrivendo l’ipotesi associativa e provvedendo alla trasmissione.
La Procura di Catanzaro ha provveduto, quindi, effettuata la iscrizione nell’ottobre del 2018, a svolgere altri due anni di indagini in ordine – si sottoline – ai medesimi fatti ed alle stesse persone sino a che, essendo emersi elementi significativi in senso indiziario a carico di NOME COGNOME (RIT nn. 750/2019 e 938/2019, i cui decreti sono stati emessi nell’agosto del 2019), questi è stato iscritto nel registro degli indagati in data 31 marzo 2021.
Da quanto esposto, ad avviso del ricorrente, discenderebbe la conseguenza che il P.M. di Lamezia Terme non avrebbe dovuto provvedere ad una nuova iscrizione, adempimento da cui decorrono autonomi termini di indagine, ma soltanto procedere ad un mero “aggiornamento” della originaria notitia criminis in ordine a nomen iuris ed elementi circostanziali, senza decorrenza di un nuovo termine di indagini, come puntualizzato da Sez. 6, n. 29151 del 09/05/2017, Cusani, Rv. 270573 («Qualora il pubblico ministero, dopo l’iniziale iscrizione del registro delle notizie di reato, provveda ad una successiva iscrizione relativa al medesimo fatto, sia pur diversamente circostanziato, sono inutilizzabili le prove acquisite oltre il termine di durata delle indagini preliminari decorrente dalla data della prima iscrizione»).
Le indagini preliminari nei confronti dei soggetti, diversi dall’odierno ricorrente, indagati, prima, dalla Procura di Lamezia Terme e, poi, da quella di Catanzaro sarebbero in definitiva scadute già a novembre 2018 e, in conseguenza, i risultati di quelle effettuate nell’ambito dei RIT n. 750/2019 e n. 938/2019 con decreti di agosto – novembre 2019 sarebbero inutilizzabili, appunto, a causa del superamento dei termini di durata massima delle indagini preliminari.
Al riguardo si osserva che il principio in base al quale in caso di trasmissione degli atti da un Ufficio del P.M. ad un altro i termini di indagine ricominciano a decorrere dalla nuova iscrizione vale solo in caso di trasmissione per incompetenza territoriale e non già di incompetenza funzionale, come nel caso di
specie; ragionando diversamente, si eluderebbe – si assume – la disciplina sulla durata massima delle indagini.
Inoltre, il contenuto della iscrizione nel registro degli indagati da parte del P.M. di Catanzaro, ricevente gli atti dal P.M. di Lamezia Terme, è identico a quella del P.M. che gli atti ha trasmesso.
Donde, ad avviso di NOME, la conclusione che «il termine per le indagini preliminari debba decorrere dalla prima iscrizione, avvenuta da parte dell’Ufficio di Procura di Lamezia Terme nel mese di novembre 2016, di tal che i decreti n. 750/2019 RIT e n. 938/2019 RIT risultano essere stati emessi oltre il termine di durata massima delle indagini preliminari. Pertanto, le risultanze dei predetti decreti sono inutilizzabili, ai sensi dell’art. 407 c.p.p.» (così alla p. 11 del ricorso).
2.2. Con il secondo motivo COGNOME si duole della violazione degli artt. 267, comma 3, e 271, comma 1, cod. proc. pen. e 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, e, nel contempo, di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui viene rigettata l’eccezione di inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni di cui al decret 938/2019 RIT, emesso di urgenza il 10 giugno 2019, e di cui al successivo decreto di proroga dello stesso RIT in data 30 agosto 2019.
Premesso che la Difesa aveva posto con l’istanza rivolta al Giudice per le indagini preliminari (pp. 10-16), che la ha disattesa (p. 1), la questione della inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni disposte sul NUMERO_DOCUMENTO sia originarie che prorogate con decreto del 30 agosto 2019, ai sensi degli artt. 267 e 271 cod. proc. pen., e che il Tribunale per il riesame non ha accolto la stessa (p. 3), il ricorrente svolge le seguenti considerazioni critiche (pp. 11-19 dell’atto di impugnazione).
Essendo cessate alla data del 23 luglio 2019, alle ore 24.00, le intercettazioni che erano autorizzate per la durata di 40 giorni a far data dal 14 giugno 2019, atteso il tipo di reato ipotizzato, il P.M. il giorno 25 luglio 2019 h emesso un autonomo decreto di intercettazione di urgenza sullo stesso numero ed apparecchio, convalidato dal G.i.p., con decorrenza di autonomi termini di durata di 40 giorni, anziché chiedere, come sarebbe stato fisiologico, la proroga per (soli) 20 giorni della intercettazione già autorizzata. Ne discenderebbe non solo che le registrazioni effettuate dopo il 14 agosto 2019, cioè 25 luglio 2019 + 20 giorni, sarebbero inutilizzabili ma anche che il decreto di proroga, emesso il 30 agosto 2019, sarebbe tardivo e privo dei requisiti contenutistici tali da poter essere riqualificato come sostanzialmente nuovo provvedimento autonomo (secondo l’insegnamento di Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, dep. 2016, Ambroggio, Rv. 265746: «In materia di intercettazioni telefoniche o ambientali, il
decreto formalmente qualificato “di proroga”, intervenuto dopo la scadenza del termine originario o già prorogato, può avere natura di autonomo provvedimento di autorizzazione all’effettuazione delle suddette operazioni, se dotato di autonomo apparato giustificativo, che dia conto della ritenuta sussistenza delle condizioni legittimanti l’intromissione nella altrui sfera di riservatezza»).
In conseguenza, ad avviso del ricorrente, le risultanze della intercettazioni autorizzate con il decreto di proroga del 30 agosto 2019 sarebbero inutilizzabili ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 267, comma 3, e 271 cod. proc. pen.
2.3. Tramite l’ultimo si censura la violazione dell’art. 275 cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione nella parte in cui l’ordinanza che si impugna omette di motivare in ordine alla, pur dedotta, violazione dei principi di adeguatezza e di proporzionalità nella scelta della misura cautelare.
Premesso che nell’interesse dell’indagato si è chiesto al G.i.p. di prendere atto della operatività nel caso di specie del divieto di cui all’art. 275, comma 4, cod. proc. pen. (pp. 16-19) ma che la prospettazione non è stata condivisa né dal giudice di prime cure (pp. 2-3) né dal Tribunale dell’appello cautelare (pp. 34), la Difesa di NOME rileva quanto segue (pp. 19-22 del ricorso).
Il Tribunale per il riesame, malgrado specifica doglianza, non avrebbe spiegato perché non risultino sufficienti gli arresti domiciliari anche con i “braccialetto elettronico”, tenuto conto anche dalle risalenza nel tempo dei fatti, al mese di settembre 2019, dell’arresto, avvenuto nel novembre 2019, del capo della presunta associazione criminale, della mancanza di legami dell’indagato con altre associazioni criminali e della già dedotta impossibilità per la moglie di NOME a fare fronte alle necessità di cura e di assistenza del comune figlio in tenerissima età, di pochi mesi, dovendo la donna lavorare e non essendovi nonni in grado di sostituire i genitori.
Si chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Il Procuratore Generale della RAGIONE_SOCIALE nella memoria del 10 marzo 2024 ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
Con il primo motivo, come si è visto, si denunzia il superamento dei termini massimi di durata delle indagini, da cui discenderebbe la inutilizzabilità
delle risultanze delle intercettazioni disposte dal mese di agosto 2019 in avanti sulle utenze nell’ambito dei RIT n. 750/2019 e n. 938/2019.
La questione è stata già posta al Tribunale per il riesame, che la ha respinta osservando (alle pp. 1-3): che la insorgenza di indizi tali da imporre l’iscrizione, certamente da effettuarsi tempestivamente, presuppone una valutazione discrezionale da parte del Pubblico Ministero, valutazione che, secondo le Sezioni unite della S.C., non è sindacabile da parte del Giudice, ferma la responsabilità, disciplinare e persino penale, del P.M. che sia negligente nell’effettuare la tempestiva iscrizione (Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, COGNOME, Rv. 244376: «Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui i pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome dell persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407, comma terzo, cod. proc. pen., fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P. M. che abbia ritardato l’iscrizione. (Fattispecie di ordinanza di misura coercitiva sottoposta a riesame)»); e che nel caso di specie si è in presenza di fatti storici diversi sia oggettivamente sia soggettivamente.
Tali rilievi non sono oggetto di specifica confutazione da parte del ricorrente, il quale si limita a ribadire – quasi testualmente – quanto già sostenuto nell’appello ex art. 310 cod. proc. pen. (cfr. pp. 4-12). Si tratta, quindi, di motivo di impugnazione meramente reiterativo e, in definitiva, aspecifico.
Quanto al secondo motivo, con cui si censura la illegittimità della proroga disposta il 30 agosto 2019 e la conseguente inutilizzabilità dei risultati delle registrazioni, osserva il Collegio che anche tale questione era stata già posta al Tribunale per il riesame (pp. 13-21), negli stessi – testuali – termini e che ha avuto la risposta che si rinviene a p. 3 dell’ordinanza impugnata, cioè che manca una sanzione processuale, risposta con la quale il ricorso omette di confrontarsi.
Si è in presenza anche in questo caso di motivo meramente reiterativo.
In relazione al terzo motivo, con cui si sostiene che la misura non sarebbe né proporzionata né adeguata, il Tribunale ha già fornito risposta (pp. 34), che non risulta né illogica né incongrua, avendo spiegato che la dedotta impossibilità della moglie dell’indagato di provvedere alla cura del piccolo è circostanza di fatto solo asserita ma non dimostrata.
Il ricorrente “aggiusta il tiro” rispetto all’impugnazione di merito ed assume che il terzo motivo di appello era, in realtà, proteso a contestare il difetto d proporzionalità e di adeguatezza in presenza del fatto “nuovo”, rispetto alla decisione intervenuta ex art. 309 cod. proc. pen., rappresentato, appunto, dalla impossibilità per la madre lavoratrice di assistere il figlio in tenerissima età.
Al riguardo, oltre alla richiamata assertività dell’assunto, si osserva che «In tema di sostituzione della custodia cautelare in carcere per l’imputato padre di prole non superiore a sei anni, la condizione di assoluta impossibilità per la madre di assistere i figli sussiste, oltre che nel caso di decesso di quest’ultima, in presenza di una grave inabilità indipendente dalla sua volontà, essendo insufficiente una situazione di mera difficoltà. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che l’attività lavorativa della madre, ancorché quotidianamente svolta per oltre otto ore, non integrasse il requisito dell’assoluta impossibilità ad occuparsi della prole)» (Sez. 1, n. 10583 del 25/11/2020, dep. 2021, Arena, Rv. 281353).
Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 03/04/2024.