Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13291 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13291 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Villaricca il 13/02/1957
avverso l’ordinanza del 09/10/2024 del Tribunale di Napoli in funzione di riesame visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le richieste del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta la memoria di replica delle difese, avv.ti NOME. NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso chiedendo l’ac coglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l ‘ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli in funzione di riesame ha rigettato l’appello proposto , ex art. 310 cod. proc. pen., nell’ interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, in data 8 marzo 2024, ha rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere, in atto nei confronti del ricorrente, in relazione al reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen., disposta con ordinanza n. 132/2023.
Avverso detto provvedimento ha proposto tempestivo ricorso per cassazione Ferrara, per il tramite dei difensori di fiducia, A. R. COGNOME e NOME. COGNOME denunciando, con i motivi di seguito riassunti nei limiti necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. , violazione
degli artt. 335, 406 e 407 cod. pen., in relazione agli artt. 191, 173, 273 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
2.1. Si deduce che il ricorrente è stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere con ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, in data 11 maggio 2023, in relazione al reato di cui all’art. 416bis cod. pen., contestando in via provvisoria il ruolo di capo e promotore del sodalizio denominato clan COGNOME–COGNOME.
Si assume che COGNOME era stato già destinatario di misura cautelare, per gli stessi fatti, emessa in base a dichiarazioni etero accusatorie di collaboratori di giustizia che, però, non erano state ritenute attendibili o riscontrate dai giudici di merito, dal Tribunale del riesame e dalla Corte di Cassazione. Tanto che, successivamente, il Pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione della notizia di reato iscritta a carico dell’odierno ricorrente, con riferimento al reato associativo. Inoltre, si deduce che, all’esito della riapertura delle indagini, è stata richiest a l’emissione di una nuova ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, utilizzando, però, in larga parte, il materiale investigativo -inutilizzabile – e, comunque, non probante rispetto al ricorrente, già oggetto del precedente vaglio da parte dell’Autorità giudiziaria.
Il ricorrente assume che il Giudice per le indagini preliminari, nell’ordinanza genetica, ha esposto che gli ulteriori approfondimenti investigativi, le dichiarazioni successivamente acquisite da nuovi collaboratori di giustizia, l’attività di consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero sui ‘ pizzini ‘ rinvenuti nella disponibilità di Ferrara, già reputati, con ordinanza del 9 ottobre 2014 dal Tribunale del riesame, inidonei a sostenere la gravità indiziaria, a seguito di nuove emergenze investigative, in data 23 febbraio 2018, avevano dato luogo a richiesta di riapertura delle indagini, accolta dal Giudice in data 27 febbraio 2018.
Tali nuove emergenze investigative avrebbero dovuto essere tali, secondo la difesa, da superare il giudicato cautelare formatosi in precedenza, quando era stato valutato il medesimo compendio indiziario ritenuto non sufficiente all’adozione del titolo custodiale.
Il ricorso, invece, segnala che la misura cautelare è basata su argomenti che valorizzano gli stessi elementi indiziari ritenuti in precedenza irrilevanti, cioè le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia precedenti al 2014 e alcune intercettazioni ambientali che, però, erano sono state valutate criticamente dal Giudice.
2.1.1. In ogni caso, si deduce che le emergenze valorizzate ai fini del titolo custodiale emesso ex novo sono, tutte, inutilizzabili.
Si espone che è inutilizzabile in sede cautelare l’attività compiuta dopo la scadenza dei termini delle indagini, anche se si verte in tema di reati di
criminalità organizzata. Si richiama sul punto Sez. 6, n. 2472 del 14 dicembre 2023, dep. 2024, per sostenere che non è possibile utilizzare atti di indagine effettuati dopo la scadenza dei termini di cui all ‘ art. 405, comma 2, 406 e 407 cod. proc. pen., a fini cautelari.
Secondo la tesi difensiva, il precedente giudicato cautelare che aveva condotto all’archiaviazione, non poteva essere superato stante l’ assenza di un effettivo novum in quanto tutte le successive emergenze sono inutilizzabili.
La difesa assume che non è stato possibile comprendere, per il periodo 2000 – 2011, dagli atti depositati nel fascicolo a disposizione delle parti, in quali e quanti procedimenti Ferrara sia stato iscritto, pur essendo stati raccolti a suo carico, negli anni, quaranta verbali di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia; inoltre, si è notato che l’iscrizione per reato associativo è stata effettuata nel procedimento penale n. 66070 del 2010 ed è successiva alle indagini aventi ad oggetto il medesimo reato associativo, effettuate in precedenti procedimenti penali iscritti nel 2008 e nel 2009.
In ogni caso, si deduce che COGNOME è iscritto nel procedimento penale n. 30342 del 2012 sempre per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. e che risultano pendenti a suo carico, dal 2013 in poi, altre indagini, svolte in diversi procedimenti penali, che hanno avuto ad oggetto il medesimo reato associativo; in particolare, si fa riferimento al procedimento n. 47132/13 riunito al procedimento 46943/2013, nell’ambito del quale è stata emessa l’ordinanza di custodia cautelare n. 136 del 2023.
2.1.2. Si deduce, poi, che con procedimento penale iscritto nel 2015 sono state svolte indagini aventi ad oggetto il medesimo reato a carico del ricorrente e che ulteriori procedimenti penali, del 2016 e del 2018, hanno avuto ad oggetto il reato associativo ascritto all’indagato, segnalando una discrasia tra l’attestazione di cancelleria del 22 gennaio del 2024, rispetto a quanto emerge dagli atti, in relazione alle iscrizioni a mod. 21.
In particolare, si sostiene che dalla certificazione citata emerge che Ferrara è iscritto nel registro generale notizie di reato in data 24 ottobre 2011 nel procedimento n. 52435 del 2010 e che, due giorni dopo, risulta iscritto, sempre per il medesimo titolo di reato, anche nel procedimento n. 66070/2010 r.g.n.r.
Ancora, si rileva che risulta che da tale procedimento la sua posizione è stata stralciata e oggetto di iscrizione, per lo stesso titolo, nel procedimento n. 30342 del 2012.
A ciò si aggiunge che è intervenuto ulteriore stralcio della sua posizione dal primo procedimento del 2009, in data 7 febbraio 2012.
La prima iscrizione che risulta dall’attestazione rilasciata dalla Cancelleria, secondo la difesa, non è altro che un aggiornamento di un’ iscrizione mai depositata ancorché richiesta dalla difesa.
In definitiva, si assume che si tratta di procedimenti che hanno dato luogo, nell’arco di venti anni, alla stessa contestazione del reato di cui all’ art. 416bis cod. pen., con superamento dei termini di durata delle indagini preliminari.
A fronte delle eccezioni formulate, il Giudice avrebbe dovuto verificare quali atti di indagine dovevano essere ritenuti inutilizzabili e quali utilizzabili, verifica che doveva essere effettuata anche alla luce del giudicato cautelare già formato.
L’ordinanza impugnata ha escluso che la difesa abbia spiegato, nelle doglianze devolute con l’atto di appello, quale incidenza avessero le inutilizzabilità degli atti rispetto alla tenuta indiziaria apprezzata dal Giudice per le indagini preliminari che ha emesso il titolo genetico.
Tuttavia, le ragioni che si oppongono alle questioni dedotte dalla difesa sono esposte, nel provvedimento impugnato, in termini generici, tali da determinare una violazione dell’obbligo di motivazione del giudice del riesame.
2.1.3. Le disposizioni che pongono l’obbligo di tempestiva iscrizione della notizia criminis sono concepite in funzione dei termini delle indagini preliminari perché l’iscrizione dà avvio al computo del termine previsto dall’art. 407 cod. proc. pen., qualora il pubblico ministero, dopo la prima iscrizione nel registro, provveda a una successiva iscrizione, per il medesimo fatto, pur se diversamente circostanziato; dunque, in tal caso, sono inutilizzabili le prove acquisite oltre il termine di durata delle indagini preliminari, decorrente dalla prima iscrizione (Sez. 6, n. 29.131 del 2017, COGNOME, Rv. 270573).
La Corte di cassazione ha più volte precisato che quando il pubblico ministero acquisisce, nel corso delle indagini preliminari, elementi in ordine a fatti ulteriori costituenti reato, nei confronti della stessa persona già iscritta nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen., deve procedere a nuova iscrizione e il termine per le indagini preliminari decorre, per ciascuna successiva iscrizione, senza che possa essere posto alcun limite all’utilizzazione di elementi emersi prima di tale iscrizione, nel corso de ll’ accertamento relativo ad altri fatti. Diversamente, il pubblico ministero deve procedere a un mero aggiornamento della notizia di reato quando deve limitarsi a modificare la qualificazione giuridica del fatto e a precisare l’esistenza di elementi circostanziali e in tal caso sono inutilizzabili le prove acquisite oltre il termine di durata delle indagini preliminari decorrente dalla prima iscrizione.
Si sostiene, in definitiva, che nel caso di specie il reato in ordine al quale si procede è lo stesso dal 2008 e che, sulla scorta della documentazione depositata, non è stato possibile seguire cronologicamente l’ iter delle iscrizioni per il reato associativo ed è stato chiesto, inutilmente, in più occasioni, il deposito del provvedimento di prima iscrizione e quant’altro necessario a ricostruire l’esatta cronologia di iscrizioni, stralci e riunioni di procedimenti.
Con riferimento al periodo 2010 -2023, risulta che COGNOME è iscritto quale indagato per reato associativo nel procedimento n. 66070 del 2010. Ciò significa che il termine di durata massima delle indagini, di due anni, ove si tratti della prima iscrizione, deve essere considerato scaduto nel 2012.
Dagli atti a disposizione della difesa risulta, però, che il procedimento n. 66070 del 2010 sarebbe stato iscritto a seguito di stralcio per lo stesso reato.
In altro procedimento, poi, risulta che, in data 14 gennaio 2010, è stato interrogato il collaboratore di giustizia COGNOME in ordine a fatti associativi riferibili al medesimo Ferrara, nel procedimento n. 20146 del 2008 e, inoltre, risultano numerosi altri interrogatori di collaboratori, che riguardano la persona di Ferrara, in diversi procedimenti iscritti negli anni 2008 e 2009.
Dunque, si lamenta che non sono stati messi a disposizione della difesa i provvedimenti di prima iscrizione e nemmeno quelli di stralcio eventualmente intervenuti medio tempore .
Sicché, la difesa ha eccepito l’inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine compiuti a termini scaduti nel procedimento n. 66070 del 2010.
Tale eccezione di inutilizzabilità riguarda le informative n. 143/5-20-2011 del 28 giugno 2012 e quella n. 143/5-26-2011 del 13 settembre 2012, oltre agli interrogatori resi dai collaboratori di giustizia, all’interno di questo procedimento, con particolare riferimento a COGNOME e COGNOME unitamente ai decreti di intercettazione e alle relative proroghe.
L’attestazione di Cancelleria a cui si riferisce il Giudice, nel provvedimento impugnato con l’atto di appello, non può essere considerata satisfattiva perché, trattandosi di attestazione non è atto equipollente al provvedimento di iscrizione del pubblico ministero; né si è chiarito quale sia il titolo oggetto di iscrizione.
La difesa sostiene, alla stregua degli atti consultati e prodotti, che, nell’ambito del procedimento n. 30342 del 2012 si fa riferimento a indagini per reato associativo, che sono state avviate, quantomeno dal 2005, prima della richiesta di proroga del termine di indagini, avanzata nel procedimento n. 30342 del 2012, nel gennaio 2014.
Se l’iscrizione di cui si tratta è una rinnovazione di quella già presente nel registro notizie di reato a nulla varrebbero i provvedimenti di proroga emessi nel procedimento n. 30342, perché intervenuti a termini già scaduti.
In definitiva, la difesa sostiene che la scadenza del termine di due anni nel procedimento n. 66070 del 2010 non consentiva proroghe.
Lo stralcio dal procedimento n. 66070 del 2010 che risulta dagli atti è stato disposto nel 2012 (in data 5 luglio 2012) ma questo non poteva essere adottato perché non si verteva in tema di aggiornamento di iscrizione nei confronti di Ferrara, già indagato nel primo procedimento, per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen.
2.1.4. Con riferimento in particolare all ‘ iscrizione del procedimento n. 47132 del 2013 avvenuta il 31 ottobre 2013, procedimento al quale è stato riunito quello con n. 46943 del 2013, si deduce che l’unico atto di iscrizione, depositato nel procedimento dalla Procura della Repubblica, è il medesimo provvedimento, già richiamato in precedenza, cioè quello di aggiornamento di iscrizioni e stralcio del 5 luglio 2012, emesso nel procedimento n. 66070 del 2010, mentre non risulta depositato il provvedimento di prima iscrizione, ancorché ne sia stata richiesta l ‘ acquisizione.
Ferrara, nel 2013, risultava già iscritto in diverso procedimento il n. 30342 del 2013. Ciononostante, la Procura della Repubblica ha svolto, contemporaneamente, più indagini a suo carico per lo stesso titolo di reato. Quindi, per effetto dei procedimenti n. 20146 del 2008, n. 52435 del 2009, n. 66070 del 2010, quello del 2012 e quello n. 47132 del 2013, vi sono più iscrizioni, nei confronti del medesimo soggetto per lo stesso fatto, con indagini che sono proseguite dal 2005 fino al 2014, in violazione dei termini durata delle indagini preliminari.
Sicché, s i eccepisce l’inutilizzabilità sia delle intercettazioni telefoniche, sia di tutte le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia.
La difesa sostiene di aver puntualmente indicato gli atti di cui è stata eccepita l ‘ inutilizzabilità e che spettava, piuttosto, ai giudici di merito cautelare accertare e verificare la fondatezza dei rilievi prospettati. Anzi, si sostiene di aver documentato che l’attività di indagine è proseguita in procedimenti solo formalmente intestati ad altri, anche quando era intervenuta archiviazione nei confronti del ricorrente.
2.1.5. Sotto altro profilo, si deduce che è vero che nel febbraio 2018 la Procura della Repubblica competente ha chiesto la riapertura delle indagini del procedimento n. 30342 del 2012, da cui scaturisce il procedimento n. 6087 del 2018, iscritto in data 2 marzo 2018 a carico di NOME e NOME COGNOME. Però si sostiene che detta riapertura si basa su attività investigative espletate fuori termine.
Ciò che rileva, ai fini che interessano, è secondo la difesa che il fatto reato ascritto al ricorrente è sempre lo stesso; né può attribuirsi rilievo al fatto che l’archiviazione, non seguita dalla riapertura delle indagini, non preclude la possibilità di valutare i comportamenti successivi a detta archiviazione.
2.2. Si censura, altresì, il rigetto della richiesta di acquisizione dei provvedimenti di iscrizione e di proroga, non prodotti dal Pubblico ministero a fronte di richieste specifiche della difesa.
Il Tribunale del riesame si è detto privo di poteri istruttori, in relazione ai fatti relativi all’imputazione, in quanto incompatibili con la speditezza e il procedimento incidentale de libertate .
Ai giudici di merito però la difesa aveva evidenziato il vulnus che era derivato dalla posizione assunta dal Pubblico ministero, negando la comunicazione delle iscrizioni al SICP a carico del ricorrente. Si denuncia violazione del diritto dell’imputato di conoscere la documentazione relativa alle iscrizioni a suo carico, non per sindacare l’operato del Pubblico ministero, ma per esercitare il proprio diritto di difesa.
La prospettata questione processuale, concernente la ritualità delle iscrizioni nel registro degli indagati, ha diretta incidenza sulla validità e, dunque, l’utilizzabilità degli atti di indagine posti a base del giudizio di responsabilità per il reato associativo. Dunque, il mancato accoglimento della richiesta di acquisizione di tale certificazione, da parte dei giudici di merito, non poteva essere risolto richiamandosi ai limiti dei poteri istruttori del Tribunale del riesame perché la difesa ha depositato, il 7 ottobre 2024, memoria difensiva con la quale aveva richiamato il principio di diritto secondo il quale il Tribunale del riesame, qualora non possa decidere prescindendo da taluni atti, ben può esercitare il potere di sollecitarne la trasmissione integrativa.
3.Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha fatto pervenire richieste scritte, ai sensi degli artt. 127, 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, commi 2, lettere a), b ), c) e 3 del d. l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120, con le quali ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Le difese, Avv.ti A. NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno fatto pervenire memoria di replica con la quale, ulteriormente articolando e argomentando i rilievi esposti con il ricorso, hanno concluso chiedend one l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è infondato.
1.1. La prima censura devoluta è inammissibile.
Invero, preliminarmente, la difesa deduce che, con l’ordinanza genetica n. 136 del 2023, resa dal Giudice per le indagini preliminari in data 11 maggio 2023, viene attribuita a Ferrara la condotta di partecipazione al reato di cui all’art. 416bis cod. pen., con il ruolo di capo e promotore del sodalizio denominato clan Ferrara-COGNOME, sulla base dei medesimi elementi indiziari ritenuti in precedenza irrilevanti, tanto da aver condotto alla richiesta di archiviazione della parte pubblica (dichiarazioni dei collaboratori di giustizia precedenti al 2014, alcune intercettazioni ambientali).
Tale censura è generica posto che il ricorrente non illustra, specificamente, da un lato, le fonti di prova sulle quali era basata la richiesta di archiviazione nei
confronti di Ferrara e, dall’altro, il titolo di reato per il quale la misura è stata, da ultimo, adottata, assumendo che si tratta del medesimo reato per il quale vi è stata richiesta di archiviazione, limitandosi, genericamente, a dedurre che si tratta dello stesso fatto. Tanto, non considerando, peraltro, che vi è stata richiesta di riapertura delle indagini, accolta dal Giudice in data 27 febbraio 2018.
Invero, l’ordinanza impugnata evidenzia che il procedimento penale nell’ambito del quale è stata applicata la misura cautelare oggetto di impugnazione con l’atto di appello ex art. 310 cod. proc. pen. è seguito alla richiesta di riapertura delle indagini preliminari, ex art. 414 cod. proc. pen., di un procedimento concluso con accoglimento della richiesta di archiviazione.
Su tale punto, questo Collegio osserva che, per il reato permanente a consumazione diacronica e protratta, la Corte di legittimità più volte ha evidenziato che l’intervenuta archiviazione, ove non corredata dall’autorizzata riapertura delle indagini ex art. 414 cod. proc. pen., non preclude l’apprezzabilità di comportamenti e fatti successivi che valgano a dimostrare la consumazione del reato e dei suoi segmenti temporali successivi all’archiviazione (Sez. 3, 28/9/2004 n. 43952, COGNOME, Rv. 230334; Sez. 5, 18/1/2005 n. 17380, Sorce, Rv. 231780). Tale indirizzo reputa che, in ipotesi di reati permanenti, l’efficacia preclusiva dell’archiviazione, intesa come inutilizzabilità delle antecedenti acquisizioni conoscitive, impedisce soltanto che – in caso di mancata riapertura delle indagini – l’azione investigativa prosegua sulle medesime frazioni temporali della condotta illecita già considerate in precedenza e sfociate nell ‘ archiviazione, ma non interdice lo svolgimento di indagini in presenza di nuovi fatti o fenomeni indicativi di una condotta criminosa (permanente) del soggetto agente della stessa natura di quella archiviata.
Il reato permanente, infatti, è descritto come connotato da una struttura unitaria i cui momenti attuativi sono unificati da un perdurante proposito antigiuridico, atteso che detto reato, quale quello di associazione per delinquere, per definizione si protrae nel tempo a causa del persistere della volontaria condotta illecita dell’agente e del coevo protrarsi dell’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, donde la logica inferenza che la decretata archiviazione, per una parte cronologicamente definita dell’ipotizzata condotta associativa non vale ad impedire che la condotta successiva, espressa da nuove manifestazioni e notitiae criminis che ne offrano nuova dimostrazione, rinvenga significative tracce probatorie nella complessiva condotta dell’agente (Sez. 6, n. 6547 del 10/10/2011).
In ogni caso, nell’ipotesi di reato permanente l’archiviazione non preclude la possibilità di valutare i fatti successivi all’archiviazione medesima che valgano a dimostrare la consumazione del reato, anche con riferimento alle condotte
pregresse in caso di successiva riapertura delle indagini, la quale consente l’utilizzabilità degli atti di indagine compiuti nel procedimento per il quale era stata presentata la richiesta di archiviazione (Sez. 5, n. 43663 del 14/05/2015, COGNOME, Rv. 264923; Sez. 2, n. 14777 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. 270221 – 01).
1.1.1. La seconda censura devoluta è infondata.
Si sostiene che tutte le emergenze probatorie, valorizzate per l’ adozione del titolo custodiale emesso ex novo, sono inutilizzabili per superamento dei termini di svolgimento delle indagini ai sensi dell’art. 405, comma 2, 406 e 407 cod. proc. pen.
Invero, in riferimento all’iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen. del reato di associazione per delinquere e al superamento dei termini di svolgimento delle indagini preliminari, protratto di fatto fino alla cessazione della consumazione del reato, un più recente filone interpretativo della giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n. 13844 del 24/01/2018, COGNOME, non massimata) ha precisato che anche nel procedimento relativo a reati permanenti opera il sistema processuale delle decorrenze e delle proroghe, delle scadenze previste dagli artt. 405, comma 2, 406 e 407 cod. proc. pen., così che, comunque, non potrebbe mai superarsi il termine massimo biennale di cui all’art. 407, comma 2 cod. proc. pen.
È stato anche rilevato che la necessità che le indagini preliminari si svolgano entro i termini stabiliti dalla legge è ora ulteriormente evidenziata dalla nuova disciplina della “retrodatazione dell’iscrizione”, volta, appunto, ad evitare che l’ iscrizione ritardata del nominativo della persona indagata possa consentire lo svolgimento, di fatto, di indagini per un periodo più lungo di quello fissato dalla legge (art. 335quater cod. proc. pen., introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2022 -comunque non applicabile ratione temporis al presente procedimento – in tal senso, Sez. 6, n. 2472 del 14 dicembre 2023, dep 2024, non massimata; Sez. 6, n. 10687 del 18/01/2023, COGNOME; Sez. 2, n. 26029 del 26/05/2023, Tescione).
Il dettato dell’art. 407 cod. proc. pen., secondo tale recente filone interpretativo, non prevede eccezioni al principio della durata predeterminata delle indagini preliminari in relazione alla tipologia dei reati, ma soltanto un tempo più ampio per alcune fattispecie più complesse e/o di maggior allarme sociale (Sez. 6, n. 10687, dep. 18/01/2023, Freschi, n. 10687; Sez. 6, n.12080 del 15/12/2022).
Ciò posto, questo Collegio osserva che il provvedimento impugnato espone, con ragionamento immune da illogicità manifesta e completo, che la misura cautelare genetica fonda su esiti investigativi confluiti nel fascicolo n. 26058/2023 r.g.n.r. del Tribunale di Napoli e risponde, puntualmente, agli specifici rilievi difensivi relativi ai singoli procedimenti, i cui atti di indagine,
tardivamente assunti, sarebbero stati posti a base della vigente misura cautelare.
Si rileva, da parte del Tribunale (cfr. p. 6 e ss.), in ordine ai procedimenti n. 20146/2008, n. 66070/2012, n. 30342/2012, n. 46493/2013 (in cui Ferrara non è iscritto come indagato), n. 13885/2015, 560722/2016 (a carico di altri soggetti), n. 34840/2018, a fronte delle doglianze svolte con l ‘istanz a di revoca, la non decisività delle deduzioni, a fronte della sicura esistenza di atti di indagine acquisiti tempestivamente, nell’ ambito del periodo di durata delle indagini preliminari e della relativa proroga.
Con riferimento, in particolare, al procedimento n. 66070 del 2010 il Tribunale del riesame ha rigettato l ‘ eccezione di inutilizzabilità fondata sul fatto che in esso sarebbero confluiti atti di indagine, provenienti dal fascicolo n. 20146 del 2008, da cui il procedimento del 2010 era stato stralciato. Il Tribunale del riesame, infatti, richiama un’ attestazione di cancelleria nella quale si dà atto che tra il 2000 e il 2010, non risulta mai iscritto un procedimento a carico di Ferrara, per il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen. (cfr. p. 6).
Con riferimento al procedimento penale n. 30342 del 2012, il Tribunale evidenzia che, dopo l’iscrizione, intervenuta il 5 luglio 2012, avente ad oggetto il delitto associativo contestato dal 1998, con condotta perdurante e con l ‘ indicazione di specifici associati, tutti precisamente elencati (reato rispetto al quale si precisa da parte del Tribunale che non risulta precedente iscrizione in base al provvedimento acquisito agli atti) risulta avanzata richiesta di proroga delle indagini, concessa il 4 luglio 2013, con ulteriore proroga, autorizzata in data 14 gennaio 2014.
Sicché, gli atti di indagine, compiuti entro il luglio del 2014, a partire dal luglio 2012, secondo il ragionamento ineccepibile del Tribunale, non sono affetti da inutilizzabilità per superamento del termine di durata ex art. 407 cod. proc. pen.
Con riferimento al procedimento n. 46493/2013 (in cui Ferrara non è iscritto come indagato), ai procedimenti n. 13885/2015, n. 560722/2016 (a carico di altri soggetti), nonché a quello n. 34840/2018, a fronte delle singole doglianze svolte con la richiesta di revoca, il Tribunale, inoltre, segnala la non decisività delle deduzioni svolte con il gravame, tenuto conto, comunque, d ell’esistenza di atti di indagine acquisiti tempestivamente, nel periodo di durata delle indagini preliminari e della relativa proroga , senz’altro utilizzabili a carico di Ferrara.
In relazione al procedimento nell’ambito del quale è stata emessa l’ordinanza genetica n. 136 del 2023 (proc. n. 46493 del 2013, al quale è riunito il proc. n. 47132 del 2013), si osserva, poi, in questa sede, che non si puntualizza con il ricorso, l’eccepita inutilizzabilità a quale atto di indagine e a quali risultanze gravemente indizianti si riferisca, tenuto conto che la tesi
difensiva è diretta ad indicare come inutilizzabili, in sostanza, tutti gli atti istruttori utilizzati, per ragioni che, come si illustra in seguito, non possono essere condivise.
1.1.2. Quanto alle deduzioni formulate in relazione al procedimento n. 13885 del 2015 (per il quale NOME non risulta iscritto per il reato di cui all ‘ art. 416bis cod. pen.), a quelli n. 560722/2016 (iscritto a carico di altri soggetti –NOME COGNOME ed altri) e n. 34840/2018 (con prima iscrizione per il reato di estorsione), si osserva che le considerazioni difensive sono infondate.
Queste partono da una premessa, quella dell ‘ identità del reato oggetto delle varie indagini a fronte delle ripetute iscrizioni a carico di Ferrara, punto sul quale, invero, il ricorso non delinea i contorni delle contestazioni provvisorie di ciascuno dei procedimenti citati onde poter apprezzare la dedotta identità dei fatti.
L’eccezione formulata anche con il ricorso, inoltre, si rivela infondata, posto che è onnicomprensiva e si riferisce anche agli esiti di indagini che, prima il Giudice e, poi, il Tribunale individuano come senz’altro svoltesi nei termini e, dunque, tempestive, o svolte dopo l ‘autorizzata riapertura a seguito dell’archiviazione.
Inoltre, si deve osservare che il ricorrente non si confronta con il dato, segnalato prima dal Giudice (cfr. p. 2 dell ‘ ordinanza del 8 marzo 2024) e, poi, dal Tribunale, dell’esistenza di ulteriori procedimenti, iscritti a carico di terze persone, che hanno condotto alla legittima acquisizione di elementi anche a carico di Ferrara.
Rispetto a queste risultanze, invero, la censura della difesa è sviluppata, in definitiva, nel senso che tutte le fonti di prova a carico, in qualsiasi procedimento siano state raccolte siano affette da inutilizzabilità per superamento del termine delle indagini.
Tanto, tuttavia, senza specificare puntualmente, con il ricorso, per ciascun procedimento – promosso nei confronti di Ferrara o di terzi -quali di queste siano state acquisite, addebitate al ricorrente più volte o, comunque, non utilizzabili perché frutto di indagini svolte fuori termine, onde poter procedere alla cd. prova di resistenza (nel senso che gli elementi di prova eventualmente acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti e ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento, tra le altre, Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, Rv. 262011).
Su tale punto, questo Collegio rimarca che il ricorrente non illustra, specificamente, i margini di sovrapposizione del reato associativo che si contesta con il titolo cautelare da ultimo adottato, rispetto a quello per il quale le indagini, in origine (secondo il ricorrente quanto meno dal 2010, con il procedimento confluito, a seguito di stralcio, in quello del 2012 o, comunque,
ancor prima, a partire dal 2005), erano state avviate, con riferimento ai compartecipi, alla durata della condotta e al tempus commissi delicti , all’ambito territoriale di operatività del sodalizio, al ruolo rivestito dal ricorrente, onde verificare la dedotta identità del titolo per il quale vi è stata l ‘originaria iscrizione di NOME COGNOME nel registro degli indagati.
Nel caso di specie, infatti, la contestazione del reato associativo per il quale è stata emessa l’ordinanza n. 136 del 2023 è relativa a condotta in atto e segnatamente dal 14 aprile 2000, data del deposito della sentenza n. 4600/00 del Tribunale di Napoli con la quale COGNOME è stato assolto dal reato di cui all’art. 416bis cod. pen., att ribuendo all’indagato la funzione di promotore, assieme a NOME COGNOME, del clan denominato COGNOME senza la contestazione di partecipazione a reati fine.
Il ricorrente ha dedotto, con l’istanza di revoca presentata al Giudice impugnata ex art. 310 cod. proc. pen., che il procedimento nel quale vi è stata richiesta di misura cautelare è il n. 20058 del 2023, derivante da stralcio da quello n. 46943 del 2013 e che l’ordinanza applicativa è stata emessa, dunque, in relazione ad esiti di indagine svolte in un procedimento (recante il n. 46943/2013) otto anni dopo la prima iscrizione in quel procedimento e, quindi, sicuramente, oltre il termine di durata delle indagini preliminari.
Tuttavia, su tale punto, la deduzione non si confronta con il riscontrato provvedimento di riapertura delle indagini preliminari e con la circostanza che, nella specie, si procede, in sede cautelare, per il delitto associativo contestato in via provvisoria , per avere l’indagato capeggiato , unitamente a NOME COGNOME classe ’59, un’associazione di stampo mafioso in Villaricca, con condotta in atto (a partire dal 14 aprile 2000, data del deposito della sentenza n. 4600/00 del Tribunale di Napoli) quindi con diversa indicazione del dies ad quem della condotta permanente provvisoriamente ascritta all’indagato .
Peraltro, quanto alla contestazione del reato associativo per il quale risulta operato stralcio dal procedimento n. 66070/2010, in data 5 luglio 2012, si rileva che questa riguarda il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen. commesso in Villaricca, provincia di Napoli ed altre parti del territorio nazionale, accertato dal 27 maggio 1998, con condotta perdurante, senza specificazione del ruolo rivestito da NOME COGNOME e della qualità di capo e promotore (cfr. p. 22 del ricorso, in nota, dove viene riportata la contestazione per la quale è stato operato lo stralcio).
Con riferimento alla dedotta incompletezza degli atti, per la trasmissione da parte dell ‘Ufficio del Pubblico ministero , di una mera attestazione di un aggiornamento di iscrizione e non di una prima iscrizione, asseritamente mai depositata ancorché richiesta, si osserva che la deduzione non è fondata.
La denunciata mancanza di documentazione della prima iscrizione, quanto al dies a quo della condotta associativa, che, nella sostanza, l ‘ufficio del Pubblico ministero, in data 19 gennaio 2024, ha attestato non essere intervenuta a carico dell’indagato per reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen. prima del 24 ottobre 2011, non è accompagnata, nel ricorso, dalla specifica indicazione del fatto per il quale si sarebbe proceduto precedentemente, rispetto alla contestazione provvisoria per la quale, all’attualità, si procede nei confronti di Ferrara.
Si osserva, in ogni caso, sotto tale aspetto, che il ricorso è perplesso posto che, in più punti d elle deduzioni svolte, si sostiene che l’inizio dell e indagini per la stessa condotta associativa si deve collocare nel l’anno 2008, mentre in altra parte del ricorso si reputa che le indagini a carico di Ferrara sarebbero state avviate, quanto meno, dal 2005 (cfr. p. 22 del ricorso dove si richiamano le note difensive del 31 gennaio 2024, p. 62) molto tempo prima della richiesta di proroga del termine delle indagini avanzata nel gennaio 2014, nell’ambito del procedimento n. 30342 del 2012.
In ogni caso, deve notarsi che il Tribunale, su tale punto, ha escluso che vi siano altri provvedimenti di prima iscrizione non acquisiti in atti. Anzi, la richiesta istruttoria, formulata dall’appellante , quanto alla produzione del provvedimento di prima iscrizione del Pubblico ministero, è stata reputata non specifica con riferimento alla dedotta esistenza di iscrizioni a carico dell’indagato per il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen. non rinvenute al SICP. Tanto, alla stregua della certificata inesistenza di altre iscrizioni, a carico d ell’indagato , per tale titolo di reato, diverse da quelle indicate dall ‘Ufficio del Pubblico ministero nel documento citato (del 19 gennaio 2024). Peraltro, lo stesso Giudice nell ‘ ordinanza reiettiva ha esposto che, con memoria depositata dal Pubblico ministero, era stato chiarito che si è trattato di errore materiale contenuto nel provvedimento del 24 ottobre 2011 tale per cui quello che è indicato come aggiornamento di iscrizione è, in realtà, un provvedimento di prima iscrizione (cfr. p. 1 dell ‘ ordinanza del Giudice del 8 marzo 2024).
Questa Corte di legittimità ha chiara la differenza, come ampiamente illustrata dal ricorrente anche nell’articolata memoria di replica alle conclusioni del Sostituto Procuratore generale, tra provvedimento di prima iscrizione del Pubblico ministero e l ‘ attestazione di cancelleria resa nella specie, per i fascicoli n. 20146/2008, 66070/2010, 47132/2013, 13885/2015.
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il termine delle indagini, ai fini della previsione di cui all’art. 405 cod. proc. pen., comincia a decorrere dal momento dell ‘ effettiva iscrizione nell’apposito registro ex art. 335 cod. proc. pen. delle generalità della persona alla quale il reato sia stato attribuito e non da quello in cui il pubblico ministero abbia disposto l’iscrizione medesima (Sez. 6, n. n. 10078 del 01/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280718 -01;
Sez. 2, n. 12423 del 23/01/2020, P., Rv. 279337 -01; Sez. 6, n. 25385 del 19/03/2012, G., Rv. 253100 -01).
Dunque, sotto tale profilo, il ricorso non chiarisce nella presente sede, a fronte delle specificazioni provenienti dai documenti riportati nelle ordinanze di merito cautelare, da quale atto o documento si ricavi, con certezza, che, specificamente a carico di NOME COGNOME, classe ’57, detto o’muccuso, sia stato iscritto un procedimento (quanto meno nel 2005 o nel 2008, come dedotto) , con riferimento allo stesso reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen., come connotato quanto al dies ad quem, al ruolo attribuito al ricorrente, ai concorrenti nel reato, alla zona di operatività del sodalizio, corrispondente a quello per il quale risulta essere intervenuta l ‘ iscrizione del 24 ottobre 2011 o a quello contestato, in via provvisoria, nel provvedimento cautelare di cui si discute nella presente sede.
1.1.3. Del pari infondate sono le ulteriori deduzioni secondo le quali, dal 2008, sicuramente risulta che si è proceduto a carico di Ferrara, per il medesimo reato, nonostante non sia stato possibile seguire l’ iter delle iscrizioni per il reato associativo, visto l ‘ asserito mancato deposito del provvedimento di prima iscrizione e di ogni altro atto idoneo a seguire il susseguirsi degli stralci e delle riunioni dei procedimenti iscritti nei confronti del ricorrente.
La difesa deduce che COGNOME è iscritto, quale indagato per reato associativo, nel procedimento n. 66070/2010 e che, comunque, nel 2008 nel procedimento n. 20146 risulta essere stato interrogato il collaboratore di giustizia COGNOME in ordine a fatti associativi riferibili al medesimo Ferrara. Peraltro, secondo il ricorrente, risultano altri interrogatori di collaboratori in diversi procedimenti, iscritti negli anni 2008 e 2009, relativi alla persona di Ferrara.
Di qui la specifica eccezione di inutilizzabilità delle informative e degli interrogatori dei collaboratori di giustizia, con particolare riferimento a COGNOME e COGNOME, nonché ai decreti di intercettazione e alle relative proroghe.
Su tale punto, questo Collegio osserva che la censura non è fondata.
Invero, va condiviso l ‘indirizzo di legittimità richiamato anche dal Tribunale del riesame, secondo il quale, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero – salvi i casi di mutamento della qualificazione giuridica del fatto o dell’accertamento di circostanze aggravanti – deve procedere a nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, sia quando acquisisce elementi in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato nei confronti della stessa persona, sia quando raccolga elementi in relazione al medesimo o ad un nuovo reato a carico di persone diverse dall’originario indagato; ne consegue che il termine per le indagini preliminari decorre in modo autonomo per ciascun indagato dal momento dell’iscrizione del suo nominativo nel registro delle notizie di reato e, per la persona originariamente sottoposta ad indagini, da ciascuna successiva
iscrizione (Sez. 2, n. 22016 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 276965 -01 relativa a un caso in cui, in applicazione di tale principio, la Corte di legittimità ha ritenuto legittime più iscrizioni successive nei confronti della stessa persona per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa a seguito dell’acquisizione di nuovi elementi in forza dei contributi dichiarativi di ulteriori collaboratori di giustizia, in relazione a diversi periodi di tempo).
La deduzione secondo cui l’attività di indagine sarebbe proseguita con procedimenti solo formalmente intestati ad altri soggetti, anche quando era intervenuta l ‘ archiviazione per Ferrara risulta, invero, illustrata senza la specifica indicazione di elementi di fatto in base ai quali giungere a tale conclusione e, dunque, è generica.
1.1.4. L ‘ affermazione secondo la quale sussistono più indagini nei confronti di Ferrara in due procedimenti iscritti nell’anno 2013 , per lo stesso titolo di reato, è inammissibile per genericità. Si tratta di deduzione non supportata dalla specifica indicazione delle ragioni, in fatto e in diritto, sulla base delle quali si giunge a tale epilogo.
1.1.5. Alla stregua di quanto sin qui esposto, non può condividersi la conclusione cui giunge il ricorrente secondo la quale la riapertura delle indagini, intervenuta nel febbraio 2018, quanto al proc. n. 30342 del 2012 e che ha condotto all’iscrizione n. 6087 del 2 marzo 2018, si fonderebbe su inda gini tutte espletate fuori termine, trattandosi sempre dello stesso fatto reato.
Si è detto, fin qui, che, nella specie, si procede in via provvisoria per il delitto associativo di cui all’art. 416 -bis cod. pen. , per avere l’indagato capeggiato unitamente a NOME COGNOME, classe ’59, un’associazione di stampo mafioso, operante in Villaricca, con condotta in atto (dal 14 aprile 2000, data del deposito della sentenza n. 4600/00 del Tribunale di Napoli), quindi con dies ad quem protrattosi, secondo il Tribunale del riesame (cfr. p. 7 dell’ordinanza impugnata) a tutto il 2023, ambito temporale quanto al dies ad quem sicuramente non compreso nella originaria imputazione (risalente, secondo la difesa, al proc. n. 20146/2008).
1.2. Con riferimento alla mancata acquisizione degli atti richiesti (prima iscrizione, stralci e proroghe) da parte del Tribunale del riesame (cfr. p. 10 e ss. dell’ordinanza ) si osserva che la giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 34130 del 07/07/2023, B., Rv. 285174 -01) ha affermato che, nel procedimento di appello ex art. 310 cod. proc. pen. proposto dall’indagato avverso l’ordinanza reiettiva di istanza di revoca o sostituzione di una misura interdittiva, il Tribunale del riesame è vincolato dall’effetto devolutivo dell’impugnazione ed è privo di poteri istruttori, oltre che sottoposto a limiti temporali per l’emissione del provvedimento di controllo, onde la prospettazione di una situazione di fatto nuova, ritenuta più favorevole all’appellante, deve
essere oggetto di una nuova e ulteriormente documentata richiesta al giudice procedente e, in caso di diniego, di impugnazione mediante appello cautelare.
Questa Corte, nella sua più autorevole composizione (Sez. U, n. 15403 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286155) ha di recente affermato che, nel giudizio di appello cautelare, celebrato nelle forme e con l’osservanza dei termini previsti dall’art. 127 cod. proc. pen., possono essere prodotti dalle parti elementi probatori “nuovi” nel rispetto del contraddittorio e del principio di devoluzione, contrassegnato dalla contestazione, dalla richiesta originaria e dai motivi contenuti nell’atto di appello.
Tuttavia, nel caso al vaglio, ciò che è stato richiesto al Tribunale è l ‘ attivazione di poteri istruttori propri dell ‘ organo procedente, adottando un provvedimento di acquisizione, così integrando la produzione documentale che la difesa assume di non essere riuscita ad ottenere, nonostante plurime richieste al l’Ufficio del Pubblico ministero.
Orbene, nella motivazione della sentenza di questa Corte a Sezioni Unite citata, si ribadisce che è escluso che il giudice dell’appello cautelare abbia poteri istruttori propri, in senso stretto, cioè funzionali allo svolgimento di attività finalizzate alla formazione e acquisizione, da parte dello stesso giudice, di elementi nuovi, da utilizzare per il giudizio. Tanto che non si è ritenuta applicabile all’incidente cautelare la disposizione di cui all’art. 603 cod. proc. pen. che assegna al giudice della cognizione poteri istruttori di questo tipo.
Quello che, invece, può fare il giudice dell’appello cautelare, entro i limiti precisati dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, è acquisire la documentazione fornita dalle parti, relativa agli elementi informativi precostituiti che intendono sottoporre alla sua valutazione , anche se non allegati all’atto di impugnazione ex art. 310 cod. proc. pen.
Situazione diversa da quella al vaglio in cui non è la parte che ha chiesto di produrre, al Giudice di appello, documenti non allegati all’atto di gravame, ma si è sollecitata l’attivazione di poteri istruttori del Tribunale del riesame diretti all’acquisizione di provvedimenti di prima iscrizione, stralcio e proroga emessi dal Pubblico ministero nei confronti di Ferrara.
Del resto, la difesa non suffraga il ricorso con documentazione autosufficiente rispetto alla dedotta impossibilità, a fronte di plurime richieste di acquisizione, di ottenere la documentazione indicata dall’ufficio di Procura competente, limitandosi, anche attraverso l’articolata memoria difensiva di replica da ultimo depositata , a dedurre che la certificazione prodotta dall’Ufficio del Pubblico ministero, del 19 gennaio 2024, ha dato conto del fatto che l’originaria iscrizione nei confronti dell’indagato , per reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen., risale al 24 ottobre 2011 ed è relativa al procedimento n. 52435/09.
La deduzione, poi, evidenzia che la stessa iscrizione, indicata come prima iscrizione nell’attestazione in questione, effettuata nel procedimento n. 52435/09 (successivamente stralciato al procedimento penale n. 6784/12 e contestualmente riunito al n. 66070/10, da quest’ultimo stralciato nel procedimento n. 30342/12, nell’ambito del quale vi è aggiornamento di iscrizione datata 5 luglio 2012), sarebbe, in sostanza, un mero aggiornamento di iscrizione, come risulta dallo stesso documento allegato.
Tuttavia, la conclusione cui giunge la difesa, circa la necessità di acquisire, da parte dei giudici del merito cautelare e, in particolare, del Tribunale del riesame, tutti i provvedimenti di prima iscrizione, aggiornamento, stralcio e richieste di proroga del termine delle indagini e “schermate del S.IRAGIONE_SOCIALE‘ (cfr. memoria difensiva depositata in sede di replica alle conclusioni del Sostituto Procuratore generale) per tutti i procedimenti indicati nelle varie istanze depositate ed allegate anche al ricorso per cassazione in ossequio al principio di autosufficienza, appare, in definitiva, aspecifica perché non indica, in particolare, a quali procedimenti la richiesta si riferisce, né i singoli provvedimenti di stralcio o proroga per i quali detta acquisizione sarebbe stata necessaria, con specifico riferimento alla contestazione del reato associativo come connotato da ultimo, a fronte delle recenti acquisizioni probatorie a carico di Ferrara.
Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ex art. 616 cod. proc. pen. Non seguendo al presente provvedimento la liberazione dell’indagato, vanno disposti a cura della Cancelleria, gli adempimenti di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 6 dicembre 2024