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Termine querela diffamazione: onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10570/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per diffamazione su un social network. Il caso ha chiarito un punto cruciale sul termine querela diffamazione: spetta all’imputato, e non alla persona offesa, fornire la prova specifica e documentata che la querela sia stata presentata tardivamente. In assenza di tale prova, l’eventuale incertezza sulla data esatta in cui la vittima ha avuto conoscenza del post diffamatorio viene risolta a favore di quest’ultima, confermando la validità della querela.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Termine Querela Diffamazione Online: Chi Deve Provare la Tardività?

La diffamazione online è un fenomeno sempre più diffuso e con esso le questioni legali relative alla tutela della reputazione. Una delle problematiche più comuni riguarda il termine querela diffamazione, ovvero il periodo di tempo entro cui la persona offesa deve agire. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 10570/2024) ha ribadito un principio fondamentale: l’onere di dimostrare l’eventuale tardività della querela ricade sull’imputato. Vediamo nel dettaglio il caso e le implicazioni di questa decisione.

I Fatti del Caso

Una persona veniva condannata in primo grado e in appello per il reato di diffamazione aggravata, previsto dall’art. 595 c.p., per aver pubblicato un post offensivo su un noto social network in data 1 ottobre 2016. L’imputata, ritenendo la condanna ingiusta, decideva di presentare ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo di impugnazione.

L’Appello in Cassazione e le Doglianze della Ricorrente

Il fulcro del ricorso verteva sulla presunta violazione dell’art. 124 del codice penale. Secondo la difesa, la querela sporta dalla persona offesa era stata presentata oltre il termine di tre mesi previsto dalla legge. La ricorrente sosteneva che la vittima dovesse essere a conoscenza del post ben prima della data da lei indicata (18 gennaio 2017), data invece provata dalla parte civile tramite una stampa del contenuto diffamatorio.

Inoltre, la difesa aveva depositato una memoria integrativa a ridosso dell’udienza, tentativo risultato vano poiché la Corte l’ha immediatamente dichiarata inammissibile per tardività, in violazione dell’art. 611 del codice di procedura penale che impone un termine di quindici giorni prima dell’udienza.

Le Motivazioni: la gestione del termine querela diffamazione e l’onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicandolo generico e manifestamente infondato. La decisione si basa su due pilastri argomentativi solidi e consolidati nella giurisprudenza.

In primo luogo, i giudici hanno riaffermato un principio cardine in materia: è onere della parte che deduce l’intempestività della querela fornire la prova di tale circostanza. Qualsiasi situazione di incertezza sulla data esatta in cui la persona offesa ha avuto conoscenza del fatto deve essere risolta a favore del querelante. Nel caso specifico, la ricorrente non ha fornito alcun elemento fattuale o documentale concreto per dimostrare che la vittima avesse visto il post prima della data documentata dalla stampa prodotta in giudizio. Le sue erano mere supposizioni, insufficienti a ribaltare l’onere probatorio.

In secondo luogo, la Corte ha richiamato la sua precedente giurisprudenza sulla diffamazione via internet. Per individuare il dies a quo (il giorno da cui far partire il calcolo dei tre mesi), si deve fare riferimento alla data in cui il contenuto lesivo viene pubblicato online, ma solo in assenza di una prova contraria fornita dalla persona offesa. Se la vittima dimostra di averne avuto conoscenza in un momento successivo, quel momento diventa il riferimento per il calcolo del termine querela diffamazione. L’imputato può contestare questa data, ma deve farlo con prove concrete, non con semplici deduzioni.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro e di grande rilevanza pratica. Chi viene accusato di diffamazione online e intende eccepire la tardività della querela non può limitarsi a indicare la data di pubblicazione del post. Deve, invece, attivarsi per dimostrare in modo specifico e documentato che la persona offesa ha avuto effettiva conoscenza del contenuto diffamatorio in una data anteriore che renda la successiva querela intempestiva. In mancanza di questa prova rigorosa, la querela sarà considerata tempestiva, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie.

Quando inizia a decorrere il termine per sporgere querela per diffamazione online?
Il termine di tre mesi decorre dal giorno in cui la persona offesa ha avuto effettiva conoscenza del contenuto diffamatorio. In assenza di prova contraria, si può fare riferimento alla data di pubblicazione, ma se la vittima dimostra di averlo scoperto in un momento successivo, è da quella data che il termine inizia a correre.

A chi spetta l’onere di provare che una querela per diffamazione è stata presentata in ritardo?
L’onere di provare la tardività della querela spetta interamente alla parte che solleva tale eccezione, ovvero all’imputato. L’eventuale incertezza sulla data di conoscenza del fatto da parte della vittima viene risolta a favore di quest’ultima.

È possibile presentare memorie difensive pochi giorni prima dell’udienza in Cassazione?
No, l’art. 611 del codice di procedura penale impone alle parti di depositare le memorie entro il termine di quindici giorni prima dell’udienza camerale. Il mancato rispetto di questo termine comporta la dichiarazione di inammissibilità della memoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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