Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 138 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 138 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato il 22/08/1985
NOME nato il 13/09/1984
NOME COGNOME nato il 04/08/1988
NOME COGNOME nato il 26/04/1993
avverso la sentenza del 18/10/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di SASSARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 22.11.2023 la Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME di COGNOME, NOME COGNOME di COGNOME e NOME COGNOME avverso la pronuncia emessa in primo grado, in sede di abbreviato, nei confronti dei predetti – che li aveva dichiarati responsabili dei fatti a loro ascritti ai capi a) e b) della rub diversamente qualificato il fatto dì cui al capo a) ai sensi degli articoli 582-58 commi 1 e 2, cod. pen.; e, in parziale riforma della medesima pronuncia, impugnata anche da NOME COGNOME che lo aveva dichiarato colpevole del reato di rissa aggravata (capo b) e di porto ingiustificato di strumenti atti ad offendere (capo c), ha dichiarato non doversi procedere in relazione a tale reato perché estinto per prescrizione e rideterminato di conseguenza la pena in anni uno e mesi tre di reclusione (sostituita con quella del lavoro di pubblica utilità).
2.Avverso la suindicata sentenza, ricorrono per cassazione sia gli imputati NOME COGNOME di Tahir, NOME COGNOME di Tahir e NOME COGNOME sia l’imputato NOME COGNOME tramite i rispettivi difensori di fiducia.
I ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME di Tahir, NOME COGNOME di NOME COGNOME, con atti distinti, deducono, tutti, il medesimo unico motivo di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp, att. cod. proc. pen., con c contestano la ritenuta tardività degli appelli.
In particolare, i ricorsi denunciano, con uguali argomenti, i vizi di cui alle lett b), c), e) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen.
Si sostiene che alla data della proposizione delle impugnazioni era ancora vigente, e spiegava i suoi effetti, l’art. 442, comma 3, cod. proc. pen., abrogato dal d.lgs. n. 150 del 2022, e che il contrasto giurisprudenziale sulla implicit abrogazione della disciplina relativa al rito abbreviato non aveva trovato né una soluzione interpretativa unitaria (giunta solo con la sentenza delle Sezioni Unite depositata ìl 13/1/2020), né una soluzione legislativa, intervenuta solo nel 2022.
Dunque, si sostiene, le impugnazioni anteriori avevano come unico riferimento giuridico indiscusso la non abrogazione dell’art. 442, comma 3, cod. proc. pen. e, d’altra parte, lo stesso Tribunale di primo grado aveva operato la notifica dell’estratto della sentenza anche ai finì dell’impugnazione.
Ancora si sostiene che la soccombenza del legittimo affidamento del proponente appello non potrebbe essere ancorata al requisito della prevedibilità,
imponendo al singolo di risolvere un contrasto che ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite, la cui decisione non afferma l’irrilevanza della notifica dell’estrat della sentenza.
Si lamenta, ancora, l’ingiustificata disparità di trattamento rispetto all impugnazioni trattate prima della pronuncia delle Sezioni Unite e in tempi più rapidi, evidenziando che l’affidamento incolpevole sarebbe ancor più ravvisabile in forza della notifica in data 5/2/2019 dell’avviso del deposito, avvenuta il 1° febbraio 2019, del provvedimento di correzione del dispositivo della sentenza, senza che si desse atto del deposito della sentenza stessa.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME deduce tre motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod, proc. pen.
4.1.Col primo motivo contesta la declaratoria della Corte d’appello di inammissibilità dei motivi aggiunti per tardività, sul presupposto che la prima udienza era stata rinviata d’ufficio senza espletare alcuna attività e che la ratto della norma, individuata nell’esigenza di consentire al collegio di prendere compiutamente conoscenza di tutti i motivi di appello, era stata preservata.
4.2.Col secondo motivo deduce la violazione della legge penale per la mancata applicazione della causa di giustificazione della legittima difesa in ordine al reato d rissa aggravata. La Corte territoriale, così come, già, il giudice di primo grado, riteneva pacificamente che la vicenda che occupa fosse da articolare in due distinte fasi. La prima, che vide il gruppo di cui facevano parte COGNOME COGNOME e COGNOME arrivare presso il locale ‘Caffè Max’ in Olbia a bordo dell’autovettura Ford Focus ed effettuare un tentativo di intimidazione nei confronti del gruppo dei fratelli COGNOME che si trovava all’interno del locale, ed una seconda fase che vide, invece, i fratell COGNOME porre in essere un’aggressione – questa volta riuscita – nei confronti dei primi. Pur avendo, i giudici di merito, distinto con chiarezza le due fasi, hanno, tuttavia, tratto delle conclusioni contraddittorie: hanno, da un lato, qualificato due fasi come distinte con riferimento alla posizione dei fratelli COGNOME ai quali stata quindi riconosciuta la legittima difesa o l’eccesso colposo, dall’altro, giudicat sussistere un’unica sola vicenda, in contraddittorietà logico giuridica, nei confronti dì Zefi ed il suo gruppo; laddove la dicotomia delle fasi consente dì poter applicare la causa di giustificazione della legittima difesa per Zefi.
Mentre i fratelli COGNOME potevano infatti esercitare il commodus discessus in virtù della distinzione in due fasi autonome della vicenda – da qui il mancato riconoscimento nei loro confronti della legittima difesa – lo stesso non può dirsi per COGNOME ed il suo gruppo dal momento che i fratelli Gioca in luogo dì evitare lo scontro, come avrebbero potuto rimanendo al riparo nel locale, decidevano di porre in
essere una condotta del tutto autonoma rispetto a quella iniziale posta in essere dal ricorrente, che costringeva COGNOME ad intervenire, recuperando dall’autovettura gli arnesi di lavoro poco prima ivi riposti, per salvare l’amico esposto a pericolo di morte in balia della furia dei COGNOME,.
4.3.Col terzo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione anche con riguardo alla mancata motivazione in relazione al fotogramma n. 12, che prova l’autonomia giuridica e fattuale dei due momenti della vicenda. Il tentativo di aggressione e/o intimidazione del gruppo dello Zefi si era concluso allorquando il gruppo desisteva dal proprio intento e tornava alla propria automobile e si intratteneva a parlare, dopo avere depos nella vettura gli strumenti di lavoro, con altre persone sopraggiunte in loco. Ciò trova conferma proprio nel fotogramma n. 12 che dimostra in maniera chiara il fatto che ad un certo punto il gruppo dello Zefi si trovava disarmato. E questo semplicemente perché, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, il gruppo dello Zefi aveva riposto gli arnesi da lavoro all’interno dell’automobile e non era minimamente preparato all’aggressione dei COGNOME, arnesi che venivano poi nuovamente prelevati solo per fronteggiare l’aggressione violenta dei predetti.
I ricorsi sono stati trattati – ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d. I. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 11, comma 7, d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazioni dalla I. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 – senza l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi;
il difensore dell’imputato COGNOME ha insistito nell’accoglimento del ricorso allegando memoria scritta, nonché nota di replica agli argomenti esposti dal P.G.;
il difensore degli altri imputati ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
ricorsi sono tutti inammissibili.
1.1 ricorsi proposti nell’interesse di COGNOMElir dì COGNOME dì COGNOME NOME COGNOME, sono inammissibili per essere manifestamente infondate le ragioni con cui contestano la ritenuta tardività degli appelli.
Occorre precisare, in via preliminare, che trattandosi di una censura di carattere processuale, questa Corte può e deve, a prescindere dalla motivazione offerta nel provvedimento impugnato e, anche accedendo agli atti, valutare la correttezza in diritto della decisione adottata, quand’anche non correttamente giustificata o giustificata solo a posteriori (Sez. 5, n. 19970 del 15/03/2019, COGNOME, Rv. 275636; Sez. 5, n. 17979 del 05/03/2013, COGNOME e altri, Rv. 255515; in termini, Sez. 5, n. 15124 del 19/03/2002, COGNOME ed altri, Rv. 221322). Per addivenire a questo risultato, alla Corte di cassazione è riconosciuto il ruolo di Giudice «anche del fatto», che, per risolvere la questione in rito, può e deve accedere all’esame dei relativi atti processuali, viceversa precluso quando si tratti di vizio di motivazione e art. 606, comma 1, lett, e) cod. proc. pen. (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F e altri, Rv. 273525; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304).
Ebbene, dall’esame degli atti emerge che correttamente la Corte di merito ha dichiarato inammissibili gli appelli.
Al riguardo la Corte territoriale ha rilevato che la sentenza definitoria de giudizio di primo grado, celebrato nelle forme del rito abbreviato e in assenza degli imputati, è stata pronunciata il 6/11/2018 e depositata il 1° febbraio 2019, nel rispetto del termine di 90 giorni assegnato.
Ha ritenuto, quindi, irrilevante, la Corte territoriale, l’intervenuta notifica imputati in data 19/03/2019 dell’avviso di deposito della sentenza ex art. 442, comma 3, cod. proc. pen., richiamando la pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza n. 698 del 24/10/2019, deo. 2020, Sinito, Rv. 277470-01), secondo cui la sentenza emessa nel giudizio abbreviato non deve essere notificata per estratto all’imputato assente, non trovando più applicazione, a seguito della riforma della disciplina sulla contumacia, le disposizioni di cui agli artt. 442, comma 3, cod. proc. pen. e 134 disp. att. cod. proc. pen., le quali erano state già tacitamente abrogate dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, che, estendendo al giudizio abbreviato l’istituto della contumacia, aveva determinato la sostituzione di quelle disposizioni con la previsione dell’art. 548, comma 3, cod. proc. pen., poi abrogata dalla disciplina del processo “in absentia”, introdotta con legge 28 aprile 2014, n. 67.
Individuate, correttamente, la scadenza del termine di deposito della sentenza nel giorno 4/02/2019 e correlativamente quella del termine (di 45 giorni) per impugnare nella data del 21/03/2019, si sono, dunque, giustamente ritenuti tardivi gli appelli proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, rispettivamente, 28.3.2019, il primo, e il 2.4.2019 gli altri due.
La Corte di merito è giunta a tale conclusione osservando come non potesse assumere rilievo il fatto che la decisione delle Sezioni Unite era temporalmente
successiva alla proposizione dell’atto d’impugnazione, in quanto in quel periodo sussisteva sul tema un contrasto giurisprudenziale, che tra l’altro si stava progressivamente risolvendo nel senso infine sugellato dal massimo consesso.
D’altra parte, anche tale specifica questione, come ha giustamente già evidenziato la sentenza impugnata, è stata affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, che, proprio in relazione ad una fattispecie analoga a quella in esame, ribadendo che “all’imputato assente non spetta alcuna notifica della sentenza emessa nel giudizio abbreviato e tale adempimento, se effettuato, non produce alcun effetto sulla decorrenza del termine per impugnare” (Sez. 5, n. 4455 del 14/11/2019, dep. 03/02/2020, Rv. 278552 – 01), ha precisato che l’esistenza del contrasto giurisprudenziale sull’obbligo di notifica della sentenza all’imputato non comparso esclude l’imprevedibilità della decisione giudiziale che adotti una delle soluzioni in contrasto e, correlativamente, l’operatività del divieto di retroattiv della regola giurisprudenziale, la cosiddetta ‘prospective overruling’.
Quello dell’o verruling è un tema, in verità, affrontato da questa Corte in svariate altre occasioni, tant’è che si può affermare che costituisce oramai orientamento interpretativo consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che il principio secondo cui il non prevedibile mutamento della precedente e consolidata interpretazione di una norma processuale penale da parte della Corte di cassazione (c.d. “overruling”) non si applica in pregiudizio della parte che abbia incolpevolmente confidato in un precedente indirizzo ermeneutico, non può essere invocato nel caso in cui sussista un contrasto giurisprudenziale (Sez. 6, n. 23060 del 19/04/2023, Rv. 285640 – 01; Sez. 5, n. 12747 del 03/03/2020, Rv. 278864 – 01; Sez. 5, n. 13178 del 12/12/2018, dep. 26/03/2019, Rv. 275623 01; Sez. 5, n. 41846 del 17/05/2018, Rv. 275105 – 01 che ha escluso l’affidamento incolpevole anche nel caso in cui si sia aderito all’orientamento minoritario)
Sez. 6, n. 10659 del 20/02/2020, Rv. 278750 – 01, pronunciandosi anch’essa in relazione a fattispecie relativa al termine di impugnazione per l’imputato assente nel giudizio abbreviato, ha affermato che il principio enunciato dalle S.U. “Siníta” trova applicazione anche relativamente alle impugnazioni proposte in precedenza, ribadendo che l’irretroattività del mutamento giurisprudenziale sfavorevole presuppone un imprevedibile ribaltamento dell’orientamento consolidato, che, invece, è da escludere nel caso in cui sussista un contrasto giurisprudenziale risolto dalle Sezioni unite con il recepimento di uno dei contrapposti orientamenti, anche qualora sia riconosciuto come legittimo quello più restrittivo per le facoltà e poteri processuali della parte.
Da ultimo le Sezioni Unite di questa Corte – Sez. U, n. 16153 del 18/01/2024, Clemente, Rv. 286241 – 02 – hanno affermato il medesimo principio anche con
riferimento alla illiceità del fatto di reato, asserendo che l’incertezza derivante d contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma non abilita, da sola, ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale, atteso che il dubbio circa la liceità o meno di una condotta, ontologicamente inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità della medesima, deve indurre l’agente ad un atteggiamento di cautela, fino all’astensione dall’azione.
Né così opinando si impone alla parte di risolvere un contrasto che ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite, ma piuttosto si esclude una condotta incolpevole nel caso di orientamenti contrastanti, che, in caso di questione di tipo processuale, devono indurre all’opzione più prudente nell’ottica difensiva, e ad astenersi dall’azione, nel caso in cui venga in rilievo questione di diritto penale sostanziale.
Neppure muta i termini della questione – come opportunamente sottolineato dal P.G. nella requisitoria scritta – il dato della effettiva notifica di avviso di dep in data 19/3/2023, trattandosi di atto di cancelleria (peraltro espletato con notevolissimo ritardo rispetto al deposito della sentenza) dal quale non poteva insorgere alcun affidamento rispetto ad una valutazione di competenza del giudice superiore, così come a nulla rileva la precedente notifica dell’avviso di deposito della correzione del dispositivo della sentenza, a quella data già depositata, che anzi avrebbe dovuto indurre ad una verifica circa il deposito della motivazione.
In altri termini, non potrebbe esservi un’apertura nel senso dell’affidamento incolpevole in considerazione del fatto che nel caso in esame l’avviso di deposito sia comunque intervenuto, dal momento che esso risulta probabilmente, cautelativamente, giustificato proprio in virtù del contrasto giurisprudenziale all’epoca esistente e non può ritenersi, in presenza, appunto, di tale contrasto, per tutto quanto sopra osservato, un fattore da considerare ai fini della diversa decorrenza del termine per impugnare.
Il diverso computo dei termini di impugnazione eventualmente operato ìn altri procedimenti risulta chiaramente irrilevante rispetto al tema che occupa.
Sicché deve concludersi che correttamente la Corte di appello abbia dichiarato inammissibili gli appelli dei suindicati ricorrenti, non essendovi spazio nel caso dì specie per l’incolpevole affidamento sulla necessità dell’avviso di deposito da cui far decorrere il termine per impugnare, che era quindi ancorato alla scadenza del termine di 90 giorni per il deposito della motivazione,
Il ricorso di NOME COGNOME è anch’esso
2.1. Quanto al primo motivo si osserva che dalla sentenza si evince che effettivamente vi fu il rinvio evocato dalla difesa, effettuato in udienza p concomitanti impegni del collegio. Tale rinvio, tuttavia, secondo la giurisprudenza dì
questa Corte (Sez. 2, n. 47108 del 04/11/2021, Rv. 282323 – 01; Sez. 5, n. 29604 del 17/06/2014, Rv. 263426 – 01; Sez. 6, n. 25677 del 16/03/2016, Rv. 266965 01) è irrilevante ai fini che occupano, dal momento che il termine per la presentazione dei motivi nuovi deve essere calcolato avendo riguardo alla prima udienza in cui l’imputato viene ritualmente citato, a nulla rilevando che detta udienza sia rinviata, anche per legittime esigenze di difesa.
La dizione dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui fino a quindici giorni prima dell’udienza possono essere presentati motivi nuovi, non consente come giustamente osservato dal P.G. – altra interpretazione, diversamente aprendosi la strada a una estensione potenzialmente senza limiti dell’ambito di cognizione del giudice dell’impugnazione.
Il motivo è dunque inammissibile per manifesta infondatezza.
2.2. Il secondo ed il terzo motivo – che denunciano rispettivamente violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata applicazione della causa di giustificazione della legittima difesa, in particolare per avere agito COGNOME per salva l’amico COGNOME (corrissante, secondo la ricostruzione della rubrica e dei giudici di merito) da un grave e imminente pericolo mortale – sono entrambi inammissibili. Essi, attraverso i vizi denunciati impostati sostanzialmente in fatto, facendo peraltro leva su un singolo fotogramma (neppure allegato), mirano piuttosto ad accreditare una ricostruzione alternativa delle emergenze probatorie esaminate dalla Corte d’appello e poste a base della decisione con motivazione congrua e non manifestamente illogica, con la quale, in definitiva, il ricorso, sia col secondo che co terzo motivo, ha mancato di confrontarsi adeguatamente.
La Corte d’appello ha, in particolare, rilevato come, sebbene la vicenda si sia articolata in due fasi, si presenti come unitaria, e, soprattutto, sia costantemente caratterizzata dal reciproco intento aggressivo dei due gruppi contrapposti.
Osserva la Corte di merito che la partecipazione alla rissa di COGNOME, armato di livella e scalpello, fu immediata e non circoscritta ad un momento successivo a esclusiva difesa di COGNOME, anch’egli attivamente partecipe alla rissa, con il ricorrente, prima di essere atterrato. E a corroborare tale ricostruzione, indica non solo la circostanza del possesso degli arnesi atti all’offesa da parte di COGNOME, ma anche il fatto che questi, ed i suoi amici, una volta respinti dal gruppo dei Gioca che stava nel bar, in luogo di allontanarsi, permanevano nei pressi della loro autovettura, di fronte al locale, assumendo nei confronti dei Gioca un atteggiamento provocatorio e di sfida. Sfida che in effetti veniva accettata dai fratelli NOME dal momento che costoro decidevano di uscire dal locale e di scagliarsi contro i rivali, munendosi, COGNOME, di due bottiglie con cui colpiva ripetutamente i capo di COGNOME, in aiuto del quale sopraggiungeva il nipote NOME COGNOME. Proprio in
questo frangente, afferma la sentenza impugnata, le immagini di videosorveglianza inquadrano anche l’intervento di COGNOME che si avventa sugli antagonisti sempre armato di livella e scalpello – che non risulta avesse mai riposto nell’auto – e quell di COGNOME.
Si rileva quindi – conclude la sentenza impugnata – che la partecipazione di COGNOME alla zuffa mediante scambio reciproco di colpi fu immediata e contestuale a quella dell’Hoxha e non – come invece sostiene la difesa anche nella presente sede rinviata e circoscritta ad un momento successivo a difesa esclusivamente dell’amico.
Si deve invero rammentare al riguardo che secondo la giurisprudenza di questa Corte, in sede di legittimità, perché sia ravvisabile la manifesta illogicit della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato che intenda far valere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia sostenibile e non cioè desunta da elementi meramente ipotetici o congetturali, seppure plausibili (Sez. 2, n. 3817 del 9/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278237).
La difesa ha, in buona sostanza, inteso mettere in discussione la ricostruzione accusatoria ponendo in dubbio che COGNOME fosse rimasto in loco con intenti bellicosi ed atteggiamento provocatorio e di sfida nei confronti dei COGNOME e ritiene di poter avvalorare tale assunto per il solo fatto che dal fotogramma indicato risulterebbe che il ricorrente avrebbe riposto in macchina gli arnesi poi utilizzati. Tuttavia ricostruzione svolta nella sentenza impugnata – che ha qualificato in termini di rissa l’aggressione reciproca posta in essere dagli imputati – va oltre il fotogramma indicato dalla difesa – peraltro, si ribadisce, neppure allegato al ricorso – ritenend accertato che NOME fosse rimasto sul posto con atteggiamento di sfida e con il medesimo intento bellicoso con cui era sopraggiunto presso il bar dove si trovavano i Gioca. Persistenza dell’intento bellicoso che la difesa ritiene peraltro di contrastare assumendo che in realtà il ricorrente ed i suoi amici sarebbero rimasti sul posto perchè intrattenutisi a parlare con dei conoscenti sopravvenuti, adducendo cioè una circostanza che, oltre che versata in fatto, risulta genericamente ed apoditticamente assunta senza alcun specifico riferimento alle risultanze processuali che potessero riscontrarla. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ciò perché la regola dell’«al di là di ogni ragionevole dubbio», secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità, impone all’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimità, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di
ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Sez. 5, n. 18999 del 19/2/2014, C, Rv. 260409).
In ogni caso la ricostruzione svolta dalla Corte di merito non potrebbe ritenersi smentita dalla circostanza secondo cui COGNOME avrebbe deposto in macchina gli arnesi di lavoro, dal momento che ciò che la Corte di appello ha inteso evidenziare, e ha ritenuto determinante – oltre alla dinamica della zuffa – è il fatto che COGNOME ed il gruppo fossero rimasti fuori dal locale in attesa che uscissero gli altri, i quali, a volta, accettando la sfida lanciata sin dall’inizio da COGNOME e il suo gruppo, prontamente usciti dal locale, li affrontavano.
Va, infatti, ricordato che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati – ed allegati – dal ricorrente, ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’inter ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 5146 del 16/01/2014 Ud. -dep. 03/02/2014- Rv. 258774); ipotesi che, nella specie, per tutto quanto detto, deve escludersi.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria dì inammissibilità dei ricorsi, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugnatorio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processualì e della somma dì euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 2/12/2024.