Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 15088 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 15088 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CINQUEFRONDI il 31/08/1988
avverso l’ordinanza del 06/12/2024 del TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA, in funzione di giudice dell’appello cautelare;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG COGNOME nel senso del rigetto del ricorso; lette le conclusioni della difesa, nel senso dell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Reggio Calabria, con il provvedimento indicato in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale la Corte d’appello di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza di declaratoria di perdita di efficacia della custodia cautelare in carcere per decorrenza dei termini di fase, nonché la richiesta di revoca o sostituzione con la misura degli arresti domiciliari per il venir meno o l’attenuazione delle esigenze cautelari.
Avverso l’ordinanza d’appello l’indagato, tramite il difensore, ha proposto ricorso articolando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettament necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 303, comma 4, e 304, comma 6, cod. proc. pen.
Il ricorrente premette, per quanto ancora di rilievo in questa sede, di essere stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere oltre che per il delitto di cu agli art. 416-bis cod. pen. anche per l’associazione finalizzata al traffico illecito stupefacenti, ex art. 74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per reati fine in materia di stupefacenti e per fattispecie in materia di armi. Assolto dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., il ricorrente sarebbe stato condannato in primo grado per le altre fattispecie con decisione sostanzialmente confermata all’esito di giudizio d’appello, conclusosi con sentenza annullata con rinvio in relazione a taluni reati fine e, per quanto di rilievo, all’accertato ruolo apicale in seno sodalizio ex art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, ferma restando la sua partecipazione a esso.
Sicché, prosegue il ricorrente, trattandosi, quelle di cui ai primi due commi del citato art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, di autonome fattispecie di reato, non si verserebbe, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di merito, in una ipotesi di «doppia conforme» sulla responsabilità, cui conseguirebbe l’applicazione del termine di durata massima della misura, ex art. 303, comma 1, lett. d), ultima parte, e comma 4, nella specie pari a sei anni (su cui calcolare anche le sospensioni con i criteri di cui all’art. 304, comma 6, cod. proc. pen.).
Censurata quindi la ritenuta ricorrenza della doppia conforme, il ricorrente deduce l’errore consistente nella mancata applicazione del termine di fase relativo al giudizio d’appello, dovendosi peraltro computare in esso anche il periodo di custodia cautelare sofferto durante la pendenza del giudizio di legittimità conclusosi con la sentenza rescissoria, ex artt. 303, comma 2, e 304, comma 6, cod. proc. pen.
A quanto innanzi si aggiungerebbe la manifesta illogicità del provvedimento impugnato laddove sarebbe stata comunque esclusa la sussistenza dei presupposti per la declaratoria di decorrenza dei termini assumendo che il ruolo di capo promotore, a fondamento del titolo cautelare genetico, già accertato in primo grado, non risulterebbe allo stato escluso, dovendo costituire oggetto del giudizio di rinvio.
2.2. Con i motivi secondo e terzo (indicati in ricorso con i numeri «3» e «4») si deducono violazioni di legge (artt. 274, 275, comma 3, e 299 cod. proc. pen.), anche in termini di difetto totale di motivazione in quanto apparente, e vizi cumulativi di motivazione.
Le censure si appuntano sull’apparato motivazionale del rigetto delle subordinate richieste di revoca della misura cautelare, per il venir meno delle sottese esigenze, ovvero di sostituzione con gli arresti domiciliari, in ipotesi con strumenti elettronici di controllo, in ragione dell’attenuazione delle stesse per i tempo decorso e l’annullamento della sentenza quanto alla posizione verticistica assunta in seno al sodalizio. Laddove non apodittica, la motivazione sarebbe manifestamente illogica nella parte in cui, pur recependo il decisum della sentenza rescindente, non avrebbe valorizzato, in termini di rivalutazione delle esigenze cautelari, l’annullamento con rinvio circa il ruolo apicale assunto dall’imputato in seno al sodalizio.
I giudici di merito, inoltre, per un verso, avrebbero ritenuto irrilevante l decorrenza del tempo dalla commissione del reato fino all’esecuzione della misura e, per altro verso, in termini manifestamente illogici, avrebbero posto alla base della persistenza delle esigenze cautelari l’intervenuta condanna per estorsione, per la quale l’imputato era già in custodia cautelare in seno ad altro procedimento al momento dell’esecuzione della misura in oggetto.
Manifestamente illogica sarebbe infine la motivazione sottesa al mancato superamento del doppio regime presuntivo di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., laddove non apodittica in quanto meramente assertiva. Si evidenzia, anche sotto tale profilo di censura, il mancato confronto dei giudici di merito con la sentenza rescindente in merito al ruolo apicale assunto dall’imputato. Mancherebbe infine una valutazione dei presupposti di un giudizio negativo anche in merito alla possibilità di osservanza da parte del ricorrente delle prescrizioni di cui agli arresti domiciliari, in ipotesi con strumenti elettronic controllo.
Le parti hanno concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso, complessivamente considerato, è infondato.
Il primo motivo si appunta sull’operatività del termine di fase ovvero del solo termine di durata massima della custodia cautelare nella specifica ipotesi di regresso del procedimento caratterizzato dall’annullamento, di una «doppia conforme» di condanna, solo quanto al ruolo assunto in seno al sodalizio, ferma restando la partecipazione a esso del prevenuto.
2.1. La questione in esame necessita di un preliminare inquadramento normativo della disciplina dei termini di durata in oggetto, ancorché nei limiti di rilievo in questa sede.
Deve sul punto premettersi, mutuando la sintesi di cui al percorso argomentativo di Sez. 5, n. 4049 del 09/01/2019, Cippone, Rv. 275313 – 01, che i termini di durata della custodia cautelare, secondo la disciplina dettata dall’art. 303 cod. proc. pen., sono regolati in modo separato per ciascuna fase processuale, con modalità che sono state definite «incomunicabili», salva la limitata facoltà di «prelievo» di frazioni non utilizzate prevista, al comma primo, lett. b), n. 3-bis) del citato art. 303, per i reati indicati dall’art. 407, comma 2, cod. proc. pen.
2.1.1. Oltre a ciò, per quanto maggiormente rileva, vi è una particolare disciplina dettata per il caso di regresso a una fase di merito a seguito di annullamento con rinvio.
I termini della fase decorrono di nuovo dalla data del provvedimento che dispone il regresso (ai sensi dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen.), fermo il limite massimo insuperabile per la fase pari al doppio del termine proprio della fase stessa (ex art. 304, comma 6, cod. proc. pen.). È prevista, quindi, una norma di chiusura, all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen., che detta un limite massimo complessivo della custodia che opera indipendentemente dalla fase processuale (ed è suscettibile di sospensione ex art. 304 cit., ma non oltre la metà). Per la fase di cassazione, infine, l’art. 303, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. prevede la regola secondo la quale, in caso di doppia condanna nei gradi di merito, si tiene conto soltanto dei termini massimi complessivi di cui al successivo comma quarto (si cui computare la proroga ex art. 304, comma 6, cod. proc. pen. e nei limiti ivi contemplati).
La Corte costituzionale, prosegue sul punto la citata sentenza «COGNOME» nel confermare la giurisprudenza di legittimità sul punto, con la sentenza n. 299 del 2005, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui non consente di computare, ai fini dei termini massimi di
fase determinati dall’art. 304, comma 6, dello stesso codice, i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in cui procedimento è regredito. Prendendo atto del diritto vivente ricostruito attraverso i plurimi interventi della giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite, la Consulta ne contesta gli approdi, fondati anche su Sez. U, n. 4 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 215214 – 01 e Sez. U, n. 23016 del 31/3/2004, COGNOME, Rv. 227524 – 01. Per esse, nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa, il procedimento regredisca a una fase o a un grado di giudizio diversi ovvero sia rinviato ad altro giudice, i termini di durata della custodia cautelare decorrono dalla data della decisione che dispone il regresso e, ai fini del calcolo della durata massima di fase, vanno computati esclusivamente i periodi di custodia cautelare trascorsi nella stessa fase. Ai fini dell’osservanza di detto limite rilevano peraltro tutt periodi di sospensione di pertinenza della fase, a eccezione di quelli indicati nell’art. 304, comma 7, cod. proc. pen. (operando altresì tali regole anche in caso di pluralità di annullamenti o di regressioni). In tal modo, nell’ipotesi d annullamento con rinvio di una sentenza di secondo grado, si era ritenuto, da parte della citata Sez. U. «COGNOME», che, per il calcolo del limite massimo del termine di fase, il periodo di custodia cautelare relativo al giudizio di appello dovesse cumularsi con quello del giudizio di rinvio ma non anche con la durata del giudizio di cassazione. Ebbene, Corte cost. n. 299 del 2005, premessa l’affermazione che la tutela della libertà personale, realizzata dal legislatore attraverso l’imposizione di limiti massimi di custodia voluti dall’art. 13, quint comma, Cost., è un valore unitario e indivisibile, ha ritenuto che esso non può subire deroghe o eccezioni riferite a particolari e contingenti vicende processuali, ovvero desunte da una ricostruzione dell’attuale sistema processuale che non consenta di tenere conto, ai fini della garanzia del termine massimo finale di fase, dei periodi di custodia cautelare «comunque» sofferti nel corso del procedimento. I Giudici delle leggi, in tale pronuncia, hanno richiamato le proprie ordinanze n. 243 del 2003, n. 335 del 2003 e n. 59 del 2004 e hanno nettamente criticato l’opzione delle Sezioni Unite, laddove ritiene che, per il calcolo del doppio dei termini di fase vi sia cumulabilità esclusivamente per le fasi e i gradi omogenei, senza possibilità di valutare anche i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o gradi diversi, rispetto a quelli in cui il procedimento regredito. A giudizio della Corte costituzionale, siffatta «costruzione» per il recupero della custodia cautelare finisce infatti con il subordinare il principio di proporzionalità all’appagamento delle esigenze della fase processuale e riduce il principio del minor sacrificio della libertà personale a una sorta di «credito di libertà» spendibile nelle eventuali fasi successive. Il rispetto dei principi d Corte di Cassazione – copia non ufficiale
adeguatezza e di proporzionalità, operanti anche in relazione ai limiti che deve incontrare la durata della custodia cautelare, discendono invece direttamente dalla natura servente, che la Costituzione assegna alla carcerazione preventiva, rispetto al perseguimento delle finalità del processo, da un lato, e alle esigenze di tutela della collettività, dall’altro, tali da giustificare, nel bilanciament interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di ch non è ancora stato giudicato colpevole in via definitiva.
2.1.2. In seguito a tale intervento della Consulta, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha modificato il proprio orientamento, affermando che, in tema di durata della custodia cautelare, a seguito della parziale declaratoria di incostituzionalità dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., operata da Corte cost. n. 299 del 2005, quando ha luogo il regresso del procedimento a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, ai fini del computo dei termini massimi di fase determinati dall’art. 304, comma 6, cod. proc. pen., si deve tenere conto anche del periodo di custodia cautelare sofferto durante la pendenza del procedimento in cassazione.
Solo nel caso in cui sia stata pronunciata doppia sentenza conforme sulla responsabilità, non annullata sul punto in sede di legittimità, sono invece applicabili soltanto i termini di durata complessiva della custodia cautelare previsti dagli artt. 303, comma 4, e 304 comma 6, cod. proc. pen. (ex plurimis: Sez. 6, n. 28984 del 28/5/2013, COGNOME, Rv. 255858 – 01; Sez. 6, n. 4971 del 15/01/2009, COGNOME, Rv. 242925 – 01; Sez. Sez. 1, n. 7785 del 24/1/2008, COGNOME, Rv. 239235 – 01). Sulla stessa linea, si è anche affermato che, in caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione della sentenza di secondo grado, i termini di durata della custodia cautelare ricominciano a decorrere dalla decisione di annullamento, ma non potranno protrarsi oltre il doppio del termine massimo di fase, computando l’intero periodo trascorso in vinculis dall’originaria decorrenza e cioè dalla sentenza di primo grado (Sez. 1, n. 24896 del 10/5/2013, COGNOME, Rv. 255831 – 01).
2.1.3. Con particolare riferimento a quanto rileva nella specie, si è quindi affermato che qualora si sia formato il giudicato sull’affermazione di responsabilità dell’imputato (come nell’ipotesi in cui il giudice di legittimità abbi disposto l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio) i termini di custodia cautelare cui deve farsi riferimento sono, ai sensi dell’art. 303, comma 1, lett. d), seconda parte, cod. proc. pen., quelli stabiliti per la durata massima delle misure cautelari dal quarto comma dello stesso articolo, e non invece quelli di fase rapportati alla pena in concreto irrogata (Sez. 2, n. 45095 del 4/7/2017, Assinnata, Rv. 272260 – 01; Sez. 5, n. 8846 del
12/2/2014, COGNOME, Rv. 259068 – 01; Sez. 4, n. 17037 del 14/2/2008, COGNOME, Rv. 239609 – 01).
Si è in particolare specificamente affermato che qualora venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio la sola determinazione della pena, la formazione del giudicato progressivo riguarda l’accertamento del reato e la responsabilità dell’imputato; pertanto, la limitazione della libertà deve essere considerata come custodia cautelare (cui rilevano i termini massimi di durata) e non come esecuzione di pena definitiva (ex plurimis, Sez. 5, n. 4049 del 09/01/2019, Cippone, cit.; Sez. 6, n. 2324 del 19/12/2013, NOME COGNOME Rv. 258251 – 01; Sez. 1, n. 22293 del 05/05/2004, COGNOME, Rv. 228199 – 01).
Allo stesso modo, cioè per l’operatività del solo termine di durata complessiva della custodia cautelare e non del termine di fase, si è pronunciata Sez. 6, n. 273 del 5/11/2013, Elia, Rv. 257769 – 01, nel caso di doppia conforme annullata con rinvio da parte della Suprema Corte circa la valutazione non del mero trattamento sanzionatorio ma di una circostanza aggravante. Viceversa, quando tale giudicato progressivo sulla affermazione di responsabilità non si sia formato, tale regola non è stata ritenuta applicabile con conseguente computo, ai fini del calcolo della decorrenza, dei termini massimi di fase e non già di quelli di durata massima previsti dall’art. 303, comma 4, cod. proc. pen. (sul punto si veda Sez. 1, n. 24896 del 2013, COGNOME, cit.).
2.1.4. In definitiva, sempre per quanto di rilievo in questa sede, secondo la sintesi di cui a Sez. Sez. 6, n. 1735 del 07/11/2018, Palazzolo, Rv. 274941 – 01, nel caso di regressione del procedimento a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, trova applicazione il termine di fase, di cui agli artt. 303, comma 2, e 304, comma 6, cod. proc. pen., determinato tenendo conto, oltre che dei tempi di custodia maturati nella medesima fase del procedimento prima della regressione, anche dei tempi sofferti durante la pendenza del procedimento in Cassazione.
Tuttavia, ed è questo che rileva nella specie, sempre per l’ipotesi di regressione, nel caso in cui sia stata pronunciata doppia sentenza conforme sulla responsabilità, non annullata sul punto in sede di legittimità, sono applicabili soltanto i termini di durata complessiva della custodia cautelare previsti dagli artt. 303, comma 4, e 304 comma 6 cod. proc. pen.
2.1.5. Il condivisibile iter logico-giuridico sotteso a tale ultimo approdo ermeneutico è esplicitato da Sez. 4, n. 17037 del 14/02/2008, COGNOME, Rv. 239609 – 01 e, mutatis mutandis, come ji dirà oltre, si presta a guidare l’interpretazione anche con riferimento alla fattispecie in esame.
In particolare, l’art. 303, comma 2, cod. proc. pen., prevede che nel caso in cui, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, il
processo regredisca a un grado di giudizio diverso, decorrono nuovamente i termini previsti dal comma 1 dello stesso articolo. Il richiamato primo comma prevede un termine dalla sentenza di condanna in grado d’appello all’irrevocabilità della pronuncia (art. 303, comma 1, lett. d, prima parte, cod. proc. pen.). Tuttavia, nel caso in cui la condanna in appello si sovrapponga a quella del primo giudice, trovano applicazione solo i termini di durata complessiva di cui al quarto comma del medesimo articolo 303 (come disposto dalla lettera d, ultima parte, del medesimo comma 1).
Orbene, prosegue sul punto la sentenza «COGNOME», per comprendere quale sà la disciplina applicabile è decisivo stabilire se si sia o meno in presenza di una pronuncia di condanna in appello nonostante l’annullamento con rinvio. La questione trova soluzione nel principio di formazione progressiva del giudicato. In relazione allo sviluppo dinamico del rapporto processuale, il giudicato può avere una formazione non simultanea ma progressiva, e ciò può accadere sia quando nel processo confluiscono più azioni penali, suscettibili di autonoma decisione, sia quando il procedimento riguarda un solo reato attribuito a un solo soggetto, perché anche in quest’ultimo caso la sentenza definitiva può essere la risultante di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo progressivo dei mezzi d’impugnazione. Trattasi di principio, enunciato per la prima volta da Sez. U, n. 373 del 23/11/1990, dep. 1991, COGNOME, Rv. 186165, e confermato dalla giurisprudenza successiva, tra cui, oltre alla citata sentenza «Alviano», diverse decisioni delle Sezioni Unite (ex plurimis: Sez. U6019 dell’11/05/1993, COGNOME, Rv. 193419 – 01; Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196889 – 01; Sez. U, n. 4904 del 26/03/19977, COGNOME, Rv. 207640 – 01; Sez. U, n. 1 del 19/01/00, COGNOME, Rv. 216239 – 01). Sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che la norma di cui all’art. 624 cod. proc. pen. fa riferimento a qualsiasi statuizione avente un’autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione a un determinato capo d’imputazione, ma anche a quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame. Anche in relazione a questi ultimi la decisione adottata, benché non ancora eseguibile, acquista autorità di cosa giudicata, quale che sia l’ampiezza del relativo contenuto. Ne consegue che quando l’annullamento non riguarda l’affermazione di responsabilità, tale statuizione assume autorità di cosa giudicata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Non può dubitarsi, quindi, che in tale caso, cui, come si dirà a breve, mutatis mutandis, accede la fattispecie in esame, si sia in presenza di una sentenza d’appello irrevocabile nel suo nucleo centrale che riguarda l’imputazione del fatto e la sua qualificazione giuridica.
Ne discende che, essendosi in presenza di «doppia conforme», trova applicazione il termine già più volte richiamato di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen. Trattasi di norma che trova razionale applicazione nella descritta situazione. Essa, infatti, ha il suo fondamento nel fatto che, in presenza di due pronunzie di condanna, vi è una elevata probabilità che si pervenga alla definitiva affermazione di responsabilità. In conseguenza, è giustificata una minore tutela del favor libertatis. Tale ratio, prosegue la sentenza «COGNOME», si rinviene a maggior ragione nel caso in cui non solo vi sia stata una doppia affermazione di responsabilità ma tale accertamento sia divenuto irrevocabile per effetto di una pronuncia di legittimità che si sia limitata ad annullare la sentenza d’appello per ciò che attiene al punto inerente alla determinazione della pena ovvero, per la citata sentenza «Elia» (Sez. 6, n. 273 del 2013), al punto inerente alle circostanze del reato. In tali situazioni, infatti, come si è visto, l’affermazio di responsabilità è coperta dal giudicato parziale. Pertanto, non essendovi timore che il giudizio di responsabilità possa essere controvertito nel prosieguo, è giustificata la protrazione della custodia cautelare conseguente all’applicazione del più ampio termine previsto dalla norma di cui si discute.
2.2. Orbene, entrando nello specifico del merito cassatorio, deve rilevarsi quanto segue.
Il motivo di ricorso in esame (il primo) muove dal dato da esso stesso ritenuto pacifico, tale anche per l’ordinanza impugnata, per cui all’esito del giudizio di legittimità la sentenza di condanna per l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è stata annullata, quanto alla posizione dell’attuale ricorrente, limitatamente all’accertato ruolo apicale contestatogli. È invece rimasto fermo, in termini di c.d. «doppia conforme», l’accertamento tanto della sussistenza del sodalizio quanto della partecipazione a esso del prevenuto, con conseguente rinvio al giudice d’appello per un nuovo giudizio sul punto, cioè in merito all’accertamento del solo ruolo apicale contestato ex art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990.
2.3. La questione di diritto posta all’attenzione della Suprema Corte riguarda quindi il se, come vorrebbe il ricorrente, nella peculiare fattispecie di regressione del procedimento di cui innanzi, debba trovare applicazione il termine di fase ex artt. 303, comma 2, e 304, comma 6, cod. proc. pen., nella specie relativo al giudizio d’appello, da determinarsi tendendo conto oltre che dei tempi di custodia maturati nella medesima fase prima della regressione anche di quelli sofferti durante la pendenza del procedimento in sede di legittimità.
Trattasi di tesi sostenuta dalla difesa a fondamento della censura in esame.
Il giudice di merito, difatti, argomentando in senso contrario, ha ritenuto operante anche nella fattispecie in oggetto, in ragione dell’intervenuto
accertamento della partecipazione non più discutibile, del pacifico principio di legittimità per cui, nel caso di annullamento della sentenza d’appello con rinvio non in merito all’accertata responsabilità, trovano applicazione i soli termini di durata massima della custodia cautelare, di cui agli artt. 303, comma 4, e 304, comma 6, cod. proc. pen.
Il Tribunale, in particolare, si è esplicitamente conformato a Sez. 5, n. 9112 del 04/12/2013, dep. 2014, Barchetta. Essa, difatti, in fattispecie sovrapponibile alla presente, ha ritenuto corretta l’operatività non del termine di fase bensì del termine di durata massima, di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen., argomentando dalla circostanza per cui, per entrambe le fattispecie di cui all’art. 74, commi 1 e 2, d.P.R. n. 309 del 1990, il detto termine è pari a sei anni in ragione del pari limite edittale massimo di pena per le dette fattispecie.
2.4. La questione deve risolversi, come ritenuto dal giudice di merito, nel senso dell’applicabilità, anche nella presente peculiare fattispecie di regressione in esame, non dei termini di fase bensì di quelli di durata massima di cui agli artt. 303, commi 1, lett. d, ultima parte, e 4, e 304, comma 6, cod. proc. pen., con conseguente rigetto del motivo di ricorso (soluzione interpretativa, come detto, già adottata da Sez. 5, n. 9112 del 25/02/2014, Barchetta, non massimata, ancorché sostanzialmente in ragione solo della circostanza per cui, per entrambe le fattispecie, il termine di durata massima è pari a sei anni).
2.5. La sollecitazione ermeneutica posta dal ricorrente merita risoluzione in considerazione del «diritto vivente» circa il sodalizio di cui all’art. 74, commi 1 e 2, d.P.R. n. 309 del 1990, con particolare riferimento alle posizioni assunte in seno a esso dai partecipi, della ritenuta applicabilità del solo termine di durata massima della custodia cautelare in caso di annullamento, in sede di legittimità, della «doppia conforme» non in punto di responsabilità e della sottesa ratio, come detto fondante nel principio di formazione progressiva del giudicato.
La disposizione normativa in oggetto – così come gli artt. 416, 416-bis cod. pen. e altre disposizioni che concernono reati di associazione – prevede una pluralità di figure criminose di carattere permanente, le quali hanno in comune il riferimento a un’unica associazione avente quale scopo la commissione di uno o più delitti tra quelli previsti dagli artt. 70, commi 4, 6 e 10, e 73 dello stes d.P.R. Accanto alla figura di reato del mero partecipe di cui al comma secondo del citato art 74, punito per il solo fatto di partecipare e ch integra autonoma ipotesi di reato, la legge, al primo comma del medesimo art. 74, punisce più severamente chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia il sodalizio. Con la conseguenza per cui la detta partecipazione qualificata, di cui al primo comma dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, non costituisce mera circostanza aggravante della partecipazione alla medesima
associazione, sanzionata dal secondo comma del citato art. 74, con quanto ne consegue (anche) in termini di bilanciamento e, più in generale, di trattamento sanzionatorio (in merito all’evidenziato diritto vivente sul punto si vedano ex plurimis: con specifico riferimento all’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, Sez. 1, n. 6312 del 27/01/2010, COGNOME, Rv. 246118 – 01. Sez. 5, n. 4529 del 10/11/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249253 – 01; Sez. 4, n. 17682 del 04/04/2024, COGNOME, Rv. 286365 – 02; circa la previgente disposizione di cui all’art. 75 I. 685 del 1975, Sez. 1, n. 1198 del 26/05/1986, dep. 1987, COGNOME, Rv. 174963 – 01; Sez. 1, n.7462 del 22/05/1985, Arslan, Rv. 170227 01; .ffli vedano altresì, ex plurimis, in quanto richiamanti la giurisprudenza di legittimità sull’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, ancorché inerenti alle associazioni ex artt. 416 e 416-bis cod. pen.: quanto all’art. 416-bis, cod. pen., Sez. 2, n. 31775 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 285001 – 01; Sez. 2, n. 40254 del 12/06/2014, COGNOME, Rv. 260444 – 01; Sez. 2, n. 8430 del 17/01/2014, COGNOME, Rv. 258304 – 01; circa l’associazione ex art. 416 cod. pen., Sez, 3, n. 4680 del 29/10/2014, Licata).
In definitiva, il Legislatore, con l’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, ha inteso punire più severamente, qualificandola come fattispecie autonoma e non quale circostanza aggravante, con quanto ne consegue in termini di trattamento sanzionatorio, la partecipazione, si badi bene, alla medesima associazione, ancorché qualificata dalla specifica posizione di un partecipe rispetto agli altri associati, cioè rispetto ai partecipi di cui secondo comma del medesimo art. 74. È indubbio il comune riferimento al medesimo sodalizio criminoso delle condotte di partecipazione, ancorché, quelle di cui al primo comma dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, qualificate, rispetto a quelle di cui al secondo comma del medesimo articolo.
Sicché, nel caso in cui, come nella specie, all’esito del giudizio di legittimità la «doppia conforme» di condanna, che ha accertato l’esistenza dell’associazione e la partecipazione a essa dell’imputato, è stata annullata limitatamente al ritenuto ruolo apicale dello stesso prevenuto, cioè in merito alla sola qualificazione ai sensi dell’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, ci si trova in presenza di fattispecie assimilabile, ai fini che interessano, a una pronuncia di condanna in appello quanto alla partecipazione al sodalizio, nonostante l’annullamento con rinvio. E’ difatti vero che si tratta di autonome fattispecie ma è anche vero che la detta autonomia, voluta la Legislatore nei termini di cui all’evidenziato «diritto vivente» in materia, fonda non sulla diversità tra strutture associative ma solo sul diverso ruolo assunto dal partecipe. Ne consegue che l’intervenuto annullamento con rinvio solo in ordine al ritenuto ruolo qualificato del partecipe si inserisce nella formazione progressiva del giudicato in forza
dell’evidenziato sviluppo dinamico del rapporto processuale. La sentenza definitiva, quale risultante di più decisioni, intervenute attraverso lo sviluppo progressivo dei mezzi d’impugnazione, in ragione del conseguente effetto preclusivo per il giudice di merito non potrà difatti addivenire a una reformatio (in melius o i peius) in punto di partecipazione del sodalizio del prevenuto.
La ricostruzione di cui innanzi è peraltro rispettosa della ratio sottesa all’operatività, in ipotesi di doppia conforme, del termine di durata massima della custodia cautelare oltre che in linea di sistema con la norma di cui all’art. 624 cod. proc. pen., in materia di annullamento parziale disposto dalla Suprema Corte.
Non può dunque dubitarsi che, nel caso che ci occupa, si sia in presenza di un’ipotesi di «doppia conforme» d’appello irrevocabile nel suo nucleo centrale che riguarda l’imputazione del fatto di «partecipazione» al sodalizio.
La norma da ultimo richiamata, difatti, fa riferimento a qualsiasi statuizione avente un’autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione a un determinato capo d’imputazione, ma anche a quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame, quale che sia il contenuto: nella specie, l’accertata partecipazione al sodalizio (ex plurimis: Sez. 4, n. 17037 del 14/02/2008, Alviano, cit.). L’annullamento parziale con rinvio disposto dalla Corte di cassazione determina la formazione del giudicato sui capi e sui punti della sentenza non annullati, dovendosi intendere per «punto», ai fini che nella specie rilevano, qualsiasi statuizione avente un’autonomia giuridico-concettuale, non consistente in un mero passaggio argomentativo. Trattasi di statuizione la cui individuazione spetta, in concreto, al Giudice di legittimità in sede rescindente, che delinea il discrimine fra ciò che è oggetto di annullamento e ciò che non lo è: nella specie, l’accertata partecipazione al sodalizio (ex plurimis, limitando i riferimenti solo a una tra le più recenti, Sez. 3, n. 30805 del 15/01/2024, Elia, Rv. 286870, che ha anche ribadito l’efficacia meramente dichiarativa e non costitutiva della declaratoria nel dispositivo delle parti divenute irrevocabili). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ne discende quindi che, essendosi in presenza di «doppia conforme» quanto alla «partecipazione al sodalizio», trova razionale applicazione il termine già più volte richiamato di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen. Tale previsione normativa ha difatti il suo fondamento nella circostanza per cui, in presenza di due pronunzie di condanna, vi è una elevata probabilità che si pervenga alla definitiva affermazione di responsabilità tale da giustificare una minore tutela del favor libertatis. Tale ratio si rinviene a maggior ragione nel caso in cui, come nella specie, non solo vi sia stata una doppia affermazione di responsabilità circa
la partecipazione all’associazione ma tale accertamento sia divenuto immutabile per effetto di una pronuncia di legittimità che si sia limitata ad annullare la sentenza d’appello per ciò che attiene alla sola «qualificazione» della partecipazione ai sensi dell’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990. In tale situazione, infatti, come si è visto, non essendovi timore che il giudizio di responsabilità in merito alla partecipazione al sodalizio possa essere controvertito nel prosieguo, è giustificata la protrazione della custodia cautelare conseguente all’applicazione del termine previsto dalla norma di cui si discute, ex artt. 303, commi 1, lett. d), e 4, e 304, comma 6, cod. proc. pen.
Nella specie, peraltro, sempre ai fini che interessano nella specifica materia dei termini della custodia cautelare, il perimetro della «conformità», che comporta l’operatività del solo termine di durata massima della custodia cautelare, è dato anche dalla pena edittale massima prevista, superiore a venti anni di reclusione, tanto per la partecipazione «non qualificata» quanto per la fattispecie di cui all’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 (individuandosi in 24 anni di reclusione ai sensi dell’art. 23 cod. proc. pen.). Con la conseguenza che, per entrambe le fattispecie, opera il medesimo termine di durata massima di sei anni di cui all’art. 303, comma 4, lett. c), cod. proc. pen.
La suddetta interpretazione della norma in esame si mostra quindi rispettosa anche dei principi di adeguatezza e di proporzionalità, operanti anche in relazione ai limiti che deve incontrare la durata della custodia cautelare. Trattasi di limiti discendenti direttamente dalla natura servente che la Costituzione assegna alla carcerazione preventiva, rispetto al perseguimento delle finalità del processo, da un lato, e alle esigenze di tutela della collettività, dall’altro, tali giustificare, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di chi non è ancora stato giudicato colpevole in via definitiva (per i principi di adeguatezza e proporzionalità nel bilanciamento degli evidenziati confliggenti interessi meritevoli di tutela, si veda Corte cost. n. 299 del 2005, cit.).
Parimenti infondati sono i motivi secondo e terzo (indicati in ricorso con i numeri «3» e «4»), al netto del mancato confronto con la motivazione dell’ordinanza impugnata laddove si deduce l’apparente motivazione sul punto.
La difesa censura la ritenuta persistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza e proporzionalità della sola custodia cautelare in atto in ragione del tempo decorso, dell’assoluzione per taluno dei reati sottesi all’ordinanza cautelare (quello di cui all’art. 416-bis cod. proc. pen.) e dell’annullamento con rinvio quanto al ruolo apicale in seno al sodalizio, ferma restando la gravità indiziaria per i reati di cui all’ordinanza cautelare e per i quali è stata confermata
la condanna con sentenza d’appello sul punto non annullata (in ragione del c.d. «principio di assorbimento» del giudizio sulla gravità indiziaria dalla decisione sul merito dell’imputazione, in merito al cui contrato atteggiarsi si vedano, ex plurimis: Sez. 4, n. 39033 del 27/09/2022, COGNOME, Rv. 283587 – 01; Sez. 1, n. 55459 del 15/06/2017, COGNOME, Rv. 272398 – 01).
3.1. In merito occorre premettere che (al pari del giudizio sulla gravità indiziaria) i giudizi circa la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura applicata, anche in relazione al ritenuto mancato superamento del regime presuntivo di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc pen., sono sindacabili in sede di legittimità soltanto se si traducono nella violazione di specifiche norme di legge o in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità non concerne dunque la ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (ex plurimis: Sez. 4, n. 20346 del 10/04/2024, COGNOME, in motivazione; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, COGNOME, Rv. 248698 – 01).
3.2. Circa il merito cassatorio, rileva evidenziare che in tema di misure cautelari si è definitivamente chiarito che l’art. 274, lett. c), cod. proc pen., ne testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l’indagato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale. Ne deriva che non è sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione ma è anche necessario prevedere che gli si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie (Sez. 3, n. 34154 del 24/4/2018, COGNOME Rv. 273674 – 01; si veda altresì Sez. 4, n. 20346 del 10/04/2024, COGNOME, in motivazione).
Il principio è stato successivamente calibrato, anche da questa stessa Sezione, affermandosi che il requisito dell’attualità deve essere inteso nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non richiede, tuttavia, la previsione di una «specifica occasione» per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice (Sez. 4, n. 47837 del 4/10/2018, C., Rv. 273994 01, si veda altresì Sez. 4, n. 20346 del 10/04/2024, COGNOME, cit.). Essa richiede difatti una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla
stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale, la quale deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma non anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza (cfr. Sez. 5 n. 11250 del 19/11/2018, dep. 2019, Avolio, Rv. 277242 – 01; si veda altresì Sez. 4, n. 20346 del 10/04/2024, COGNOME, cit.).
Quanto sopra si pone in linea di continuità con i principi elaborati ancor prima della novella di cui alla I. n. 47 del 2015 che ha introdotto nel testo dell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., il requisito dell’attualità.
Si è infatti ritenuto, anche prima di tale modifica, che il requisito dell’attualità costituisse presupposto implicito per l’adozione della misura cautelare, in quanto necessariamente insito in quello della concretezza del pericolo, posto che l’attualità deve essere intesa non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati ma come prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondata su elementi concreti, rivelatori di una continuità e effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata, al momento della adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche e astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi (Sez. 6, n. 24779 del 10/5/2016, COGNOME, Rv. 267830 01; Sez. 2, n. 47891 del 7/9/2016, COGNOME, Rv. 268366 – 01; Sez. 2, n. 53645 del 8/9/2016, COGNOME, Rv. 268977 – 01).
3.3. Orbene, nella specie i giudici di merito mostrano di aver fatto corretta applicazione del doppio regime presuntivo di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (operante con riferimento all’ascritto art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990), tanto da non averlo ritenuto superato previa sostanziale valutazione anche dell’intervenuta assoluzione dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., dell’annullamento parziale quanto al ruolo apicale assunto in seno al sodalizio, del tempo decorso e delle altre deduzioni difensive.
3.4. Il riferimento è, in particolare, al ritenuto persistente pericolo d reiterazione in ordine al quale, nonostante l’evidenziato regime presuntivo, l’ordinanza impugnata si diffonde, sostanzialmente escludendo anche l’idoneità degli arresti domiciliari con strumenti elettronici di controllo.
Sul punto rileva l’apparato motivazionale che fa perno sulla rilevante capacità criminale dell’imputato operante con ruolo spiccatamente attivo nell’ambito del sodalizio, avente tra i vertici esponenti di vertice della «cosca COGNOME» di Rosarno, e resosi protagonista di traffici di stupefacenti di varia natura quali reati fine del sodalizio. Il Tribunale, con motivazione non sindacabile in sede di legittimità, in quanto coerente e non manifestamente illogica, ha
altresì ritenuto «lo spiccato attivismo criminale» di NOME COGNOME confermato dall’episodio estorsivo da lui commesso in precedenza, collegato alla riscossione di presunti crediti per conto della «cosca COGNOME», per il quale è stato prima destinatario di una misura cautelare, nel gennaio 2018, e poi condannato, alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione, con sentenza definitiva che ha ritenuto sussistente anche la c.d. «aggravante mafiosa».
Coerentemente il Tribunale, in termini non manifestamente illogici, ha tratto dalla valutazione degli elementi di cui innanzi il mancato superamento del doppio regime presuntivo di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ritenendo inidonei gli arresti domiciliari, richiesti con l’utilizzo di strumenti elettroni controllo, ad arginare il rilevante pericolo di recidiva in termini di prognosi d pericolosità non rapportata solo all’operatività del sodalizio ma anche alla possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado. Quanto innanzi circa il grado di prognosi di reinserimento nel circuito illecito degli stupefacenti, a prescindere dunque dai luoghi di possibile estrinsecazione delle relative condotte, rede quindi inconferente anche la censura deducente l’apoditticità della motivazione in merito all’inidoneità degli arresti dorniciliari con strumenti elettronici di controllo
Argomentando nei termini di cui innanzi, peraltro, il Tribunale, sostanzialmente, ha fatto anche corretta applicazione del principio governante la materia, con il quale invece il ricorrente non si confronta con censura che, quindi, anche sotto tale aspetto di manifesta infondata.
In tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, difatti, la prognosi di pericolosità non si rapporta sol all’operatività della stessa o alla data ultima dei reati-fine, ma ha ad oggetto anche la possibile commissione di reati costituenti espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento nei circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale, come avvenuto nella specie, il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti, sicché la mera rescissione del vincolo (in ipotesi anche in ragione della cessazione della permanenza del sodalizio) non è di per sé idonea a far ritenere superata la presunzione relativa di attualità delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (ex Sez. 3, n. 163 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 281293 – 01; Sez. 4, n. 3966 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280243 – 01). plurimis:
4. In conclusione, all’infondatezza del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del disp. att. cod.
ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma
1-ter, proc. pen. – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’is
penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabi del citato articolo 94.
dal comma
1-bis
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comm
disp. att. cod. proc. pen.
1-ter,
Così COGNOME I’ll marzo 2025