Termine Querela: La Cassazione sul Momento Decisivo per la Decorrenza
Nel diritto processuale penale, il rispetto dei termini è cruciale e la presentazione della querela non fa eccezione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale riguardo al termine querela, specificando il momento esatto da cui inizia a decorrere il periodo di tre mesi previsto dalla legge. Questa decisione sottolinea come la piena conoscenza del fatto illecito sia il vero e proprio ‘dies a quo’ per l’esercizio del diritto di querela, un aspetto di grande rilevanza pratica per vittime di reato e professionisti legali.
I Fatti del Caso: Un Ricorso contro una Condanna
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo contro una sentenza della Corte d’Appello di Milano. L’imputato sollevava diverse questionrici, tra cui, in via principale, la presunta tardività della querela presentata nei suoi confronti. Secondo la difesa, la querela sarebbe stata depositata oltre i tre mesi previsti dall’art. 124 del codice penale.
Oltre a contestare il rispetto del termine querela, il ricorrente lamentava un vizio di motivazione e una violazione di legge in relazione alla sua condanna per il reato previsto dall’art. 642 c.p., nonché alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) e alla valutazione della sua pena (art. 133 c.p.).
La Decisione della Corte di Cassazione sul termine querela
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure mosse dall’imputato e condannandolo al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.
Il Primo Motivo: La Tempestività della Querela
Il punto centrale della decisione riguarda il primo motivo di ricorso. La Cassazione ha ritenuto la doglianza ‘manifestamente infondata’. Gli Ermellini hanno chiarito che, sulla base degli atti processuali, la piena consapevolezza del fatto-reato da parte della persona offesa (una compagnia assicurativa) era stata raggiunta solo in una data specifica, ovvero il 14/03/2018, giorno in cui le era stata presentata una relazione peritale che accertava l’illecito. Di conseguenza, la querela, presentata il 26/04/2018, risultava perfettamente tempestiva, essendo stata sporta ben all’interno del termine di tre mesi.
Gli Altri Motivi di Ricorso: Ripetitività e Mancanza di Critica Specifica
Per quanto concerne gli altri motivi, la Corte li ha giudicati ‘indeducibili’. L’imputato, infatti, si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello. Il ricorso per cassazione, invece, richiede una critica specifica e puntuale delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata, non una semplice riproposizione di doglianze pregresse. I giudici di legittimità hanno constatato che la sentenza di secondo grado era sorretta da una motivazione sufficiente e non illogica sia sulla responsabilità penale, sia sulla congruità della sanzione e sulla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su due pilastri principali. In primo luogo, l’interpretazione consolidata dell’art. 124 c.p., che fissa l’inizio della decorrenza del termine querela non nel giorno della commissione del reato, ma nel giorno in cui la persona offesa ha avuto notizia certa, completa e attendibile del fatto storico e della sua qualificazione come reato. In questo caso, la relazione peritale ha rappresentato l’elemento che ha trasformato un sospetto in una piena contezza dell’illecito.
In secondo luogo, la Corte ha ribadito i limiti del proprio sindacato. Il giudizio di legittimità non è un terzo grado di merito dove si possono rivalutare i fatti. Se la motivazione del giudice d’appello è logica, coerente e completa, la Cassazione non può che prenderne atto, dichiarando inammissibili i ricorsi che non evidenziano vizi specifici di legittimità ma cercano, di fatto, una nuova valutazione del materiale probatorio.
Conclusioni
L’ordinanza in esame offre importanti spunti di riflessione. Conferma che il diritto di querela può essere esercitato efficacemente solo quando la vittima dispone di tutti gli elementi necessari per comprendere la natura illecita del fatto subito. Questo principio tutela la persona offesa, impedendo che il termine decada prima ancora che essa abbia potuto acquisire una chiara percezione del danno e del reato. Per gli operatori del diritto, la decisione è un monito a formulare ricorsi per cassazione che non siano mere ripetizioni degli atti precedenti, ma che contengano critiche mirate e pertinenti alla struttura logico-giuridica della sentenza impugnata, pena la dichiarazione di inammissibilità e le conseguenti sanzioni economiche.
Da quale momento esatto inizia a decorrere il termine di tre mesi per presentare una querela?
Il termine di tre mesi per presentare la querela inizia a decorrere dal giorno in cui la persona offesa ha acquisito la ‘piena contezza dell’illecito’, ovvero una conoscenza completa e certa del fatto storico e della sua rilevanza penale, non necessariamente dal giorno in cui il reato è stato commesso.
È possibile riproporre in Cassazione gli stessi identici motivi di ricorso già respinti dalla Corte d’Appello?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha dichiarato tali motivi ‘indeducibili’ in quanto meramente ‘riproduttivi di doglianze già adeguatamente vagliate e disattese’. Il ricorso in Cassazione deve contenere una critica specifica alle argomentazioni della sentenza impugnata, non una semplice ripetizione di censure precedenti.
Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso viene dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22336 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22336 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/07/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, che contesta l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 124 cod. pen., è manifestamente infondato poiché inerente a supposta violazione di norme penali palesemente smentite dagli atti processuali, atteso che dall’istruttoria è emerso come, nel caso di specie, la piena contezza dell’illecito risulta essere intervenuta il 14/03/2018 (data in cui alla compagni assicurativa è stata presentata la relazione peritale): conseguentemente, la querela – presentata agli atti il 26/04/2018 – è stata proposta nel termine di tr mesi previsto dall’art. 124 cod. pen., come pure non ha mancato pertinentemente di rilevare la Corte territoriale a pag. 5 della sentenza impugnata;
considerato che gli altri motivi di ricorso, che contestano il vizio motivazionale e la violazione di legge in relazione agli artt. 642, 131 bis e 133 cod. pen., sono indeducibili poiché riproduttivi di doglianze già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici da parte del giudice di merito e perciò non scanditi da specifica critica analisi delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata, sorretta da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive (si vedano, in particolare, pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata in punto di comprovata responsabilità penale del prevenuto e sulla congruità del trattamento sanzionatorio inflitto e della esclusione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16/04/2024 Il Consigliere Estensore